Oggi, com’è ben noto, uno dei grandi problemi dell’umanità è il riscaldamento globale, una conseguenza del cambiamento climatico: le temperature medie continuano a salire anno dopo anno, anche a causa di attività antropiche, e se non si fa qualcosa per limitare i danni i rischi diventano sempre maggiori. Ma nella storia dell’essere umano c’è stato anche un periodo in cui il problema era quello opposto: un periodo molto lungo per l’uomo, visto che si parla di un’epoca che va all’incirca dall’inizio del Trecento fino a metà dell’Ottocento, ma è un niente se rapportato alle ere geologiche. Nella storia della climatologia questo periodo è noto come “Piccola era glaciale”, e fu caratterizzato da un brusco abbassamento delle temperature, soprattutto nell’emisfero boreale, dall’avanzamento dei ghiacciai (che arrivarono alle massime estensioni documentate: se ne formarono anche di nuovi), da frequenti nevicate, corsi d’acqua che ghiacciavano, e raccolti rovinati, tanto che si verificarono diverse carestie durante gli inverni più rigidi.
In questo periodo (per l’esattezza tra il 1309 e il 1814) a Londra le acque del Tamigi ghiacciarono ben ventitré volte, e in cinque di queste occasioni si pensò di... organizzare delle fiere sul fiume ghiacciato. Lo strato di ghiaccio, infatti, era talmente spesso che fu possibile allestire banchi, tende e mercati sulla superficie del Tamigi, e si trattò di uno spettacolo del tutto inusuale, documentato dai pittori e dagli illustratori dell’epoca. Le cosiddette Frost Fairs (letteralmente “fiere del gelo”) erano eventi rari, organizzati ogni volta che le acque del fiume ghiacciavano tanto da consentirne l’allestimento e, ovviamente, ogni volta che le condizioni socio-economiche li permettevano (negli anni del puritanesimo, ad esempio, manifestazioni come le Frost Fairs non erano viste di buon grado, e non si registrano fiere neppure durante gli anni di crisi economica, malgrado ci fossero le condizioni climatiche adatte): la prima fu quella del 1608, a cui seguirono quelle del 1683-1684 (ovvero l’inverno più freddo mai provato in Inghilterra), del 1716, del 1739-1740, del 1789 e del 1814 (e volendo si può anche aggiungere una primissima fiera nell’anno 695, anche se di questa occasione si conosce molto poco). Occorre specificare che il Tamigi tra il Sei e l’Ottocento non era lo stesso di oggi: il corso del fiume, a quel tempo, era più largo e più basso, così che l’acqua scorreva più lentamente rispetto a oggi e rendeva più alta la possibilità che ghiacciasse. Inoltre, in antico il London Bridge (che oggi ha un aspetto moderno perché è stato ricostruito tra il 1967 e il 1972: per far riferimento a quello del tempo si usa infatti l’espressione Old London Bridge) era costituito da nove arcate che in certe occasioni venivano sbarrate, e di fatto il ponte si trasformava in una diga, e questo permetteva all’acqua, in inverno, di ghiacciare con facilità maggiore.
La prima fiera largamente documentata è quella dell’inverno del 1608: già a dicembre del 1607 il Tamigi era ghiacciato al punto da consentire di recarsi a piedi da Southwark alla City, e a gennaio lo spessore era tale da poter reggere i necessari allestimenti. Quell’anno fu pubblicato un opuscolo, di autore al momento ignoto, in cui si parla di The Great Frost, ovvero “il Grande Gelo”: è una conversazione immaginaria tra un cittadino di Londra e un abitante della campagna, dove il primo racconta al secondo tutto quello che d’inusuale accade nella città durante il rigido inverno che trasforma in ghiaccio le acque del fiume. Ad esempio, provare l’ebbrezza di farsi radere da un barbiere direttamente sul Tamigi: una scena che vediamo illustrata anche nella copertina del pamphlet, dove notiamo una serie di personaggi intenta alle più svariate attività (chi gioca, chi allestisce una tenda, chi beve, chi passeggia). Le Frost Fairs erano manifestazioni popolari, che sapevano essere molto sguaiate e organizzate anche ai limiti del consentito, ma data la loro particolarità vedevano sempre un’alta partecipazione. Erano dei veri mercati: gli ambulanti vi vendevano i generi più disparati, e la cosa fu anche una necessità per molti, perché col Tamigi ghiacciato Londra veniva privata del suo sbocco sul mare e tanti non potevano portare fuori città i loro beni, subendo notevoli danni economici. Ma la vendita di prodotti non era l’unica attività: un’illustrazione del 1684 mostra che cosa si poteva fare alla Frost Fair di quell’anno (peraltro chiamata Fair of Wonders, ovvero “fiera delle meraviglie”, in quella stessa stampa). Si poteva quindi giocare a calcio (“football playing”), andare su una barca trainata da altre persone o da cavalli, giocare a bocce, pattinare, camminare sui trampoli, partecipare a “barbecue” ante litteram (nella parte in alto a sinistra si vede un recinto dedicato a “roasting the ox”, “arrostire il bue”), si potevano disputare gare di caccia alla volpe o di cock throwing, un macabro sport in voga nell’Inghilterra del Sei e del Settecento (si legava un gallo a un paletto e poi, a turno, gli venivano scagliati contro dei bastoni fino a provocarne la morte: già a metà del XVIII secolo però politici e giornalisti cominciarono a opporsi a questa pratica cruenta, tanto che nell’Ottocento era già caduta in disuso), e c’era anche un “printing booth”, ovvero uno stand della stampa, dove i partecipanti potevano farsi stampare una cartolina personalizzata come souvenir della loro visita alla fiera.
Illustrazione del libro The Great Frost (1608) |
Illustratore ignoto, A wonderful Fair or a Fair of Wonders. A new and true illustration of and Description of the Several things Acted and Done on the River of Thames, in the time of the terrible frost (pubblicata nel 1684; incisione; Londra, The British Library) |
Anonimo illustratore, An exact and lively mapp or representation of booths and all the varieties of showes and Humours upon the ICE on the River of Thames by London (pubblicata da William Warter nel 1684; incisione, 366 x 422 mm; Londra, The Royal Collection Trust) |
Alcuni dipinti ci mostrano più nel dettaglio com’era organizzata la fiera. Gli stand erano l’uno attaccato all’altro e disposti lungo due file ordinate, tra una sponda e l’altra del fiume, un po’ come avviene nei moderni mercatini di Natale, di cui queste Frost Fairs possono quasi essere considerate come delle antenate. Lì si vendevano i prodotti (secondo una cronaca del tempo c’erano “tutti i beni immaginabili: vestiti, piatti, ceramiche, carne, bevande, brandy, tabacco e centinaia di altri prodotti che qui non elenchiamo”), si poteva mangiare o bere, si poteva assistere a spettacoli d’intrattenimento (c’erano per esempio delle tende riservate alla musica): questi ultimi però avvenivano soprattutto ai lati della fiera, fuori dagli spazi riservati agli stand, come si vede dalle opere e dalle illustrazioni. Ce n’è una del 1716 che sorprende per la sua modernità, perché i banchi dei mercanti vengono minuziosamente riportati in una sorta di mappa, ognuno contrassegnato da una lettera, come nelle contemporanee cartine delle fiere: ecco quindi lo spazio riservato al “bowling” del Settecento (chiamato “Nine-pin playing”), ecco il “printing booth”, e poi ancora lo stand della musica, la taverna, il banco del venditore di gin, quello dei biscotti di zenzero, quello dei fabbri.
La Frost Fair del 1683-1684 fu allestita tra il London Bridge e il quartiere di Temple, e il 31 gennaio del 1684 anche il re Carlo II visitò la manifestazione (facendosi pure stampare la sua cartolina personalizzata!). Ma le cartoline non erano gli unici souvenir che i visitatori della Frost Fair potevano portare a casa: come nei mercatini natalizi odierni, erano diversi gli oggetti “griffati” che si potevano acquistare negli stand. Al Victoria and Albert Museum di Londra, per esempio, è conservata una tazza di vetro (una “sopravvissuta miracolosa”, la definisce il museo: perché le Frost Fairs furono poche e perché questi oggetti erano fragilissimi) sul cui bordo è incisa la scritta “Bought on ye Thames ice Janu ye 17 1683/4” (“Comprato sul Tamigi ghiacciato il 17 gennaio del 1683/4”).
Tra le opere d’arte, quella più suggestiva a rappresentare la Frost Fair del 1683-1684 è probabilmente la tela dell’olandese Abraham Hondius (Rotterdam, 1625 - Londra, 1691), trasferitosi a Londra nel 1666: il dipinto, conservato al Museum of London, si distingue per la minuzia descrittiva, tipica degli artisti olandesi del tempo. Nel dipinto, oltre le barche tirate a riva, vediamo la fiera nel pieno del suo svolgimento: le due ali degli stand al centro del dipinto (più una terza fila centrale all’incirca a metà), le famiglie che passeggiano, i cavalli che trainano le carrozze sul ghiaccio, un gruppo di persone che giocano a “nine-pin” dietro i primi banchi, le barche che vengono tirate sul ghiaccio con tanto di vele spiegate, e la città sullo sfondo.
Artista ignoto, Frost Fair sul Tamigi con l’Old London Bridge sullo sfondo (1685 circa; olio su tela, 64,1 x 76,8 cm; New Haven, Yale Center for British Art) |
Abraham Hondius, Frost Fair sul Tamigi (1684; olio su tela, 66,9 x 111,9 cm; Londra, Museum of London) |
Illustratore ignoto, Frost Fair sul Tamigi (1715; incisione; Londra, Layton Trust) |
La coppa-souvenir conservata al Victoria and Albert Museum di Londra |
L’ultima Frost Fair è anche quella più e meglio documentata. Cominciò il 1° febbraio del 1814 (il Times, il giorno dopo, raccontava che “in alcuni punti il ghiaccio è spesso diversi piedi, ma ci sono anche dei punti nei quali è pericoloso avventurarsi”), si svolse nel cuore della capitale inglese, ovvero tra Blackfriars Bridge e il London Bridge, durò quattro giorni e, rispetto alle fiere del passato, vide prevalere la dimensione “mangereccia”. Non mancava il tradizionale “roasted ox”, c’erano banchi che vendevano birra speziata, tè e cioccolata calda, si vendevano generose tazze di gin e di una particolare bevanda chiamata “purl”, ovvero il corrispettivo da “frost fair” del vin brulè che si trova nei tradizionali mercatini alpini: era un alcolico a base di gin e vino aromatizzato simile al vermuth, che veniva servito molto caldo. Tra gli stand (che alla fiera del 1814 somigliavano più a tende: erano realizzate con vele di barche) venivano anche allestiti dei pub temporanei. Tra le attività, ancora musica, danze sfrenate, e giochi come l’inossidabile “nine-pin”. L’edizione del 1814 è passata alla storia anche perché è quella a cui risale l’aneddoto forse più celebre delle Frost Fairs: un elefante venne fatto sfilare sul Tamigi ghiacciato vicino a Blackfriars Bridge. Del resto, se il peso del ghiaccio poteva sopportare bancarelle, cucine e soprattutto migliaia di persone, poteva anche reggere il passaggio di un pachiderma.
In quell’occasione si registrò anche qualche incidente: oggi siamo abituati a vedere i mercatini presidiati dalle forze dell’ordine, ma all’epoca questo presidio non c’era e un rudimentale servizio d’ordine veniva svolto dai battellieri del Tamigi, che però non potevano badare a tutto. Capitava così che qualcuno s’allontanasse troppo dalla zona dove il ghiaccio era più spesso, e le cronache del tempo registrano alcuni casi di annegamento di persone che si spinsero laddove il ghiaccio era più sottile e fragile. Questi eventi sono fedelmente registrati da uno stampatore dell’epoca, tale George Davis, che in occasione della Frost Fair del 1814 pubblicò un libretto intitolato Frostiana in cui si raccontava la storia del Tamigi ghiacciato.
Illustratore ignoto, Frost Fair sul Tamigi (pubblicata il 18 febbraio 1814 da Burkitt & Hudson, Londra; acquatinta su carta, 371 x 493 mm; Londra, British Museum) |
Luke Clenell, Frost Fair sul Tamigi (pubblicata l’8 febbraio 1814; acquatinta su carta, 442 x 545 mm; Londra, British Museum) |
Anonimo illustratore, A view of Frost Fair (1814; xilografia, 349 x 454 mm; Londra, British Museum) |
Dopo il 1814, come detto, non ci fu più occasione di organizzare altre Frost Fairs, e questo per una serie di motivi: il clima che cominciò a farsi più caldo (nel gennaio del 1814 la temperatura media giornaliera a Londra era di -2,9°, mentre invece oggi siamo attorno ai 4°), la costruzione di un nuovo London Bridge nel 1831 che non consentiva più gli sbarramenti delle epoche precedenti, e soprattutto i lavori che interessarono il grande fiume londinese in età vittoriana. Il Tamigi infatti fu dragato e gli argini sollevati, e con un fiume più profondo (e con il suo flusso che scorre più veloce) è più difficile che le acque ghiaccino. È però successo di nuovo, dopo il 1814: l’ultima volta è stata nell’inverno del 1962-1963 (numerose foto mostrano persone a passeggio sul fiume, e ce n’è una che addirittura mostra un uomo che lo attraversa in bicicletta all’altezza di Windsor Bridge), ma non a sufficienza da permettere l’organizzazione di una Frost Fair moderna. Anche perché, quell’anno, il fiume ghiacciò solo superficialmente e non a lungo come nelle epoche passate.
Oggi dunque assistere a mirabolanti fiere sul ghiaccio come quelle che vennero organizzate tra Seicento e Ottocento è molto difficile, probabilmente impossibile, un po’ perché il fiume non è più quello di una volta (il suo corso, come s’è visto, è stato alterato), un po’ perché il riscaldamento climatico globale ovviamente rema contro, e un po’ perché, anche volendo, gli standard di sicurezza moderni sono più stringenti di quelli di tre o quattro secoli fa. Non resta dunque altro da fare che... contentarsi di vedere le Frost Fairs sui dipinti e sulle illustrazioni del tempo.