Un castello grande quanto un borgo: storia del Castello Consortile di Buronzo


A Buronzo, nel vercellese, si trova un raro esempio di castello consortile: è il Castello di Buronzo, un complesso fortilizio grande quanto un borgo. O un borgo che ha la forma di castello. Di sicuro un luogo eccezionale, tutto da scoprire.

Un castello che è grande quanto un intero borgo, o un borgo che ha la forma di un castello: è questa l’impressione che si ricava quando si arriva al Castello Consortile di Buronzo, un raro complesso di caseforti e torri che sorge nel cuore della Baraggia, l’area nei pressi di Vercelli caratterizzata da altipiani di origini fluvio-glaciale dove boschi di querce e betulle lasciano il posto ad ampie radure in cui crescono solo erbe e arbusti, dando luogo a un paesaggio che a molti ricorda quello della savana africana. Il Castello cominciò a svilupparsi nel Medioevo aggrappato proprio a uno dei terrazzi della Baraggia, affacciato sul torrente Cervo: le più antiche notizie del Castrum Burontii risalgono all’XI-XII secolo, con la costruzione della prima fortificazione, poi successivamente ampliata. Già nel Trecento, infatti, il Castello di Buronzo aveva assunto la forma di un complesso di palazzi circondati da una cinta muraria che doveva aprirsi con la torre-porta merlata che ancor oggi si può ammirare, ed è il punto di partenza della visita al nucleo più interno del complesso fortificato (e già in antico ne costituiva l’accesso).

Sempre nel XIV secolo è documentata l’esistenza di un ricetto, una fortificazione collettiva che doveva servire probabilmente a tutta la comunità di Buronzo, mentre è nel Quattrocento che il castello si arricchisce di edifici destinati alle attività produttive. Nel frattempo, il Castello era cresciuto a occupare tutto il terrazzo su cui sorge, con edifici abitati e utilizzati dai diversi rami della famiglia dei signori di Buronzo: attraverso ristrutturazioni, riedificazioni e rimaneggiamenti che si susseguirono dal Seicento in avanti, passando per frazionamenti che interessarono il complesso soprattutto nell’Ottocento quando ormai da tempo le famiglie che abitavano il Castello si erano trasferite altrove e ne erano subentrate altre da fuori, oltre che per episodi di degrado, abbandono e infine di restauro e recupero, si è giunti ai giorni nostri. E quello che oggi vediamo è un polo fortificato che, scrive Enzo Givone nella ricca guida al castello pubblicata da Edizioni Kalikanto nel 2018, “costituisce quasi per intero il complesso monumentale del centro storico”.

Veduta del Castello Consortile dall'alto
Veduta del Castello Consortile dall’alto


Veduta di Buronzo
Veduta di Buronzo


Piazza dei Caduti, sulla quale si affacciano alcune delle antiche caseforti del Castello Consortile
Piazza dei Caduti, sulla quale si affacciano alcune delle antiche caseforti del Castello Consortile


Le caseforti di Via Castello
Le caseforti di Via Castello


Le caseforti di Via Castello
Le caseforti di Via Castello


Una parte del cortile del Castello Comunale
Una parte del cortile del Castello Comunale

I signori di Buronzo e la gestione del Castello Consortile

Per risalire alle origini del castello consortile è necessario ripercorrere la storia dei signori di Buronzo, originari di Casalvolone, piccolo centro situato poco fuori Vercelli, e ufficialmente documentati a partire dal 1226 con Robaldo di Buronzo, considerato il capostipite della famiglia. Dai suoi discedenti si originarono i sette rami della famiglia che abitarono il Castello, detti “colonnellati” (Agacia, Berzetti, Bucino, Delle Donne, Gottofredo, Plebano e Presbitero), riunitisi poi in un vero consorzio per gestire il castello, dato che già in tempi antichi era divenuto una struttura tanto complessa da richiedere regole per abitarlo, vincolanti per tutti i residenti. Risale al 4 maggio del 1481 il primo documento notarile che fissa le norme affinché il complesso potesse essere gestito con ordine. Gli studiosi Enzo Givone e Palmina D’Alessandro hanno individuato in particolare tre punti qualificanti: l’elezione del “chiavaro”, ovvero la figura che amministrava la cassa comune e convocava le assemblee; la scelta dei candidati ai benefici ecclesiastici di pertinenza del feudo; le norme per la conduzione dei beni fondiari. Non esiste un’edizione delle regole: è possibile però ricordarne alcune, per esempio il divieto di non ingombrare con costruzioni abusive (come pollai, porcili o tettoie) la piazza e le vie, “indice di un affollamento interno”, ci spiega lo studioso Gabriele Ardizio, “che in epoca bassomedievale probabilmente determinava tentativi di occupazioni indebite, come ad esempio ricorda una versione delle regole del 1565: nullus ex nobilibus Buroncii debeat tenere vel facere porcherias, casettas sive pollarios in loco publico sive in stratis publicis sive consortilibus in castro, circha vel ricetto vel villa”.

La gestione del castello evidentemente dovette funzionare bene, dato che i signori di Buronzo, forti della protezione dei Savoia, prosperarono per secoli, arrivando al loro apogeo tra il Cinque e il Seicento, con poche interruzioni drammatiche (come quando il Castello di Buronzo venne assaltato dai soldati spagnoli nel 1558 durante la guerra tra gli Asburgo e i Valois per il dominio sull’Italia). Già a partire dall’inizio del XVIII secolo si cominciò tuttavia a registrare l’inizio del declino: il registro dei passaggi di proprietà dei terreni di pertinenza del castello, spiegano Enzo Givone e Palmina D’Alessandro, “risalente al primo Settecento, mostra che quasi tutto il territorio di Buronzo [...] apparteneva alle varie famiglie del conrostile, lasciando poco spazio per altri soggetti [...]. Ma questo stesso libro mostra la progressiva inarrestabile decadenza delle poche famiglie superstiti dei signori, a partire dal primo Ottocento, i cui beni fondiari furono gradatamente alienati, e anche l’inesorabile dissoluzione dell’imponente patrimonio immobiliare”.

Il corpo del castello con il loggiato e l'appartamento delle imprese
Il corpo del castello con il loggiato e l’appartamento delle imprese


L'appartamento delle imprese
L’appartamento delle imprese


L'appartamento delle imprese
L’appartamento delle imprese


L'appartamento delle imprese
L’appartamento delle imprese


Impresa del melograno
Impresa del melograno


Impresa dell'edera e dell'alloro
Impresa dell’edera e dell’alloro


La sala del camino
La sala del camino

La visita al Castello di Buronzo

Oggi, la visita al castello consortile si può condurre essenzialmente in due momenti: il primo è la visita al “castello comunale” o “castellone” (questo il nome con cui è indicato localmente dalla tradizione popolare), ovvero al corpo che ingloba alcuni degli elementi più antichi del castello, e ai resti della Rocca, mentre il secondo è la passeggiata per i vicoli del borgo per scoprire le caseforti e gli edifici che facevano parte del complesso. Il percorso nel castellone comincia da un grande ambiente, noto come Sala della Torre: qui, dopo aver percorso un ampio salone, si possono vedere i resti ancora integri di un brano della grande torre quadrangolare che fa parte del nucleo più antico del primo fortilizio. Si tratta di una torre costruita in ciottoli di fiume disposti a spina di pesce e malta stilata, rinforzata sugli angoli con mattone. Si accede poi alla Sala del Camino, così detta per via del grande camino che occupa il lato destro, su cui fu affrescata la figura di un santo (probabilmente san Rocco) e dove si vede la scritta che indica la data in cui terminarono i lavori di risistemazione dell’ambiente, ovvero il 1721. Si prosegue in tre ambienti attigui che venivano utilizzati in antico come cantine e oggi sono invece una piccola sede espositiva.

Si torna quindi nell’atrio e si giunge all’appartamento delle imprese, la parte più sontuosa del castellone, dovuta ai Presbitero o ai Del Signore e frutto di estesi rifacimenti risalenti al Cinque-Seicento, che trasformarono questa parte dell’antico fortilizio in una dimora aggiornata secondo i gusti del tempo. Nelle sale che compongono l’appartamento corre un fregio decorato con “imprese”, figurazioni dove a un “corpo” (ovvero una figura: poteva essere un personaggio, un animale, un oggetto, e così via) era accompagnata un’anima, vale a dire un motto illustrativo. In Piemonte, la cultura delle imprese si diffuse nel secondo Cinquecento e conobbe un certo impulso al tempo di Carlo Emanuele I di Savoia. Le imprese di Buronzo, riscontra Luisa Clotilde Gentile, derivano da due opere a stampa: le Imprese illustri di diversi di Camillo Camilli, stampate per la prima volta a Venezia nel 1586, e Le imprese sacre di Paolo Aresi, pubblicate in più volumi tra il 1624 e il 1640 (le imprese di Buronzo si riferiscono ai primi due volumi). Non sappiamo chi sia il pittore responsabile del ciclo di imprese, né quali criteri abbia seguito: “dall’esame delle imprese rispetto al loro significato”, spiega Gentile, “non consta che esista un vero e proprio ordine logic e gerarchico, fatta eccezione per la sala III che è interamente costituita da emblemi riferiti a persone e concetti sacri tratti dall’Aresi”. Se le imprese di Camilli, infatti, si riferivano alle virtù di personaggi illustri, quelle di Aresi, più complesse, entrano in rapporto con concetti teologici, personaggi delle Sacre Scritture, precetti dell’oratoria sacra del Seicento: se dunque in Camilli è più evidente l’evento celebrativo, le imprese di Aresi assumono significati più moraleggianti. Due esempi chiariranno meglio gl’intenti: deriva da Camilli l’impresa della salamandra, del nobile veronese Mario Bevilacqua. Si riteneva in antico che la salamandra sopravvivesse nel fuoco e che, anzi, si nutrisse di fuoco: nell’impresa, lo specchio riflette il raggio di sole (emblema di Apollo, dio delle arti) accendendo il fuoco (il motto “intus ad omnem” significa “dentro ad ogni”, sottinteso “fuoco”) e identificando pertanto il nobile come la salamandra che si nutre del fuoco delle arti. È desunta invece da Aresi l’impresa dell’elefante con la mano che spreme il grappolo d’uva, accompagnato dalla scritta “Acuor in proelio” (“Sono spronato a combattere”): nel libro dei Maccabei si legge infatti di come i soldati di Giuda Maccabeo avessero posto dinanzi agli elefanti succo d’uva per spronarli alla battaglia, e allo stesso modo contemplare la Passione di Cristo (il succo d’uva allude al sangue versato sulla croce) infonde coraggio ai timidi.

Tornati nel cortile, si può terminare la visita ammirando la torre-porta merlata, che come detto costituisce l’accesso al nucleo più interno del castello, e i resti della Rocca, caratterizzata da un corpo in laterizio sul quale si osservano bifore a tutto sesto, tra le quali è da notare l’ultima a destra del registro superiore che, spiega Gabriele Ardizio, con la sua elaborata strombatura “rivela il richiamo a modelli di impronta romanica che, anche in ambito vercellese, sono caratterizzati da una lunga persistenza”. È difficile stabilire una datazione per la Rocca, che rappresenta una delle parti architettonicamente più interessanti del Castello: si rivela infatti, scrive ancora Ardizio, “un edificio caratterizzato dal protrarsi di successive fasi di cantiere, ancora oggi intuibili dall’osservazione della tessitura muraria”, anche se la prima impostazione appare risalire alla fine del Duecento, seguita poi da una fase trecentesca che risulta dalla raffinatezza delle decorazioni (la facciata su via Rivetto, date le sue caratteristiche estetiche, è sicuramente del Trecento). La Rocca si presenta oggi nello stato in cui la vediamo perché fu presumibilmente abbandonata già in epoca antica.

Il castello, tuttavia, come detto si estendeva in antico ben oltre la parte oggi visitabile: il Castello Consortile di Buronzo occupava tutto il terrazzo che oggi corrisponde al centro storico del borgo, e alcune ali del castello sono state nei secoli ristrutturate, riadattate, trasformate in palazzi, come l’elegante Palazzo Doria Lamba (nel 1852 il marchese genovese Marco Doria Lamba rilevò la proprietà di questa parte del Castello, facendola diventare una sua residenza), o ancora il Palazzo Berzetti di Murazzano, e la stessa sede del municipio, il Palazzo Comunale, ricavato nel 1863 da un’ala del Castello che era ormai caduta in rovina e fu ristrutturata per dotare Buronzo di un nuovo municipio. E in molti di questi palazzi si conservano ancora splendidi affreschi. Per conoscere tutto il castello occorre dunque aggirarsi per le vie del borgo.

La torre-porta merlata e le caseforti di piazza Caduti
La torre-porta merlata e le caseforti di piazza Caduti


La torre-porta merlata e le caseforti di piazza Caduti
La torre-porta merlata e le caseforti di piazza Caduti


Resti della Rocca
Resti della Rocca


Resti della Rocca
Resti della Rocca


Il castellone di sera
Il castellone di sera

Il restauro

L’ultimo capitolo della storia del Castello di Buronzo è il restauro avviato nel 2006 con lo scopo di restituire alla collettività una vasta parte dell’antico complesso fortificato. L’interesse per il castello si era risvegliato negli anni Novanta, quando è cominciata un’intensa attività di studio attorno al complesso, che ha portato a una serie di importanti pubblicazioni. Così, tra il 2000 e il 2006, il Comune ha acquisito una parte importante del Castello, predisponendo un piano di valorizzazione, e nel 2006, come anticipato, sono partiti gli interventi, per un valore di sei milioni di euro, sostenuti grazie ai contributi dell’Unione Europea.

Sono serviti due anni per aprire il castello restaurato: nel 2008, il Castello Consortile di Buronzo ha aperto le porte al pubblico diventando un monumento visitabile e una sede di attività culturali, mostre, eventi, convegni, oltre che spazio per cerimonie private. Non ultimo, viene riconosciuto un ruolo importante alle scuole alle quali, come scrive Davide Delriu, assessore con delega al Castello, viene offerto “un articolato programma di attività didattiche, cercando così di coinvolgere un bacino di utenza più ampio possibile ed esercitare un’azione territoriale che, anche mediante la ricerca di alleanze e sinergie con altri enti ed istituzioni, divenga una delle direttrici operative privilegiate nella formulazione di progetti di valorizzazione a medio e lungo termine”. Oggi, peraltro, il Castello di Buronzo è l’unica struttura fortificata del vercellese ad essere regolarmente aperta. E di sicuro continuerà ad attirare un sempre maggior numero di visitatori.


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Gli autori di questo articolo: Federico Giannini e Ilaria Baratta

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