I Modi di Giulio Romano: la vera storia di un'opera hardcore


I Modi di Giulio Romano, prima opera hardcore moderna pensata per un pubblico e diffusa attraverso le incisioni di Marcantonio Raimondi, raccontata sul blog di Finestre sull'Arte

Oggi frequentiamo con nonchalance siti come Youporn, Playboy e via dicendo senza correre rischi, ma un tempo, come tutti sappiamo, non era così facile accedere a certi contenuti, e due artisti, per aver tentato di diffondere immagini erotiche, rischiarono molto grosso (e a distanza dei secoli ci abbiamo perso anche noi, perché non abbiamo più le opere originali): ne avevamo già parlato in una puntata del nostro podcast ma vi riproponiamo anche nel blog, in modo un po’ più approfondito, quella che è una delle vicende più curiose della storia dell’arte. Gli artisti in questione sono Giulio Romano e Marcantonio Raimondi, e l’opera di cui parliamo sono I Modi: affrontiamo l’argomento anche perché, dato il tenore della storia, potete ben immaginare che sul web sono diversi i siti che ne parlano, spesso a sproposito, quindi dato che a noi piace la divulgazione accorta vogliamo fornirvi un racconto che, per quanto breve, sia il più accurato possibile.

Iniziamo subito dal chiarire di cosa stiamo parlando: I Modi sono (o meglio: furono, perché come dicevamo prima non siamo più in possesso degli originali) una serie di sedici disegni chiamata così perché i soggetti sono nient’altro che sedici coppie raffigurate in diverse posizioni “durante l’amore”1, per usare una perifrasi di Franco Ambrosio. Per essere più precisi, sedici coppie raffigurante in altrettanti rapporti sessuali espliciti, tutte in posizioni differenti. È Giorgio Vasari che ci spiega come dobbiamo intendere la parola “Modi”: lo storico dell’arte aretino dice che nell’opera di Giulio Romano possiamo vedere “in quanti diversi modi, attitudini e positure giacciono i disonesti uomini con le donne”2 (facile intuire come Vasari fornisca una lettura negativa dell’opera). Interessante notare l’uso dell’aggettivo “disonesto”: siamo in epoca di Controriforma e tale era l’aggettivo giusto, secondo la morale del tempo, per indicare tra le altre cose anche una pratica sessuale che non riscontrasse l’approvazione da parte della Chiesa3.

Se rimaniamo nell’ambito dell’arte erotica, o di quella più spiccatamente pornografica dacché spesso i Modi vengono associati alla pornografia4, ci troviamo ad aver a che fare con un’opera di primaria importanza perché secondo la studiosa statunitense Bette Talvacchia (Docente di Storia dell’Arte alla University of Connecticut), che ha dedicato molti studi a Giulio Romano e ai Modi, i disegni dell’artista allievo di Raffaello costituirebbero il primo caso in Italia di una serie raffigurante situazioni sessuali esplicite e messe in commercio tramite il mezzo della stampa5, probabilmente proprio con l’intento di diffondere l’opera presso il pubblico per ricavarne profitto. Non sappiamo se ci sia stato un committente, anzi: è molto probabile che Giulio Romano abbia agito di propria iniziativa6, e le ipotesi più aggiornate vogliono che i disegni siano stati realizzati poco prima della partenza dell’artista per Mantova, dove fu chiamato da Federico II Gonzaga7 (appare perciò infondata l’ipotesi che circola su molti siti web, secondo la quale fu lo stesso marchese di Mantova il committente dei disegni). Quest’ultimo evento, la chiamata di Giulio Romano a Mantova, evitò all’artista un sacco di guai.

Parallelamente infatti, Marcantonio Raimondi traeva dai disegni di Giulio una serie di incisioni che furono pubblicate e distribuite e trovarono ben presto una rapida diffusione (ovviamente clandestina) in tutta Europa8. Vasari, nella sua Vita di Marcantonio Bolognese e d’altri intagliatori di stampe ci fornisce diversi particolari della vicenda che riguardò l’incisore collega di Giulio Romano: le opere furono proibite e il povero Raimondi fu messo in prigione, e riuscì a tirarsene fuori solo grazie all’intervento di alcuni suoi amici influenti. Vasari cita il cardinale Ippolito de’ Medici, cugino di papa Clemente VII, e Baccio Bandinelli, artista protetto da Clemente VII fin dai tempi in cui Giulio de’ Medici non era ancora salito al soglio pontificio: probabilmente, oltre a farlo uscire dal carcere, gli salvarono anche la vita9. Davvero tanto per un artista che aveva solo (“solo”, chiaramente, agli occhi di chi legge oggi) inciso e distribuito immagini erotiche che magari, scherzando, potremmo pure considerare le antesignane di quelle odierne! Ma tale era la morale dell’epoca. Giulio Romano invece, fortunatamente, non subì l’eco delle vicende che si consumavano a Roma nello stesso tempo.

Abbiamo detto prima che i Modi erano il primo caso in Italia di pittura di scene di sesso esplicito e per di più pensata essere messa in commercio. Potremmo chiederci cosa spinse Giulio Romano a saggiare il terreno della pornografia, e per rispondere a questa domanda dobbiamo calarci in quel particolare contesto di interesse per l’antichità (in particolare per quella romana) che aveva caratterizzato il Rinascimento: un interesse che si concretizzava nello studio diretto di ciò che rimaneva dell’arte classica (e non dimentichiamo che Giulio Romano, il cui vero nome era Giulio Pippi, era di Roma, e pertanto aveva passato tutta la sua esistenza a contatto con l’arte classica). Sempre Bette Talvacchia ipotizza che Giulio Romano fosse in possesso di alcune spintriae10. Con quest’ultimo termine intendiamo “tessere, del diametro di 20-23 mm, caratterizzate da varie raffigurazioni erotiche su un lato [...], accompagnate sull’altro lato [...] da un numerale romano, generalmente da I a XVI”11. Non sappiamo bene a cosa servissero le spintriae, ma secondo l’ipotesi più accettata dagli studiosi si trattava forse di gettoni che servivano per pagare le prestazioni nei postriboli12. È ipotizzabile che Giulio Romano fosse venuto in possesso di tali tessere (e con questo si spiegherebbe anche la presenza di alcune spintriae nelle collezioni dei Gonzaga) e sarebbe stato spinto a rappresentare sedici disegni in virtù della numerazione delle monete (non lo sappiamo con certezza: è un’ipotesi) pensando che i numeri indicassero una sorta di elenco delle posizioni13. Perciò deriverebbe forse da questo rinascimentale interesse per l’antichità l’idea che sta alla base dei Modi: un interesse per l’antichità che si concretizzava anche nella raffigurazione di scene di sesso.

Ben presto anche il grande letterato Pietro Aretino si interessò ai Modi dell’artista romano, tanto da pubblicare sedici sonetti (i famosissimi Sonetti lussuriosi, o meglio i Sonetti sopra i XVI modi) ognuno dei quali commentava uno dei disegni di Giulio Romano. A dare conto del prosieguo della vicenda è ancora una volta Giorgio Vasari: “a ciascun modo fece Messer Pietro Aretino un disonestissimo sonetto, in tanto che io non so qual fusse più, o brutto lo spettacolo dei disegni di Giulio all’occhio, o le parole dell’Aretino agl’orecchi”14. Siamo sempre nel 1524, Pietro Aretino si trovava a Roma e oltretutto perorò, insieme agli altri personaggi di cui si è detto prima, la causa di Marcantonio Raimondi (di cui era amico) e si inimicò il datario pontificio Gianmatteo Giberti, con cui ebbe scontri accesi, tanto che il 28 luglio del 1525 il letterato di Arezzo fu anche accoltellato da un sicario, un bolognese che si chiamava Achille della Volta: fu questo l’episodio che fece lasciare per sempre Roma a Pietro Aretino, che andò poi a Mantova alla corte di Federico Gonzaga per poi trasferirsi nuovamente nel 1527, questa volta a Venezia15.

Ma tornando ai Modi di Giulio Romano... in conclusione, cosa ci rimane di tutto questo a distanza di cinque secoli? Poche cose. I disegni originali sono andati del tutto perduti, mentre delle incisioni di Raimondi ne sopravvivono soltanto due, una conservata alla Bibliotheque Nationale di Parigi e l’altro all’Albertina di Vienna mentre alcuni frammenti si trovano al British Museum di Londra16. Tuttavia possiamo immaginare come potessero essere gli originali perché sopravvive una raccolta di xilografie cinquecentesche, poste a illustrazione dei sonetti di Pietro Aretino 17, e possiamo farci comunque un’idea un po’ più approfondita attraverso una serie di incisioni del 1526 circa di Jacopo Caraglio (su disegno di Perin del Vaga, ma anche con contributi del Rosso Fiorentino, stando a quanto ci dice il solito Vasari18) che pur non riproducendo i Modi si ispirava all’opera di Giulio Romano: si tratta degli Amori degli dèi, che si differenziava dai Modi proprio perché i protagonisti erano dèi dell’antichità e non persone comuni (come nei disegni di Giulio), nelle quali magari i fruitori potevano immedesimarsi di più. La serie di Caraglio è riuscita a sopravvivere meglio intanto perché più edulcorata rispetto ai Modi e poi perché la scelta di fare degli dèi antichi i personaggi principali ha fatto sì che la censura non fosse così rigida come nei confronti della serie di Giulio.

Tuttavia il nostro rammarico oggi è quello di non poter avere più i disegni originali (e, ovviamente, di avere solo pochi frammenti superstiti delle incisioni) di quella che fu la prima opera pornografica moderna pensata per un pubblico, un’opera che ha lasciato un segno dato che ebbe vasta influenza sia sull’arte successiva (abbiamo appena visto l’esempio delle incisioni di Caraglio) che sulla morale, e la volontà di Pietro Aretino di difendere in qualche modo l’opera a colpi di sonetti e adoperandosi per far uscire dalla prigione Marcantonio Raimondi è un’altra bella testimonianza: una testimonianza che ci racconta di alcuni uomini che cercarono di sfidare la loro epoca (se intenzionalmente o no non ci è dato saperlo, ma di fatto andò così) e oggi sono rimasti nella storia anche per questo.


Note

1. Franco Ambrosio, Giulio Romano, Mondadori, 1992 (p. 9)

2. Giorgio Vasari, Vita di Marcantonio Bolognese e d’altri intagliatori di stampe in Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti, 1567

3. Cfr. Massimo Firpo, Note su una biografia di Reginald Pole in Rivista storica italiana, CXIII, 2001, III (p. 886).

4. Cfr. per esempio Elena Parma Armani, Perin del Vaga: l’anello mancante, SAGEP, 1986: I Modi vengono definiti “decisamente pornografici” (p. 70).

5. Bette Talvacchia, Taking Positions: On the Erotic in Renaissance Culture, Princeton University Press, 1999 (p. XI)

6. Ibidem

7. Cfr. Alexander Nagel, The Controversy of Renaissance Art, University of Chicago Press, 2011 (p. 223)

8. Bette Talvacchia, Taking Positions: On the Erotic in Renaissance Culture, Princeton University Press, 1999 (p. 7)

9. Cfr. la voce dedicata a Giulio Romano in Francesco Milizia, Le vite de’ più celebri architetti d’ogni nazione e d’ogni tempo, 1768

10. Cfr Bette Talvacchia, Taking Positions: On the Erotic in Renaissance Culture, Princeton University Press, 1999 (p. 49 e seguenti) e Bette Talvacchia, Figure lascive per trastullo de l’ingegno in AA. VV., Giulio Romano, catalogo della mostra (Mantova, settembre - novembre 1989), Electa, 1989

11. Alberto Campana, Le spintriae: tessere romane con raffigurazioni erotiche in La donna romana. Immagini e vita quotidiana, atti del convegno (Atina, 7 marzo 2009), Editrice Diana, 2009 (p. 43). La versione online del saggio è disponibile questo indirizzo.

12. Ibidem (p. 46)

13. Cfr. Alexander Nagel, The Controversy of Renaissance Art, University of Chicago Press, 2011 (p. 237)

14. Giorgio Vasari, Vita di Marcantonio Bolognese e d’altri intagliatori di stampe in Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti, 1567

15. Per una visione sintetica della vicenda, cfr. Giulio Ferroni, Storia della letteratura italiana: dal Cinquecento al Settecento, Einaudi, 1991 (p. 131 ss.) e Pietro Aretino, Tutte le commedie, a cura di Giovanni De Sanctis, Mursia, 1968 (p. 23 ss.)

16. Cfr. Lóránd Zentai (a cura di), Sixteenth-century Northern Italian Drawings - Észak-Itáliai Reneszánsz Rajzok, catalogo della mostra (Budapest, marzo - giugno 2003), Szépmuvészeti Múzeum, 2003 (p. 74)

17. Bette Talvacchia, Taking Positions: On the Erotic in Renaissance Culture, Princeton University Press, 1999 (p. 5)

18. Cfr. Giorgio Vasari, Vita di Perino del Vaga pittor fiorentino e Vita del Rosso pittor fiorentino in Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti, 1567

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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).






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