Il ciclismo, verso la fine dell’Ottocento, era ovviamente molto diverso da quello che conosciamo oggi. Le gare si svolgevano quasi esclusivamente nei velodromi, per diversi motivi. Il primo: le condizioni delle strade rendevano molto difficile l’organizzazione di competizioni che si svolgessero, appunto, su strada. Inoltre, organizzare le gare nei circuiti poteva consentire un miglior controllo del pubblico, oltre che l’applicazione di un biglietto d’ingresso: si trattava dei primi tentativi di rendere lo sport un’attività redditizia. Ben presto però il ciclismo comincia a uscire dalle piste. La prima corsa documentata è del 1868, si svolge a Parigi e copre una distanza di appena un chilometro e duecento metri. Senza contare i vari cimenti più o meno improvvisati, bisogna attendere l’anno successivo per vedere la prima gara “vera”, come la intenderemmo oggi: una corsa tra Parigi e Rouen, per una distanza di 123 chilometri.
James Moore (a destra) insieme a Jean-Eugène-André Castera, rispettivamente primo e secondo classificato alla corsa Parigi-Rouen del 1869 |
Tra gli appassionati di ciclismo figura, in pratica fin dagli esordi delle gare ufficiali su bicicletta, il grande artista Henri de Toulouse-Lautrec (Albi, 1864 - Saint-André-du-Bois, 1901): è un uomo estremamente curioso, che si interessa a tutto ciò che lo circonda. Ed anche è un appassionato di sport più fortunato rispetto alla stragrande maggioranza del pubblico del ciclismo: infatti, grazie alle sue conoscenze maturate frequentando i locali di Parigi (Toulouse-Lautrec detesta stare da solo), l’artista può conoscere l’ambiente da molto vicino. Tra le sue frequentazioni figura lo scrittore e giornalista Tristan Bernard, che è poco più giovane di lui: Bernard e Toulouse-Lautrec si conoscono perché entrambi collaborano per la Revue Blanche, rivista culturale fondata nel 1889. Bernard, prima di darsi stabilmente alla professione di giornalista e commediografo, si dedica a varie attività: tra le altre cose, gestisce un velodromo (il “Buffalo”), e un giorno decide di invitare il pittore a vedere le corse. L’artista inizia così ad appassionarsi: il ciclista in corsa diventa per Toulouse-Lautrec l’emblema del dinamismo. Una passione che presto si riversa sui disegni e sulle stampe. Uno dei corridori che attirano l’attenzione dell’artista è lo statunitense Arthur Augustus Zimmerman (1869 - 1936). È lo sprinter più forte del mondo, e si trova in Francia per competere in alcune gare su pista (le cronache riportano di una sua vittoria sui cento metri lanciati a una media di 66 chilometri orari). Toulouse-Lautrec è attratto dalla sua figura slanciata e dalla sua capacità di far correre la bici come nessun altro riesce a fare: Zimmerman diventa quindi il protagonista di alcuni disegni preparatori per una stampa che ritrae il campione in piedi, trionfante e orgoglioso, accanto alla sua bicicletta. Zimmerman procede accompagnando in modo sicuro la bici, o la “sua macchina”, come la chiama Toulouse-Lautrec. Nei disegni, peraltro, l’artista lo raffigura non soltanto in piedi, come nella litografia finita, ma anche in corsa: alcuni tratti all’indietro rendono i capelli mossi dal vento, e poche linee orizzontali sullo sfondo suggeriscono i bordi della pista ma conferiscono anche impressione di movimento. Si tratta probabilmente di una delle primissime opere che ritraggono un campione del ciclismo in sella alla sua bici.
Henri de Toulouse-Lautrec, Corridore in piedi di fianco alla sua bicicletta: “Zimmerman e la sua macchina” (1895; disegno, 33,9 x 20,8 cm; Parigi, Louvre, Cabinet des dessins) |
Henri de Toulouse-Lautrec, Corridore con le braccia distese sul manubrio: “Zimmerman” (1895; disegno, 28,6 x 22 cm; Parigi, Louvre, Cabinet des dessins) |
Henri de Toulouse-Lautrec, Zimmerman e la sua macchina (1895; litografia a colori su carta, 22 x 13 cm; varie collocazioni) |
Grazie alla mediazione di Bernard, Toulouse-Lautrec conosce Louis Bouglé, un altro grande appassionato di ciclismo (oltre che ciclista lui stesso), che all’epoca svolge la professione di rappresentante per un’azienda inglese che fabbrica catene per biciclette, la Simpson. È un’azienda nuova, che ha bisogno di pubblicità per il suo prodotto (che si chiama semplicemente "catena Simpson") e che necessita di espandersi anche fuori dai confini dell’Inghilterra. Siamo nel 1896: Bouglé sa che Toulouse-Lautrec eccelle nella realizzazione di splendidi manifesti pubblicitari (la cui produzione proprio allora iniziava a configurarsi come un’arte) e gli chiede di realizzare un poster per reclamizzare la catena Simpson. Il pittore accetta, e si reca con Bouglé in Inghilterra per stabilire i termini della collaborazione. L’artista sembra entusiasta dell’incarico, e così scrive alla madre nel 1896: “Ho accompagnato una squadra di ciclisti che sono andati a difendere la nostra bandiera di là dalla Manica. Ho passato con loro tre giorni e sono tornato in Francia per creare un poster per la catena Simpson, che avrà un successo sensazionale”. Toulouse-Lautrec, che è un perfezionista, vuole studiare da vicino i movimenti e le pose dei ciclisti, oltre che la struttura di una bicicletta, per creare un’opera interessante e, come si augura, di grande successo.
Come “testimonial” per la pubblicità, si decide di raffigurare, sul poster, uno dei campioni dell’epoca, il professionista gallese Jimmy Michael (1877 - 1904), fresco (nonché primo) vincitore del campionato mondiale di mezzofondo su pista, disputato nel 1895. Toulouse-Lautrec sceglie di raffigurare Michael durante un allenamento in pista: di fianco a lui, inserisce la figura del giornalista sportivo François-Étienne Reichel, detto “Frantz”, e più indietro l’allenatore di Michael, l’inglese James Edward Warburton, detto “Choppy”, colto insieme a un altro ciclista, mentre sistema una borsa. Per imprimere dinamismo alla scena, Toulouse-Lautrec decide, com’è solito fare da un po’ di tempo, di dare un taglio fotografico alla scena (l’artista è tra i primi a sfruttare le potenzialità della fotografia per... aggiornare la pittura): la ruota anteriore della bici di Michael rimane così tagliata fuori dalla composizione, come in un’istantanea fotografica, per suggerire all’osservatore l’impressione del movimento. Tuttavia, l’artista sceglie di dare eccessivo risalto alla catena della bicicletta: ovviamente è il prodotto che dev’essere pubblicizzato, ma le proporzioni sono innaturali, e il tratto è peraltro molto più spesso che in qualsiasi altro punto del poster. Si tratta di una prova: mancano anche le scritte, manca il nome dell’azienda, ma Bouglé non la gradisce e rifiuta quindi il disegno. Toulouse-Lautrec però non ci sta a buttar via la sua opera, e decide di pubblicarla a sue spese: ne fa stampare duecento copie per farle arrivare agli appassionati di ciclismo. Nelle copie stampate appare, curiosamente, un monogramma a forma di elefante nell’angolo inferiore sinistro della composizione. In questa fase della sua carriera infatti Toulouse-Lautrec utilizza spesso figure di animali in cui inserisce le sue iniziali, “HTL”: si tratta forse di un omaggio a un pittore da lui ammirato, James McNeill Whistler, che usava firmarsi con la figura di una farfalla.
La catena Simpson, dal sito www.sterba-bike.cz |
Henri de Toulouse-Lautrec, Jimmy Michael (1896; litografia a colori, 90 x 127 cm; varie collocazioni - sopra l’esemplare conservato presso la Bibliothèque National de France) |
Il rifiuto di Bouglé è motivato dal fatto che la catena, a suo dire, non è disegnata bene, e oltretutto i pedali non appaiono nella loro posizione reale. Insomma: Toulouse-Lautrec evidentemente pensava di mettere meglio in evidenza la catena disegnandola in quel modo, ma proprio la catena diventa la causa del rifiuto. Bouglé offre comunque una seconda possibilità all’artista e gli chiede di provare a ideare un nuovo disegno. Questa volta cambia il protagonista principale del manifesto: Jimmy Michael viene sostituito da un campione francese, Constant Huret (1870 - 1951), vincitore delle prime due edizioni (nel 1894 e nel 1895) della Bol d’Or, prestigiosa corsa internazionale su pista che si svolgeva all’inizio presso il Velodromo Buffalo gestito da Bernard. La composizione si fa molto più affollata: Huret è raffigurato in sella alla sua bici, in posizione aerodinamica, mentre afferra la sua piega da pista (il manubrio, in gergo tecnico), all’epoca più fine e meno curva rispetto a quelle attuali (c’è comunque da dire che quel tipo di forma, quella simile a come la conosciamo oggi, era stata introdotta proprio negli anni Novanta dell’Ottocento). I piedi spingono sui pedali e le guance si gonfiano per espirare: Toulouse-Lautrec vuole rendere in modo chiaro ed eloquente lo sforzo di questo forte ciclista ritratto, come in precedenza Michael, durante un allenamento. Davanti a lui ci sono due ciclisti non meglio identificati in tandem (in parte ancora tagliati fuori dalla composizione, sempre a causa dell’accorgimento “fotografico” usato nel primo disegno), mentre un altro gruppo sta pedalando sullo sfondo in sella a bici a cinque posti. Da notare come l’artista abbia deciso di non raffigurare (tranne che con qualche accenno nella ruota anteriore di Huret) i raggi delle biciclette: un ulteriore espediente per suggerire l’idea del movimento. Al centro della pista compaiono due figure identificabili probabilmente come William Spears Simpson, il titolare dell’azienda di catene, e lo stesso Louis Bouglé. Il disegno viene finalmente accettato: l’opera può essere quindi tradotta in stampa. Nella litografia, Toulouse-Lautrec utilizza soltanto i colori primari, stesi, com’è ormai solito fare, con campiture uniformi, e aggiunge in alto il marchio lungo tutta la linea orizzontale della scena, e in basso l’indirizzo, il nome e il soprannome di Louis Bouglé, che in Inghilterra era noto come "Spoke", termine che in inglese identifica il raggio della ruota.
Henri de Toulouse-Lautrec, La Chaîne Simpson (1896; litografia a colori, 87 x 124 cm; varie collocazioni - sopra l’esemplare conservato presso la Bibliothèque National de France) |
Il successo che Toulouse-Lautrec auspicava per la campagna non avrebbe però incontrato le sue aspettative. Malgrado la Simpson avesse investito tantissimo in pubblicità, il prodotto sarebbe diventato presto obsoleto, sostituito da modelli più efficienti e performanti. La vita dell’azienda dura pochi anni: già nel 1898 viene messa in liquidazione. Se non fosse stato per i manifesti di Toulouse-Lautrec, con ogni probabilità oggi la storia di questo prodotto sarebbe stata dimenticata, o sarebbe stata materia esclusiva per i cultori della storia del ciclismo. Ma le opere di questo formidabile pittore sono anche una delle prime dimostrazioni della diffusione della passione per il ciclismo, sport che aveva iniziato ad affermarsi presso il pubblico proprio in quegli anni, tanto da essere inserito nel programma delle prime Olimpiadi moderne, quelle di Atene 1896, con una prova su strada e cinque su pista. E sono, ovviamente, dimostrazione della curiosità di un artista che ha saputo, attraverso le sue opere, offrire un saggio della forza, della fatica e della bellezza di uno degli sport più popolari del mondo.
Bibliografia di riferimento
Gli autori di questo articolo: Federico Giannini e Ilaria Baratta
Gli articoli firmati Finestre sull'Arte sono scritti a quattro mani da Federico Giannini e Ilaria Baratta. Insieme abbiamo fondato Finestre sull'Arte nel 2009. Clicca qui per scoprire chi siamo