Una raccolta di ottomila volumi dal XV al XIX secolo: tanto era l’ammontare di libri che la nobile famiglia dei Buonaccorsi di Macerata radunò nella propria biblioteca, dando vita a quello che è poi divenuto il nucleo fondante della Biblioteca Statale di Macerata, ovvero il Fondo Buonaccorsi. Il Ministero della Cultura acquisì il fondo nel 1978, molti anni prima della fondazione dell’istituto marchigiano, con l’obiettivo di evitare che l’antica biblioteca dei Buonaccorsi andasse dispersa. La raccolta della famiglia, che viveva tra Potenza Picena in una villa settecentesca su di una collina con affacci sul mare, e Palazzo Buonaccorsi, la splendida dimora signorile nel centro di Macerata, rivela i tanti interessi della famiglia e i legami con la società del tempo.
Accanto a un significativo numero di classici greci e latini, nel fondo Buonaccorsi trovano posto numerosi codici e testi di diritto, trattati di storia, geografia ed etnologia, medicina e astronomia, molte opere di argomento religioso. Considerevole inoltre la presenza di scritti che documentano l’interesse per l’agricoltura e la vita di campagna, la botanica e il giardinaggio, la dietetica e la gastronomia.
Uno dei libri di spicco del fondo Buonaccorsi è la Historia naturale di. C. Plinio secondo tradocta di lingua latina in fiorentina per Christophoro Landino fiorentino. Impresso in Venesia, per Bartolamio de Zani de Portesio, 1489 adi XII di Septembre. Si tratta della prima traduzione della Naturalis historia di Plinio ad opera di Cristoforo Landino, importante umanista fiorentino, pubblicata da Nicolas Jenson a Venezia nel 1476. L’edizione del Fondo Buonaccorsi fu pubblicata per i tipi di Bartolomeo Zani (bresciano poi trasferitosi in laguna) nel 1489. L’esemplare presenta una legatura coeva in legno rivestito in pelle, con decorazioni impresse a secco sui piatti e sul dorso, mentre nel piatto posteriore restano ancora parti di due borchie in metallo che testimoniano la presenza di antichi fermagli usati per chiudere il volume. Sul verso del foglio di guardia anteriore (per “foglio di guardia” si intendono quelli posti tra la copertina e il testo) e all’interno del piatto posteriore spicca il leopardo rampante, ex-libris della famiglia Buonaccorsi. In alcune parti del testo, in particolare nei libri XXII - XXVI che trattano di botanica e medicina, compaiono numerose note, sottolineature e manicule (segni a forma di mano usati per evidenziare passaggi importanti) che testimoniano il particolare interesse del lettore per queste materie.
Notevoli sono poi i Commentari di C. Giulio Cesare, con le figure in rame de gli alloggiamenti, de’ fatti d’arme, delle circonuallationi delle città, & di molte altre cose notabili descritte in essi. Fatte da Andrea Palladio per facilitare a chi legge, la cognition dell’historia, del 1575. Il termine commentarius indica un tipo di narrazione situato a metà fra la raccolta di appunti e la loro elaborazione in forma letteraria, e Cesare utilizza questo genere per descrivere le sue campagne militari, con intenti probabilmente propagandistici e didattici per i Romani. Il testo contiene il De bello Gallico e il De bello civili di Cesare, più opere di altri autori nella traduzione fatta da Francesco Baldelli, attivo traduttore di autori greci e latini nonché poeta in volgare e accademico degli Umorosi di Bologna col nome di “Assetato”. Il Palladio aggiunge poi alla traduzione un lungo proemio sulla milizia romana. La marca tipografica presenta la Fortuna nell’immagine di una donna priva di vesti, con drappo a mo’ di vela al vento. Accanto a lei si trova la Virtù raffigurata nelle sembianze di una donna coronata con scettro, in una barca che reca la scritta “Regina Virtus”. La data stampata sul frontespizio corrisponde al 1575, ma una correzione manuale la trasforma in 1577. Il testo, prevalentemente in carattere corsivo e inserito entro doppia cornice lineare, presenta capilettera figurati ed è impreziosito da 41 delle originarie 42 tavole disegnate da Andrea Palladio, che con grande capacità riassuntiva, rigorosa geometria, limpidezza del segno e chiarezza dei volumi illustra le imprese di Cesare. Si tratta di una prima edizione che nacque come progetto editoriale affidato a Leonida ed Orazio, figli del Palladio, ma portato a termine dal Palladio stesso a causa della loro morte, avvenuta nel 1572.
Fu invece stampato a Venezia, presso Cornelio Arrivabene, nel 1584, Il Giuoco de gli scacchi di Rui Lopez, Spagnuolo; nuouamente tradotto in lingua italiana da m. Gio. Domenico Tarsia. L’ autore, Lopez de Segura Ruy, delinea un percorso storico sull’origine degli scacchi, spiega le regole del gioco, che corrispondono quasi completamente a quelle che conosciamo, dando per la prima volta un quadro completo delle aperture allora note. Nel testo vengono descritte e corredate da illustrazioni le caratteristiche della scacchiera, o tavoliere, il significato delle 32 “case vacue” (caselle vuote) e la “forma, il sito, il cammino” dei singoli pezzi. Il volume è anche corredato di numerose illustrazioni xilografiche che mostrano i vari pezzi e le fasi del gioco. Lopez de Segura Ruy, confessore e consigliere del re Filippo II di Spagna, fu uno dei primi grandi giocatori di scacchi. Prese i voti, probabilmente nell’ordine francescano. Nel 1560 a Roma, vincendo l’importante partita contro Leonardo da Cutro, venne riconosciuto dai contemporanei come una sorta di campione del mondo ante litteram.
Risale al Cinquecento anche il Trattato dell’ vso et della fabbrica dell’astrolabio. Di F. Egnatio Danti […] Con l’aggiunta del planisfero del Roias, pubblicato da Giunti a Firenze nel 1569. Il frontespizio presenta le sei sfere dello stemma mediceo su mappamondo sormontato da corona e la dedica all’illustrissimo e reverendissimo Ferdinando, cardinale de’ Medici. Il testo è illustrato da numerosi diagrammi e illustrazioni xilografiche raffiguranti strumenti scientifici di misurazione, modelli di astrolabio e planisferi. L’importanza del libro si deve al fatto che è uno dei primi trattati scientifici in lingua italiana ed è la prima descrizione completa dell’astrolabio stampata in Italia, opera del perugino Egnazio Danti, matematico, cosmografo e architetto attivo alla corte di Cosimo I de’ Medici. Danti espone le tecniche d’uso dello strumento e il modo di costruirlo, prendendo in esame alcuni dei più importanti esemplari dell’epoca e soffermandosi sull’ utilizzo dell’astrolabio per numerosi tipi di calcolo come l’individuazione dell’anno bisestile, dell’altezza delle stelle e della direzione dei venti, la misurazione di altezze e profondità, confrontando le conoscenze dell’epoca con le teorie precedenti.
Cinquecentesco è poi il Corpus Iuris Civilis, nella pregevole edizione cinquecentesca glossata da Accursio e pubblicata a Lione in 5 volumi dai fratelli Senneton (1549-1550), la cui produzione è caratterizzata dal marcato interesse per il settore giuridico con la realizzazione di volumi in grande formato, riccamente decorati e di notevole qualità, evidentemente destinati ad un’élite colta. Elementi caratteristici delle loro edizioni sono quindi i frontespizi ornati da cornici istoriate, come quello del primo volume, che presenta caratteri rossi e neri e la marca costituita dall’immagine della salamandra in colore rosso vivo circondata dalle fiamme, con motto ai due lati: invidia cedit virtus. È probabilmente opere del celebre incisore Pierre Vase. Nel secondo volume è rappresentato l’Arbor iurisdictionum, schematizzazione illustrata dei diversi gradi di giurisdizione così come risulta suddivisa dai commentatori medievali, in particolare da Bartolo da Sassoferato. La tavola rappresenta tale complessa struttura attraverso le ramificazioni di un albero, in cui ogni grado è illustrato da un simbolo: ad esempio il fascio littorio è simbolo del Merum Imperium ed emblema dell’autorità giudiziaria riferita ai littori, funzionari al servizio degli alti magistrati che, armati di ascia avvolta in fasci di verghe, eseguivano le pene corporali e capitali. L’opera è realizzata, come si legge sul frontespizio, ad Florentinarum (quae prius Pisanae) prototypon, sulla base cioè dell’antico testo conservato prima a Pisa e in seguito a Firenze (oggi custodito presso la Biblioteca Laurenziana di Firenze). Le note o “glosse accursiane” che incorniciano il testo sono il frutto del grande lavoro di interpretazione del diritto giustinianeo ad opera della Scuola di Bologna (XII-XIII sec.) fondata da Irnerio e di cui Accursio fu uno dei massimi rappresentanti.
Tra i volumi seicenteschi notevole importanza riveste la Flora ouero cultura di fiori del P. Gio. Battista Ferrari Sanese della Compagnia di Giesù distinta in quattro libri e trasportata dalla lingua latina nell’italiana da Lodovico Aureli Perugino, pubblicata a Roma nel 1638 da Pierantonio Facciotti. Il frontespizio inciso, in cornice, reca in alto le armi di Anna Colonna Barberini, alla quale l’opera è dedicata da Claudio Aureli, fratello del traduttore Ludovico Aureli, scomparso prima della pubblicazione. Notevole è l’apparato iconografico del volume, ornato di quarantasei incisioni che raffigurano progetti di giardini, scene mitologiche, fiori, utensili per giardinaggio e composizioni in vaso. Ad importanti artisti dell’epoca, quali Pietro da Cortona, Andrea Sacchi e Guido Reni spetta l’invenzione dei disegni, mentre le incisioni sono opera di Johann Friedrich Greuter e Claude Mellan; una di esse è realizzata da una donna, Anna Maria Vaiani. Questo trattato in quattro libri sui fiori ornamentali e il giardinaggio fu pubblicato per la prima volta nel 1633 in latino da Giovanni Battista Ferrari, gesuita e botanico, per i tipi di Stefano Paolini. Il primo libro tratta “dell’apparecchio dei giardini”, con sei preziose tavole rappresentanti altrettanti progetti di giardini dalle diverse forme geometriche, nel secondo sono descritte le caratteristiche di alcuni fiori e nel terzo si insegna il modo di piantarli e nutrirli. Nel quarto libro infine “si mostrano l’uso e le meraviglie de’ fiori”: suggerimenti che vanno dal modo di comporre i mazzetti alle regole per costruire principesche architetture floreali, con tanto di indicazioni per la scelta di vasi e canestri per realizzare sontuose composizioni. Non mancano i segreti per far venire più belle le piante, per avere fiori diversi in ogni tempo e gli ammaestramenti per correggere o aggiungere profumo ai fiori che ne sono privi o per mutarne il colore.
Al Seicento risale poi una pietra miliare nel panorama della botanica e della medicina farmacologica del secolo precedente: il trattato Dei discorsi di m. Pietro Andrea Matthioli sanese, medico cesareo, et del serenissimo principe Ferdinando arciduca d’Austria ... nelli sei libri di Pedacio Dioscoride anazarbeo, della materia medicinale, stampato a Venezia presso Bartolomeo degli Alberti nel 1604. Iniziata intorno al 1533, l’opera ebbe almeno tredici edizioni in vita e numerose traduzioni in francese, boemo tedesco e arabo. Pietro Andrea Mattioli fu medico e naturalista; esercitò a Siena, sua città natale, poi a Roma, Trento e Gorizia. Fu nominato medico cesareo di Ferdinando d’Asburgo, quindi di Massimiliano I. Raggiunta l’agiatezza con la professione di medico, si dedicò agli studi di botanica. L’opera è la traduzione dal greco del De materia medica di Dioscoride Pedacio, medico botanico vissuto nel I secolo d.C., integrata con aneddoti e notizie legati alla tradizione popolare e con l’aggiunta della descrizione delle virtù medicinali di centinaia di nuove piante. Alcune specie erano all’epoca ancora sconosciute in quanto importate dall’Oriente e dalle Americhe, mentre altre furono erborizzate direttamente dal Mattioli nel corso delle sue ricerche condotte nella Val di Non e sul monte Baldo.
Infine, due importanti volumi settecenteschi. Si comincia con l’Atlas minor præcipua orbis terrarum imperia, regna et provincias, stampato ad Augsburg presso Matthäus Seutter nel 1744 circa. Matthäus Seutter fu uno dei più importanti e prolifici editori tedeschi di mappe del XVIII secolo, insignito dall’imperatore tedesco Carlo VI del titolo di Geografo Imperiale. L’atlante si apre con uno splendido frontespizio allegorico, inciso in rame e colorato a mano, che presenta il contenuto dell’opera. La trattazione comincia quindi con una tavola dei planisferi terrestre e celeste che ai quattro angoli riporta le rappresentazioni sintetiche del sistema solare secondo le quattro diverse teorie di Tolomeo, Copernico, Tycho Brahe e Cartesio. Seguono le carte geografiche d’Europa, Asia, Africa e delle Americhe, che alla data della pubblicazione non erano ancora correttamente cartografate: la California infatti è delineata come una grande isola, e la costa pacifica degli Stati Uniti non è completa. L’atlante è composto da 67 tavole geografiche, tutte perfettamente conservate e dai colori ancora vividi, disposte in doppia pagina. Ogni tavola riporta poi un ricco cartiglio con il titolo, il nome dell’incisore e le varie scene allegoriche. Talvolta negli angoli sono rappresentati scorci di città, con gli elementi architettonici più rappresentativi. Il volume documenta con numerose planimetrie descrittive ricche di toponimi la situazione geo-politica dei singoli stati, come il ducato Sabaudo o lo Stato della Chiesa. Ogni tavola riporta le coordinate geografiche e spesso sono indicate le diverse scale di riduzione allora in uso: Germana, Gallica e Italica.
Il secondo importante volume settecentesco è il trattato Animali quadrupedi dal naturale dissegnati, incisi, e miniati con i loro ver colori da Innocente Alessandri, e Pietro Scattaglia, stampato a Venezia dall’editore Ponte di Rialto nel 1771-1775. Opera in quattro volumi e nel grande formato in-folio, è uno dei trattati di zoologia più pregiati tra quelli pubblicati in Europa nel XVIII secolo. Si tratta infatti dell’unica edizione con le incisioni a colori degli artisti Innocente Alessandri e Pietro Scattaglia, veneziani, all’epoca attivi sul ponte di Rialto: 200 incisioni colorate a mano raffiguranti animali noti ed esotici. Completa l’opera la Descrizioni degli animali […] in Venezia, nella Stamperia di Carlo Palese, 1771-1775, in quattro volumi e nello stesso formato, che descrive gli animali raffigurati, i cui testi sono attribuiti a Lodovico Leschi. Entrambe le opere prendono a modello la Histoire naturelle, générale et particulière, avec la description du Cabinet du Roi scritta da Georges-Luois Leclerc, conte di Buffon, e pubblicata tra il 1749 e il 1789, da cui vengono desunti i testi e le immagini, spesso riprodotte in controparte. Innocente Alessandri e Pietro Scattaglia, allievi di Francesco Bartolozzi, erano titolari nella città lagunare della Calcografia Magna, ed insieme realizzarono diverse serie. Gli animali sono raffigurati in un habitat appena accennato, arricchito da fiori ed elementi vegetali al centro del foglio, e complice la mancanza di una cornice che racchiude il disegno l’immagine sembra come sospesa. Diversamente da altre edizioni in cui gli animali sono sempre raffigurati immobili, quelli incisi da Alessandri e Scattaglia introducono, grazie ai disegni preparatori del pittore Pietro Novelli, maggiore movimento ed elementi di dinamismo. Probabilmente, peraltro, il “mapscà” (un macaco) è stato ritratto dal vero, poiché in quegli anni a Venezia il principe lituano Carlo Stanislao Radzwill ne possedeva un esemplare. Che il leone fosse effettivamente ritratto dal vero ci informa invece la tavola I, dedicata a Lunardo Venier, possessore dell’animale.
La Biblioteca Statale di Macerata viene istituita nel 1987 come sezione staccata della Biblioteca Nazionale di Napoli, dalla quale diventa autonoma nel 2002, iniziando ufficialmente la sua attività l’11 febbraio 1992. La sua creazione risponde allo sforzo congiunto dell’allora Ministero dei Beni Culturali e dell’Università degli Studi di Macerata che, acquisito alla fine degli anni Settanta il complesso di origini seicentesche riferito al Monastero di Santa Chiara situato nel centro cittadino, provvedeva alla sua ristrutturazione e ne destinava una porzione alla biblioteca. Durante le soppressioni napoleoniche degli istituti ecclesiastici l’immobile veniva incamerato al demanio e sottoposto ad adattamenti per accogliere il tribunale e il carcere cittadino. Il successivo passaggio all’Università di Macerata infine ne decretava la funzione di polo culturale di primaria importanza.
L’attuale patrimonio librario è composto da oltre 95.000 volumi, tra cui due incunaboli e 590 cinquecentine. Preponderante è la dotazione di opere di editoria corrente, in virtù della connotazione della Biblioteca a carattere generalista, rivolta a un pubblico vasto ed eterogeneo. Quella che si è costituita nel corso di un trentennio è infatti una biblioteca aperta a tutti i bisogni conoscitivi e informativi, con particolare attenzione alle opere di argomento letterario e artistico. Spiccano per valore ed interesse i due fondi antichi: il fondo Buonaccorsi e il fondo Castelbarco Albani, quest’ultimo porzione della più ampia biblioteca della famiglia urbinate degli Albani (poi Castelbarco Albani dal XIX secolo), oggi frammentata in più nuclei conservati presso diverse istituzioni. I 1.400 volumi che costituiscono il fondo custodito nella Biblioteca Statale di Macerata ben rappresentano il vincolo che conferisce unitarietà alla raccolta, legato al raffinato gusto bibliofilo e agli interessi culturali dei vari membri della famiglia, uno su tutti il pontefice Clemente XI. Di formazione più recente, ma significativa per la sua specificità, è l’antica Biblioteca del Tribunale di Macerata che comprende circa 1.700 volumi, riviste ed opuscoli di natura giuridica, a partire dal secolo XVIII. Da evidenziare inoltre per il suo straordinario valore artistico e documentale l’ Archivio fotografico Balelli, frutto del lavoro di una dinastia di fotografi attivi a Macerata dal 1851 al 1972. L’archivio, composto da oltre 11.000 pezzi originali tra negativi e positivi, contiene immagini del territorio provenienti dall’attività professionale di Alfonso e Carlo Balelli dall’inizio del 900 agli anni Sessanta e costituisce una preziosa e inesauribile fonte per studi sulla vita politica, economica, sociale, culturale e artistica di Macerata e provincia. Vi si aggiunge il fondo cosiddetto della Prima Guerra Mondiale con un migliaio di preziosi positivi in bianco e nero scattati sul fronte italo-austriaco da Carlo Balelli in qualità di primo operatore della squadra fotografica della Terza Armata e della Squadra telefotografica da montagna della Quarta Armata, che documentano la vita in trincea e le fasi cruciali della guerra.
Tra le peculiarità della Biblioteca Statale di Macerata si segnala infine una ricca raccolta di ex-libris, donata dall’artista, maceratese di nascita, Maria Elisa Leboroni, dedita da oltre cinquant’anni all’antica tecnica della xilografia. La raccolta Leboroni consta di oltre dodicimila esemplari, opera di importanti artisti italiani e stranieri. Un unicum di grande qualità, per la straordinaria ricchezza degli autori presenti ma anche per la sensibilità artistica e la competenza specifica dell’autrice della raccolta, completato da un nucleo rilevante di pubblicazioni italiane e straniere sui vari aspetti che ruotano attorno al mondo degli ex-libris.