Nella biografia dedicata a Virgilio (Andes, 70 a.C. – Brindisi, 19 a.C.), il retore Elio Donato descrive il poeta latino come “di corporatura e di altezza grande, di colorito bruno e di lineamenti rudi”: si tratta della più ampia biografia oggi esistente di Publio Virgilio Marone, che risale al IV secolo d.C., e da cui è possibile trarre le notizie più significative della sua esistenza. Il noto grammatico del IV secolo, autore inoltre di un commento oggi perduto dell’opera virgiliana, si è basato probabilmente sulla compilazione storico-letteraria De viris illustribus di Svetonio (69 d.C. circa – 126 d.C. circa), datata II secolo d.C., la cui veridicità era attestata da dati provenienti dalla cerchia di Virgilio stesso. Nel corso della storia dell’arte il celebre poeta latino è stato raffigurato in svariate occasioni sia in pittura che in scultura, talvolta seguendo la descrizione fornita dalle notizie reali del suo aspetto, altre volte rappresentandolo in un ritratto idealizzato dall’artista. Si è qui scelto di ripercorrere alcune delle opere che presentano come soggetto l’autore mantovano, realizzate in diverse epoche artistiche, soffermandoci in particolare sulle arti pittoriche. Come già affermato infatti Virgilio compare con fattezze molto differenti le une dalle altre: dalla più antica testimonianza che ci è fino ad oggi pervenuta, risalente al III secolo d.C. (che, pur non essendo una pittura, s’è ritenuto opportuno menzionare), all’arte trecentesca, per poi proseguire nel Rinascimento, nell’arte secentesca per giungere infine a un’opera appartenente al Neoclassicismo.
Di epoca vicina alla descrizione di Svetonio e di Donato è il mosaico scoperto nel 1896 nell’Africa Proconsolare, tra le rovine di una casa romana detta Maison de l’Arsenal, oggi conservato al Museo del Bardo di Tunisi: un’opera molto significativa e importante perché unica testimonianza di epoca antica dei tratti individualizzati del poeta, anche se approssimativi. La dimora era decorata inoltre con altri mosaici raffiguranti le storie di Enea e Didone, protagonisti dell’Eneide.
Virgilio è qui seduto in cattedra al centro della scena; indossa una toga contabulata di lana chiara, utile per la stessa datazione del mosaico, poiché questo tipo di toga era tipico del tardo impero ed era caratterizzato dal suo lembo anteriore che trasversalmente cingeva il torace dell’uomo che la indossava. Ha lo sguardo fisso nel vuoto, in meditazione o concentrato forse nel proferire le parole scritte sul rotolo che tiene sulle ginocchia. Parole che invocano la musa, chiamata in aiuto nell’ispirazione poetica: sul rotolo si leggono infatti versi del proemio della sua Eneide “Musa mihi causas memora, quo nomine laeso, quidve”: il verso interrotto sottolinea maggiormente il fatto che il poeta stia cercando di completarlo, e per questa ragione appare meditabondo invocando la musa. I tratti del viso sono rudi, con gli zigomi pronunciati e un colorito scuro; le sopracciglia e gli occhi sono marcati, mentre il naso risulta danneggiato. In piedi, ai lati del poeta, sono raffigurate due muse, ciascuna definita con abbigliamento e atteggiamento differente l’una dall’altra.
La musa che è posta a sinistra rispetto all’osservatore veste un abito verde con strisce di colore più scuro lungo fino a terra e senza maniche e attorno ai fianchi e alla sua spalla sinistra è un mantello dai toni quasi ambrati. Sulla testa si nota una piuma, attributo delle muse, simbolo probabilmente di vittoria sulle sirene nel canto. Tra le mani regge un rotolo aperto e sembra in atto di pronunciare parola, con lo sguardo rivolto verso il poeta e la bocca semiaperta. È stata quindi identificata con Calliope, musa della poesia epica. Dall’atteggiamento più rilassato rispetto a quest’ultima che appare alquanto tesa, è raffigurata la musa a destra: tiene il gomito appoggiato allo schienale del seggio e con la mano regge il viso dallo sguardo assorto; la gamba destra è accavallata sulla sinistra. Indossa un abito rosso decorato con motivi dorati e un mantello verde che le ricade dalla spalla, mentre ai piedi si notano i coturni, una sorta di sandali dalla suola alta e spessa tipici degli attori tragici. Sulla testa è posta la piuma delle muse e nella mano sinistra stringe una grande maschera tragica: si tratta infatti di Melpomene, musa della poesia tragica. La presenza insolita di due muse vicino a un poeta, che solitamente è accompagnato da una sola, rimanda probabilmente al fatto che nell’Eneide, celebre poema composto da Virgilio negli ultimi anni della sua vita, dal 29 al 19 a.C, la poesia epica e la poesia drammatica convivono. Nel mosaico non rappresentano quindi le classiche muse invocate da un poeta, ma sono personificazioni del connubio esistente nel poema.
Anonimo mosaicista dell’Africa Proconsolare, Virgilio in cattedra tra due muse (inizio del III secolo d.C.; mosaico pavimentale, 122 x 122 cm; Tunisi, Museo Nazionale del Bardo) |
Totalmente differente dal ritratto di Virgilio nell’opera sopraccitata, è quello che appare nel cosiddetto Virgilio Ambrosiano, realizzato da Simone Martini (Siena, 1284 – Avignone, 1344) tra il 1338 e il 1343. Si tratta di una miniatura che fa da frontespizio al Commento di Servio a Virgilio, manoscritto che Francesco Petrarca (Arezzo, 1304 – Arquà, 1374) possedeva nella sua biblioteca personale. Ad Avignone, Petrarca ha commissionato all’artista senese a lui contemporaneo quest’opera miniata che intendeva sintetizzare l’intero contenuto del codice attraverso un’allegoria. In un paesaggio naturale, il poeta mantovano è raffigurato disteso ai piedi di un albero mentre sta componendo versi sul suo libro aperto sulle ginocchia: ha lo sguardo rivolto verso l’alto in atteggiamento pensoso; con la mano destra, appena sollevata, tiene un calamo, in segno d’ispirazione. Indossa una lunga veste bianca e il suo aspetto è idealizzato: ha i capelli biondi mossi sui quali è posta una corona d’alloro ed è rappresentato con la barba, diversamente dal Virgilio del mosaico di Tunisi.
L’autore viene svelato dal commentatore Servio, spostando una tenda trasparente, e contemporaneamente quest’ultimo indica Virgilio a una figura armata, personificazione dell’Eneide. Nella parte inferiore della pagina miniata si notano altre due figure: un personaggio con la roncola che sta tagliando rami delle piante e un pastore che seduto munge una capra; il primo è personificazione delle Georgiche, poema virgiliano antecedente all’Eneide dedicato all’agricoltura, il secondo personifica invece le Bucoliche, prima opera dello scrittore dedicata al mondo pastorale arcaico. Due cartigli tra il poeta disteso e le personificazioni delle Georgiche e delle Bucoliche mostrano versi latini composti da Petrarca in lode del poeta e del suo commentatore. A corredo di questa pagina allegorica, Petrarca ha aggiunto un terzo distico che recita “Mantua Virgilium, qui talia carmine finxit / Sena tulit Symonem, digito qui talia pinxit”, in omaggio alla poesia di Virgilio e all’arte di Simone Martini.
Simone Martini, Allegoria virgiliana, Frontespizio del Commento di Servio a Virgilio (1340; tempera e acquerello su pergamena, 20 x 29,5 cm; Milano, Veneranda Biblioteca Ambrosiana) |
Come si può ben immaginare, l’interesse per Virgilio e per la sua opera conobbe una vasta diffusione nella Mantova del Rinascimento: nel catalogo della mostra Virgilio. Volti e immagini del poeta, tenutasi nel 2011 a Palazzo Te, il curatore Vincenzo Farinella individuava in un evento tragico, la leggendaria distruzione di una statua di Virgilio durante i fatti che seguirono la battaglia di Governolo del 1397, lo spunto che portò gli umanisti che operavano a Mantova a immaginare di far realizzare un grande monumento dedicato al poeta: l’idea fu suggerita da Leon Battista Alberti e dal Platina a Ludovico Gonzaga nel 1460, e sfociò poi in un progetto mantegnesco (al Louvre oggi se ne conserva un disegno: di tutto ciò abbiamo parlato qui su Finestre sull’Arte in un articolo dedicato sia al monumento sia ai fatti che portarono alla sua ideazione) per un monumento fortemente voluto da Isabella d’Este (Ferrara, 1474 – Mantova, 1539), che tuttavia non trovò concretizzazione. S’aggiunga poi che il marito di Isabella, Francesco II Gonzaga (Mantova, 1466 – 1519), nutriva una forte passione per Virgilio, tanto da aver fatto decorare le sale di una residenza gonzaghesca, la cosiddetta Corte di Pietole o Virgiliana, con scene dedicate alla vita del poeta, e apparirà ancor più chiara l’importanza del revival virgiliano nella Mantova di fine Quattrocento – inizio Cinquecento. La fama del ciclo di Pietole fu tale che il segretario dell’imperatore Carlo V e vicecancelliere d’Aragona, Miguel Mai (Barcellona?, 1480 circa – 1546), dopo aver ammirato gli affreschi nel corso di una visita a Mantova forse nel 1532, chiese che gli fossero inviate copie, delle quali si sarebbe poi fatto carico Giulio Romano (Giulio Pippi de’ Jannuzzi, Roma, 1499 circa – Mantova, 1546).
Lo stesso Giulio Romano fu uno dei protagonisti del revival: sua è la decorazione di quello che Farinella definisce “l’ambiente più virgiliano di Mantova”, ovvero la Loggia delle Muse di Palazzo Te, realizzata prima del 1530. In questo ambiente, ha spiegato Farinella, assistiamo alla doppia celebrazione del committente, Federico II Gonzaga, e della cultura, “in un orizzonte al tempo stesso mantovano e gonzaghesco”: qui, infatti, “il marchese di Mantova, probabilmente assimilato ad Apollo, è il mecenate che consente alla cultura (artistica, letteraria, musicale e scientifica) di diffondersi liberalmente nel territorio gonzaghesco”. E il tramite di questa diffusione è proprio Virgilio: in un’immagine densa di riferimenti classici ma che trova riscontri anche nell’arte rinascimentale (in particolare in un disegno della bottega di Mantegna, oggi conservato al Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli Uffizi, dove vediamo una ninfa che fa fuoriuscire acqua da un’anfora, nel contesto di una scena allegorica dal significato non ancora chiarito fino in fondo), il poeta è raffigurato come allegorica fonte che fa fluire l’acqua della sapienza su tutto il territorio mantovano (vediamo la sua testa laureata che sporge dentro una fontana). E sempre nella cerchia di Giulio Romano fu inventata una nuova iconografia di Virgilio, che lo vedeva giovane, bello, coronato di alloro, e con in mano il flauto di Pan (in riferimento alle sue composizioni pastorali, le Egloghe e le Bucoliche): se ne conserva il prototipo in un dipinto conservato in Polonia, nel Castello di Wavel (sarebbe poi stato replicato, a cominciare con un’immagine che compare nella terza edizione dell’Eneide tradotta da Tommaso Cambiatore, pubblicata a Venezia nel 1532). L’invenzione riecheggia poi nell’episodio con Augusto e la Sibilla inventata attorno al 1540 da Giulio Romano (se ne conserva un disegno a Monaco di Baviera, ma non se ne conosce la destinazione), dove Virgilio, sempre con alloro e syrinx, assiste alla scena: si conserva tuttavia un frammento di un perduto affresco (che forse in origine decorava un palazzo gonzaghesco), eseguito probabilmente da Rinaldo Mantovano (Mantova, attivo tra il 1527 e il 1539), riconosciuto nel 2011 da Stefano L’Occaso, secondo il quale tale lacerto fu probabilmente conservato per rispetto nei confronti del poeta (l’opera oggi è custodita al Museo della Città in Palazzo di San Sebastiano a Mantova).
Cerchia di Andrea Mantegna, Progetto per monumento a Virgilio (1499 circa; disegno, 340 x 220 mm; Parigi, Louvre, Cabinet des dessins; inv. RF 439) |
Giulio Romano, Lunetta orientale della Loggia delle Muse (prima del 1530; affresco; Mantova, Palazzo Te) |
Bottega di Andrea Mantegna, Scena mitologica (1500 circa; penna e inchiostro blu, acquerelli azzurro e nero, carta bianca ingiallita, 264 x 398 mm; Firenze, Gallerie degli Uffizi, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe) |
Cerchia di Giulio Romano, Ritratto di Virgilio con la syrinx (1524-1532 circa; Cracovia, Castello di Wavel) |
Rinaldo Mantovano (?), Virgilio con la syrinx (1540 circa; affresco strappato di 55 x 48 cm montato su pannello di 62,2 x 52,8 cm; Mantova, Museo della Città in Palazzo di San Sebastiano) |
Proseguendo con i ritratti pittorici di Virgilio nella storia dell’arte, citiamo un’altra famosa opera, anch’essa cinquecentesca, dove il poeta è raffigurato in una scena più complessa e affollata, circondato da una moltitudine di personaggi. Stiamo parlando del Parnaso di Raffaello (Urbino, 1483 – Roma, 1520), magnifico affresco che è possibile ammirare nella Stanza della Segnatura dei Musei Vaticani, compiuto tra il 1510 e il 1511 su commissione di Giulio II della Rovere.
Il grande affresco raffaellesco consta della raffigurazione del monte Parnaso, al centro del quale siede, con lo sguardo rivolto verso il cielo e con la testa coronata d’alloro, il dio Apollo, mentre sta suonando la lira da braccio.
Attorno a lui sono poste, alcune in piedi e altre sedute, le nove Muse, le protettrici delle arti, e poeti antichi e moderni. Tra questi sono riconoscibili uno accanto all’altro Dante (Firenze, 1265 – Ravenna, 1321), Omero e Virgilio, collocati a sinistra nella parte superiore dell’affresco. Il trio di sommi poeti appare ben caratterizzato: spicca Omero, più anziano, davanti agli altri due, per sottolinearne la maggiore importanza; alla sua destra, di profilo, è Dante, mentre il giovane Virgilio è rappresentato con il volto di tre quarti, mentre sta indicando il dio Apollo rivolgendosi a Dante. L’aspetto di Virgilio è ancora molto diverso da quanto descritto dagli antichi biografi, è un ritratto di nuovo idealizzato: ha la carnagione chiara, i capelli ricci di colore castano chiaro e i lineamenti sono tutt’altro che rudi. Qui Virgilio svolge la funzione di guida nei confronti di Dante, conducendolo verso la fonte dell’ispirazione della mitica divinità con la lira, dio della musica e di tutte le arti.
Raffaello, Il Parnaso (1510-1511; affresco, base 670 cm; Città del Vaticano, Musei Vaticani, Stanza della Segnatura) |
Raffaello, Il Parnaso, dettaglio |
Virgilio è raffigurato in compagnia di Dante nel dipinto Dante e Virgilio varcano la porta dell’Inferno realizzato da Rutilio Manetti (Siena, 1571 – 1639) tra il 1629 e il 1632 e custodito presso la Pinacoteca di Siena. L’autore dell’Eneide viene definito dall’Alighieri come “de li altri poeti onore e lume” al momento del loro incontro nel I canto dell’Inferno dantesco e, in egual modo al Parnaso raffaellesco, il poeta mantovano guida Dante, questa volta nei gironi dell’Inferno, facendogli conoscere tutti gli aspetti del mondo dell’aldilà e dandogli conforto. Arrivati davanti alla porta infernale sulla quale campeggia la celebre frase “Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate”, Dante è quasi spaventato. “E poi che la sua mano a la mia puose / con lieto volto, ond’io mi confortai, / mi mise dentro a le segrete cose”: è proprio questa terzina a ispirare il dipinto di Manetti. Sullo sfondo di un bosco, Dante e Virgilio varcano la grande porta di pietra dell’Inferno al centro della composizione; la scena è illuminata solo dalla luce che proviene dall’esterno della porta, dal bosco. Virgilio avanza con leggiadria e con sicurezza oltre il varco di pietra, abbigliato con vesti tipiche dell’antichità; anche il suo volto rimanda alla ritrattistica scultorea antica. Dante invece avanza in maniera insicura, dubbiosa, ma ciò che viene ben evidenziato nel dipinto è il pathos sentimentale, la forte partecipazione emotiva espressa dai reciproci sguardi e dalla stretta di mani, elemento significativo che rimanda alla terzina della Commedia.
Per concludere questo breve excursus sui ritratti pittorici di Virgilio attraverso la storia dell’arte, abbiamo pensato di analizzare un dipinto appartenente al Neoclassicismo, realizzato da uno dei più grandi interpreti del movimento: Jean-Auguste-Dominique Ingres (Montauban, 1780 – Parigi, 1867).
Rutilio Manetti, Dante e Virgilio varcano la porta dell’Inferno (1629-1632 circa; olio su tela, 278 x 218 cm; Siena, Pinacoteca Nazionale) |
Jean-Auguste-Dominique Ingres, Tu Marcellus Eris (1811; olio su tela, 326 x 307 cm; Tolosa, Musée des Augustins) |
L’artista portò a termine questo dipinto nel 1812, scegliendo di rappresentare la lettura di uno dei passi più toccanti dell’Eneide: nel sesto libro del poema virgiliano, Enea giunge nei Campi Elisi, luogo dove dimoravano i beati; qui incontra il padre Anchise che lo accompagna a esplorare queste terre, mentre descrive al figlio molti personaggi protagonisti della storia repubblicana. Tra questi, gli mostra il giovane Marcello, nipote di Augusto e figlio di Ottavia, sorella dell’imperatore. Il giovane era morto prematuramente a soli diciannove anni, nel 23 a.C. e Anchise nella sua descrizione, dopo aver raccontato i pianti e la disperazione dovuti alla terribile disgrazia, afferma: “Heu, miserande puer, si qua fata aspera rumpas, tu Marcellus eris” (Ohimé , fanciullo degno di pietà, se potrai forzare in qualche modo il destino crudele, sarai un degno Marcello!).
Nel suo dipinto Ingres rappresenta quindi il tema del Tu Marcellus eris raffigurando Virgilio in piedi, coronato d’alloro, mentre legge il citato passo di fronte ad Augusto, Livia, Ottavia, Agrippa e Mecenate: in un ambiente della dimora dell’imperatore, infatti, Augusto e Livia, sua seconda moglie, siedono al centro della scena (quest’ultima è tra l’altro l’unica figura del quadro con lo sguardo rivolto verso l’osservatore), e in mezzo a loro Ottavia, madre del giovane Marcello, è completamente svenuta, con la testa sulle ginocchia del fratello. Agrippa e Mecenate guardano la scena dal margine destro del dipinto, mentre il poeta, illuminato dalla candela che arde in alto vicino a lui, è rivolto verso tutti i personaggi. La lettura del passo dell’Eneide è così toccante e ancora dolorosa per Ottavia da provocare lo svenimento di quest’ultima e il fratello, con la mano destra, fa il gesto di interrompere la lettura. Ancora una volta, le fattezze di Virgilio non sono compatibili con la descrizione dei biografi di “colorito bruno e di lineamenti rudi”: Ingres mostra Virgilio come un giovane dall’aspetto raffinato e dai lineamenti chiari e delicati, e sensibile d’animo.
Il dipinto è stato commissionato all’artista da Sextius-Alexandre-François Miollis, governatore francese di Roma dal 1808 al 1814 e promotore di celebrazioni in onore di Virgilio, per la sua residenza a Villa Aldobrandini. L’opera è oggi custodita al Musée des Augustins di Tolosa.
Queste sono solo alcune delle opere che rimandano al poeta latino: la storia dell’arte gli ha infatti dedicato numerosi capolavori, sia raffigurando lui stesso sulla tela sia raccontando scene dei suoi famosi poemi. Dall’arte antica all’arte contemporanea Virgilio è stato fonte d’ispirazione, celebre personaggio che sarà ricordato e amato per l’eternità.
Bibliografia
L'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta
Giornalista, è co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. È nata a Carrara nel 1987 e si è laureata a Pisa. È responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.