Il Castello di Agliè, da dimora di duchi e principi a bene di tutti


Nel Castello di Agliè il tempo pare essersi fermato all’ultimo suo abitante: un tempo sontuosa dimora di duchi e principi, oggi bene pubblico aperto ai visitatori come parte del circuito delle Residenze Reali Sabaude.

Nel Castello di Agliè il tempo pare essersi fermato all’ultimo suo abitante, il duca Tommaso di Savoia-Genova, i cui eredi nel 1939 lo vendettero allo Stato italiano. Da allora, la residenza è diventata un bene pubblico, è aperta ai visitatori come parte del circuito delle Residenze Reali Sabaude, riconosciute nel 1997 dall’UNESCO Patrimonio Mondiale dell’Umanità. L’imponente edificio sorge in un angolo del Canavese, nel piccolissimo ma pittoresco borgo di Agliè: a meno che non si voglia acquistare i tipici torcetti della tradizione, la visita al borgo non impegna molto tempo a chiunque venga da queste parti; al contrario lo fa il Castello, con il suo susseguirsi di meravigliosi ambienti d’epoca perfettamente conservati, gli arredi e le preziose collezioni. La visione d’insieme che si ha una volta arrivati nella piazza, sulla quale si affaccia l’ingresso principale del Castello, è come detto imponente (si pensi che l’edificio conta più di trecento stanze, che tuttavia non sono tutte visitabili), con tre corpi affiancati ma ben distinti, ma molto più suggestiva ed elegante è la visione d’insieme che si ha dal grande parco retrostante, soprattutto per la doppia scalinata digradante che scende dal castello al parco, e che a molti sarà familiare. Più avanti si scoprirà il perché.

L’aspetto attuale si deve comunque alla fusione di quattro grandi fasi costitutive, ognuna delle quali ha lasciato in eredità ambienti e oggetti ancora oggi conservati e visibili. Entrare nel castello significa infatti immergersi in un mondo fatto di raffinatezza, arte e lusso, dove ogni stanza narra le vicende dei personaggi che lo hanno abitato e del tempo che vi hanno trascorso. Per cominciare, il nucleo originario del Castello risale al XII secolo, sui quali resti il conte Filippo San Martino d’Agliè, discendente del nobile casato di Arduino d’Ivrea, politico di rilievo e consigliere di Cristina di Francia, decise di costruire dagli anni Quaranta del Seicento una grande residenza signorile che incarnasse il suo ruolo di prestigio ma che celebrasse anche la bellezza dell’arte. Ne affidò la trasformazione nel gusto barocco probabilmente ad Amedeo di Castellamonte. Risale proprio a questo periodo l’ambiente più scenografico tra le sale visitabili del Castello, ovvero il grande Salone d’Onore affrescato da Giovan Paolo Recchi con scene dei fasti di Re Arduino d’Ivrea: nella figura del sovrano seduto sul trono e incoronato si riconosce infatti Filippo e, se si solleva leggermente lo sguardo sopra la parete centrale, due angeli portano in volo cinque frecce legate dal cartiglio con il motto arduinico “Sans Despartir” (che significherebbe “senza nulla dividere” o “senza venir meno al proprio dovere”) probabilmente rappresentanti le cinque famiglie originarie dei conti San Martino. Dal punto di vista strutturale, sono testimonianze dell’aspetto del castello ai tempi del conte le due torri a padiglione che si affacciano sul giardino, le due gallerie, il cortile interno e quello incompiuto sul retro, e la Cappella di San Massimo, decorata nella cupola con stucchi realizzati da maestranze luganesi.

Castello di Agliè
Castello di Agliè
Castello di Agliè
Castello di Agliè
Castello di Agliè
Castello di Agliè

Il destino del castello cambiò ancora nel 1764, quando entrò a far parte del patrimonio di Casa Savoia. Fu acquistato dal re Carlo Emanuele III per il figlio Benedetto Maurizio, duca del Chiablese. Sotto la sua guida, il castello conobbe un periodo di splendore: l’architetto Ignazio Birago di Borgaro fu incaricato di riprogettare la piazza davanti al castello; ricostruì quindi la chiesa parrocchiale e realizzò una galleria per collegare quest’ultima al castello, la Galleria delle Tribune. Costruì la nuova manica a nord ovest, che comprendeva l’Appartamento Reale e gli ambienti sottostanti, comprese le serre; e poi il Salone delle Guardie del Corpo con decorazioni in stucco del ticinese Giuseppe Bolina raffiguranti motivi vegetali e trofei di caccia ai quali si deve la successiva denominazione di Salone di Caccia (oggi si trovano qui anche i ritratti di re Carlo Felice e di Maria Cristina di Borbone realizzati da Jacques Berger), e ancora, le due scale e le cucine nei sotterranei della parte di levante poste appositamente in corrispondenza con le sale da pranzo. Ne risultarono ambienti eleganti, come possiamo tuttora vedere, che allo stesso tempo erano espressione del prestigio e della magnificenza della corte sabauda. Anche il parco venne ampliato e trasformato su progetto di Michel Bénard in un capolavoro di simmetria e bellezza, con specchi d’acqua e fontane, su tutte la maestosa Fontana dei quattro Fiumi con le sculture dei fratelli Filippo e Ignazio Collino.

Ma fu con la Restaurazione e il ritorno dei Savoia che il Castello di Agliè trovò nuova vita dopo il periodo napoleonico, durante il quale il complesso venne utilizzato come ricovero di mendicità. Il castello conobbe infatti un nuovo rinnovamento con il re Carlo Felice, che ricevette in uso il castello da Marianna di Savoia duchessa di Chiablese, e la sua consorte Maria Cristina di Borbone che affidarono il vasto progetto di ammodernamento a Michele Borda. La coppia era grande appassionata d’arte, soprattutto la regina, che amava profondamente l’archeologia e le antichità, e fu proprio con loro che le collezioni artistiche si arricchirono notevolmente. Particolarmente significativa in questo senso è la Sala Tuscolana, dove sono custoditi preziosi reperti archeologici e antichi marmi provenienti dagli scavi della Villa Rufinella a Frascati. Fu per volontà della regina Maria Cristina che, nel 1827, Giacomo Spalla iniziò a occuparsi della sistemazione dei reperti presso il Castello di Agliè. Tra i reperti più pregiati spicca una statua in marmo bianco raffigurante l’imperatore Tiberio; l’imperatore è qui ritratto con una splendida lorica, la corazza da parata romana, decorata con due grifi finemente scolpiti. Sulla spalla invece tiene il paludamentum, il mantello che contraddistingueva i generali romani. Vi è poi un imponente cratere marmoreo a campana, riccamente decorato, proveniente dalla Casa dei Cecili di Tuscolo, e un sarcofago in marmo adornato sul quale si riconoscono con Apollo, Atena e le nove Muse, protettrici delle Arti.

Il re e la regina destinarono inoltre alcuni ambienti allo svago, includendo nelle sale tavoli da biliardo e tavoli da gioco, privilegiando uno stile che combinasse attraverso un’attenta scelta degli arredi le comodità e i piaceri di una residenza da villeggiatura con l’eleganza che non doveva mai mancare per il proprio status. Le due gallerie, le sale annesse, il teatro, l’Appartamento Reale, la Sala Rossa, la Sala Gialla, la Sala Blu (queste ultime caratterizzate da tappezzerie dei vari colori che danno il nome alle sale) e la Camera della Regina, dove Maria Cristina di Borbone volle che il suo monogramma comparisse su tutti gli arredi, incarnano ancora oggi il raffinato gusto della coppia.

Salone d'Onore
Salone d’Onore
Salone d'Onore
Salone d’Onore
Salone delle Guardie del Corpo
Salone delle Guardie del Corpo
Biblioteca
Biblioteca
Sala del Biliardo
Sala del Biliardo
Studio del Duca di Genova
Studio del Duca di Genova
Sala Tuscolana
Sala Tuscolana
La Galleria
La Galleria
Sala Cinese
Sala Cinese

Carlo Felice di Savoia era un grande appassionato di teatro tanto che, nel 1825, decise di far costruire all’interno del Castello un piccolo teatro, la cui realizzazione venne affidata all’architetto Michele Borda di Saluzzo, già impegnato in quegli anni nella ristrutturazione della residenza. Il palco reale, decorato con motivi floreali di loto e palmette, è sormontato da un monogramma che intreccia le iniziali del re e della regina Maria Cristina di Borbone. Ciò che rende straordinario questo ambiente è il perfetto stato di conservazione degli arredi lignei originali e del corredo pittorico, come il sipario, dipinto dal piemontese Luigi Vacca con una scena raffigurante Orfeo ed Euridice, oltre al sistema di quinte e di scene ideato dallo scenografo Fabrizio Sevesi, ancora oggi funzionante. Al piano superiore si trova invece l’alloggio degli artisti drammatici, anch’esso ancora completamente arredato, che accoglieva gli attori giunti al castello per esibirsi nel teatrino. A Carlo Felice si deve anche il restauro nel 1827 della Cappella di San Massimo: intervenne principalmente sull’aula, mantenendo però intatto l’originale impianto decorativo della cupola ma rinnovando il pavimento, le pareti a stucco decorate e l’altare che fece realizzare da Pietro Cremona. A pianta quadrata, la Cappella è sormontata da una volta ottagonale decorata con raffinati stucchi seicenteschi e affreschi raffiguranti le Storie della Vergine, opera di maestranze luganesi. La pala sull’altare raffigura L’Elemosina di San Massimo, attribuita a Giovanni Claret, mentre il Crocifisso in avorio venne realizzato da Giacomo Marchino, allievo di Giuseppe Bonzanigo. Al centro della cappella si trova poi un monumento particolare, opera di Giacomo Spalla, che include una colonna sormontata dalla statua di San Paolo. Questa fu un dono del papa Leone XII in riconoscimento del contributo di Carlo Felice per il restauro della Basilica di San Paolo fuori le Mura a Roma, distrutta da un incendio nel 1823, come riportato dall’epigrafe sulla parete destra della Cappella. Gli angeli reggicandelieri sono invece opera di Luigi Duguet. La Cappella di San Massimo, costruita sul sito di un precedente edificio religioso, venne realizzata tra il 1642 e il 1657 per volere di Filippo San Martino d’Agliè e su progetto (sebbene non documentato) di Amedeo di Castellamonte e prevedeva inizialmente la costruzione di due cappelle gemelle: una dedicata a San Massimo e l’altra a San Michele, quest’ultima situata dove oggi sorge il teatrino. Anche il parco venne trasformato, da Xavier Kurten secondo il gusto romantico ottocentesco, con laghetti, boschetti e radure.

Maria Cristina rimase legata al Castello di Agliè anche dopo la morte di Carlo Felice nel 1831: fu per lei luogo di buen ritiro, dove si rifugiava nei momenti di vita ritirata fuori dalle dimore ufficiali di Torino e dove custodiva le sue collezioni e le sue belle porcellane che ancora oggi sono riunite in parte nelle vetrinette della lunga Galleria verde.

Alla morte di Maria Cristina nel 1849, il castello passò poi a Ferdinando di Savoia-Genova il quale preferì vivere, insieme alla moglie Elisabetta di Sassonia e ai figli, ovvero la futura regina d’Italia, Margherita, e Tommaso, negli ambienti dell’attuale Appartamento Chierici. E infine Tommaso, figlio di Ferdinando di Savoia-Genova, e sua moglie Isabella di Baviera modificarono alcune stanze del castello per adattarle al loro gusto e alle loro esigenze. La duchessa si dilettava talvolta nella pittura e durante il primo conflitto mondiale ospitò nella parte più antica del castello un piccolo presidio ospedaliero destinato alla convalescenza degli ufficiali di guerra. Il duca invece, ammiraglio della marina militare italiana e successivamente luogotenente generale del Regno d’Italia, era un appassionato collezionista di cimeli di viaggio, con particolare interesse per gli oggetti orientali. Molti di questi sono oggi esposti nella Sala Cinese, tra cui spiccano tre curiose armature giapponesi e un grande piatto in carapace di tartaruga di manifattura giapponese con la tecnica della lacca d’oro. Nel 1939 la residenza fu venduta allo Stato Italiano che diventò museo dal 1982 con l’apertura al pubblico del castello e del parco dopo il ventennale restauro diretto dalla Soprintendenza alle Belle Arti.

Visitare oggi il Castello di Agliè significa intraprendere un viaggio attraverso secoli di storia. Dalla maestosità del Salone d’Onore all’eleganza delle sale adornate con stucchi, tappezzerie e lampadari in cristallo scintillante, dalle collezioni di statue, porcellane, dipinti, reperti archeologici e oggetti orientali al grande parco che lo circonda, ogni angolo racconta una storia.

Il Teatro
Il Teatro
Il Teatro
Il Teatro
Sala Gialla
Sala Gialla
Vestibolo Blu
Vestibolo Blu
Galleria Verde
Galleria Verde

Si dice inoltre che anche il Castello di Agliè, come ogni castello che si rispetti, abbia il suo fantasma che si aggira tra le sue mura: sarebbe quello della principessa Vittoria di Savoia Soisson, morta a Torino nel 1763, che nel suo testamento designò come erede universale Benedetto Maria Maurizio di Savoia, duca del Chiablese e figlio di Carlo Emanuele III. Nelle memorie della sua dama d’onore, la contessa Angelica Von Kottulin Lodron, viene descritta come una donna “brutta, piccola, assai pingue, occhietti neri, un gran naso lungo, una bocca sottile e una fronte bassa, che vestiva da vecchia francese della borghesia, con delle cuffie a quattro barbine e degli abiti molto semplici e all’antica”. Una nobildonna di brutto aspetto, come testimonia l’inquietante e realistico busto di cera privo di qualsiasi idealizzazione che ancora oggi scruta i visitatori da dentro una teca in una delle sale del Castello. Lo realizzò Francesco Orso nella seconda metà del Settecento raffigurando la principessa con un abito riccamente ornato da pizzi e decorazioni, una cuffia sul capo e una stola sulle spalle che si incrocia sul petto.

Dell’esistenza del fantasma di Vittoria di Savoia Soisson era convinto un soprintendente che negli anni Cinquanta del Novecento visse per molto tempo nel castello: durante la sua permanenza, nel cuore della notte, si continuavano a rompere i vetri di alcune stanze del torrione destro e a queste rotture si accompagnavano sospiri, fruscii e rumori sospetti che l’uomo collegò quindi al fantasma, ma probabilmente la principessa non abitò mai nel castello neanche da viva...

A parte il fantasma che aggiunge un po’ di brivido alla storia della dimora, il castello ha continuato a stupire e a incantare. Anche su schermo. Negli ultimi decenni, il castello è stato scelto infatti come set cinematografico per film e serie televisive. Tra tutte, come non ricordare Elisa di Rivombrosa con Vittoria Puccini nei panni della giovane e bella Elisa Scalzi, dama di compagnia di umili origini della contessa Agnese Ristori di Rivombrosa, che conosce e si innamora del figlio della nobildonna, il conte Fabrizio Ristori, interpretato da Alessandro Preziosi? Chi ha seguito la loro storia d’amore tra cospirazioni e inganni ripenserà, visitando il Castello di Agliè, proprio a certi luoghi che sono stati scenario delle vicende ambientate in quella che era la dimora dei conti Ristori.

Vi è stata ambientata poi la miniserie televisiva La bella e la bestia, con Blanca Suárez e di nuovo Alessandro Preziosi, e Maria Josè, l’ultima regina, miniserie andata in onda nel 2002 che racconta la vita di Maria José, l’ultima regina di Italia, dal 1917 alla fine della monarchia dopo il referendum del 1946, e girata tra il Palazzo Reale di Torino, il Castello di Agliè e la Reggia di Racconigi.

In effetti le storie di conti, contesse, principesse e regine si raccontano meglio in quei luoghi dove hanno abitato e vissuto duchi, conti e re anche nella realtà. E il Castello di Agliè è uno di quelli.


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Ilaria Baratta

L'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta

Giornalista, è co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. È nata a Carrara nel 1987 e si è laureata a Pisa. È responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.




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