Un vescovo probabilmente affetto da problemi di megalomania ma molto scaltro e avveduto, una comunità di fedeli estremamente devota al culto di un’immagine della Madonna, una grande disponibilità di denaro: sono questi gli ingredienti che portarono, nel 1602, alla realizzazione di una delle chiese più singolari del mondo, il santuario della Madonna della Grazia (o “delle Grazie”: nel corso della storia ci si è riferiti all’edificio di culto in entrambi i modi) a Gravina in Puglia. L’unicità di questo incredibile monumento sta nella sua facciata: è stata infatti concepita come un enorme stemma araldico del vescovo che la fece costruire, il prelato Vincenzo Giustiniani (Chio, 1550 - Gravina in Puglia, 1614), esponente del ramo “greco” di una delle famiglie più in vista di Genova, quella dei Giustiniani, che fin dal Trecento era stata incaricata dalla Compagna Communis (ovvero l’organizzazione repubblicana della Genova medievale) di gestire l’isola greca di Chio, in antico colonia genovese. I Giustiniani esercitarono di fatto, una sorta di signoria sull’isola, lasciandola solo nel 1566, quando Chio cadde in mano turca: gli ottomani fecero strage di molti esponenti della famiglia, ma diversi altri si salvarono. Tra questi, il marchese Vincenzo che fu grande collezionista d’arte e mecenate di Caravaggio (all’epoca dei fatti era un bambino di soli due anni) e l’altro Vincenzo, quello che sarebbe divenuto vescovo di Gravina, all’epoca un ragazzo di sedici anni: tutti i superstiti della famiglia furono costretti a riparare in Italia, e i membri si divisero principalmente tra Genova e Roma.
Vincenzo Giustiniani si formò tra Genova e Torino (dove si laureò in Legge) e nel 1590, all’età di quarant’anni, fu nominato governatore di Tivoli da papa Sisto V: passò tre anni sulle rive dell’Aniene, durante i quali si distinse per le sue notevoli capacità amministrative, tanto che nel 1593 il nuovo papa Clemente VIII decise di nominarlo vescovo di Gravina, incarico che Giustiniani avrebbe mantenuto fino alla sua scomparsa, ventun anni dopo. Nel celebre Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, la monumentale opera di Gaetano Moroni (Roma, 1802 - 1883) nella quale si passano in rassegna numerosissime personalità della Chiesa da San Pietro fino alla data di pubblicazione dell’enciclopedia moroniana (la prima edizione è del 1840), il profilo di Vincenzo Giustiniani è così riassunto: “nel 1593 Clemente VIII fece vescovo di Gravina Vincenzo Giustiniani genovese, il quale istituì il seminario e gli assegnò le rendite necessarie, fondò il conservatorio delle cappuccinelle, e poco distante dalla città nel 1602 eresse dai fondamenti la chiesa della Beata Vergine delle Grazie: fiorì in zelo, prudenza, dottrina ed altre virtù”.
E in effetti, il primo provvedimento di Giustiniani come vescovo di Gravina fu proprio l’istituzione del seminario: il prelato era fortemente convinto del fatto che i membri del clero dovessero avere una solida preparazione teologica, filosofica, culturale, e per questa ragione si prodigò per far sì che la Terra di Bari (ovvero la suddivisione amministrativa del Regno di Napoli corrispondente, all’incirca, all’attuale provincia di Bari) avesse il suo primo seminario. Il vescovo riuscì a trovare i finanziamenti, inventandosi anche nuove tasse (come quella giustificata per lottare contro le cavallette che, nel 1595, avevano infestato le campagne attorno alla città), e in soli due anni il seminario poté aprire i battenti (oggi l’edificio che un tempo lo ospitava è un condominio nel centro storico di Gravina). L’altra misura citata da Moroni è la costruzione del conservatorio delle cappuccinelle: si trattava di una struttura pensata per garantire istruzione alle fanciulle povere, che vivevano di elemosina (e per questo motivo erano ironicamente definite “cappuccinelle” dai loro concittadini: perché la questua era un’abitudine dei cappuccini). Vale la pena sottolineare come, in antico, il termine “conservatorio” avesse un significato diverso da quello che gli attribuiamo oggi: si intendeva per “conservatorio” un istituto benefico volto a fornire istruzione ai soggetti meno abbienti. E questo era, appunto, il fine del conservatorio delle cappuccinelle, che era annesso alla chiesa di San Matteo e che divenne successivamente un convento di clausura. Giustiniani è passato alla storia anche per la lotta che lo vide opposto alla città di Altamura: il Duomo della città, infatti, godeva di un privilegio istituito da Federico II, che rese la chiesa altamurana esente da giurisdizioni vescovili e dipendente esclusivamente dal sovrano (che nominava l’arciprete di Altamura) e dalla Santa Sede. I vescovi di Gravina, per secoli, tentarono di opporsi a questa situazione, cercando, invano, d’includere Altamura nella diocesi di Gravina. Giustiniani arrivò anche, nel 1601, a lanciare la scomunica su Altamura (perché gli veniva impedito di compiere una visita pastorale in città): la scomunica fu revocata solo nel 1622, ma gli scontri continuarono per decenni e si conclusero solo nel 1818, quando papa Pio VII confermò ad Altamura i suoi diritti. La città divenne poi sede vescovile nel 1848 e nel 1986 fu unita a Gravina.
Pasquale Ceci, Ritratto postumo di Vincenzo Giustiniani (XIX secolo; olio su tela; Gravina, Santa Maria della Grazia) |
Stemma della famiglia Giustiniani |
Veduta di Gravina in Puglia. Ph. Credit Luigi Scorcia |
Ad ogni modo, Giustiniani è rimasto famoso soprattutto per la bizzarra chiesa di Santa Maria della Grazia, che ha consegnato il suo nome alla storia dell’architettura: non si conoscono infatti altri edifici così imponenti, creati per celebrare una famiglia... riproducendone lo stemma sulla facciata in scala tanto monumentale. La storia ha inizio nel 1595, anno in cui il vescovo di Gravina visitò alcune capppelle di campagna fuori dalla città: Giustiniani fu colpito dalla devozione che gli abitanti delle aree rurali di questo lembo di Puglia nutrono nei confronti di un’immagine della Madonna situata all’interno di una piccola cappella che però attira moltissimi fedeli. In un documento del 1568, questa cappella è citata come “Santa Maria la gratia alias de Cardone”: Cardone è con tutta probabilità il nome della persona che la costruì. Per migliorare l’accoglienza, il vescovo decise di dare ai gravinesi una chiesa più grande: per questo, nel febbraio del 1595, fu avviato l’iter per la costruzione di una chiesa dedicata alla Vergine della Grazia, da collocare sul sito della cappella, fuori dalle mura cittadine. I lavori partirono a cavallo tra il 1597 e il 1598 e terminarono pochi anni più tardi, nel 1602. Possiamo solo immaginare lo stupore degli abitanti di Gravina nel vedere la chiesa ultimata. La facciata, infatti, si presentava (e si presenta tuttora) divisa in due parti: nel registro inferiore, grandi conci di bugnato applicati al muro ricreano la forma di un castello, le cui torri corrispondono alle tre porte d’accesso dell’edificio. Sopra la torre centrale svetta un’enorme aquila in pietra con le ali spiegate, mentre al centro del timpano spezzato che chiude la facciata viene inserita una mitra vescovile in pietra. Il disegno corrisponde esattamente a quello dello stemma Giustiniani, dove vediamo, allo stesso modo, un’aquila che sormonta un castello con tre torri.
Tuttavia, Vincenzo Giustiniani fu molto abile nel prevenire le critiche che, inevitabilmente, i fedeli gli avrebbero mosso: poteva, un tempio consacrato a Dio, celebrare in maniera così smaccata e tronfia la stirpe del vescovo che l’aveva fatto costruire? Per non far sembrare che il suo fosse un clamoroso peccato di superbia, il vescovo di Gravina s’inventò anche una sorta di giustificazione religiosa che motivasse la più che ingombrante presenza, nella facciata, di quello che, di fatto, era il suo stemma. Così, Giustiniani fece incidere, in una zona della facciata che potesse essere facilmente osservata da chiunque, un passo del Deuteronomio (32, 11) in latino: “sicut aquila provocans ad volandum pullos suos et super eos volitans expandit alas suas et portat eos” (“come l’aquila esorta i suoi pulcini a volare volando sopra di loro, spiega le sue ali e li porta su di sé”). La “spiegazione” del castello viene invece dal Salmo 60: “Turris, fortitudinis a facie nemici” (“Torre salda di fronte ai nemici”). L’intera facciata, in sostanza, si configura come un invito a rinsaldare la fede. Alla facciata fa da contraltare un interno molto sobrio, quasi scarno: tre navate con pochi ornamenti, e che si presentano con l’assetto che hanno ottenuto nel corso del tempo, dal momento che la chiesa di Santa Maria della Grazia è stata più volte rimaneggiata a causa di crolli che l’hanno interessata durante i secoli.
Malgrado le motivazioni che il vescovo Giustiniani ha offerto ai fedeli con le iscrizioni in facciata, che cercano di smorzare il tono autocelebrativo della facciata, la storica dell’architettura Aurora Scotti, che ha parlato della chiesa di Santa Maria della Grazia di Gravina in Puglia nel volume dedicato al Seicento nella sua Storia dell’architettura, non ha dubbi: qui, sottolinea Scotti, “il messaggio del potere committente si esprime nella massima pregnanza comunicativa attraverso una manipolazione festosa, e forse ambiguamente ludica, dell’artigianato edilizio locale. Più che a un’architettura cultuale, questa facciata, aderente a un preciso programma iconologico in cui si riconosce l’intenzionalità autocelebrativa della committenza, si rivolge all’intera città. La chiesa, infatti, ubicata extra moenia, si presenta verso l’abitato con un palese, ben congegnato messaggio di grande richiamo”.
La facciata della chiesa di Santa Maria della Grazia a Gravina in Puglia. Ph. Credit BeWeB |
Dettaglio della facciata. Ph. Credit IAT Gravina in Puglia |
La facciata di Santa Maria della Grazia a Gravina in Puglia nel XIX secolo, in una foto di William Henry Goodyear |
La facciata di Santa Maria della Grazia a Gravina in Puglia nel XIX secolo |
La chiesa oggi, dietro alla stazione dei treni |
Malgrado l’unicità della sua architettura, la chiesa di Santa Maria della Grazia a Gravina di Puglia ha avuto una storia molto tribolata, fin dal Seicento, dal momento che già pochi anni dopo la scomparsa di Vincenzo Giustiniani conobbe alcuni anni di abbandono. Tuttavia, a metà del XVII secolo, il vescovo Domenico Cennini si adoperò per restaurare sia la chiesa, sia l’edificio che Giustiniani vi aveva fatto costruire a fianco (aveva la funzione di residenza ecclesiastica): i fedeli, intanto, continuavano a dimostrare la propria devozione nei confronti della Madonna della Grazia attraverso cospicui lasciti alla chiesa, ma la sua posizione defilata fu anche causa di numerosi furti che interessarono l’edificio nel corso dei secoli. Inoltre, la chiesa fu utilizzata anche come caserma, cadde a più riprese in stato di abbandono, fu a lungo chiusa al culto (sarebbe tornata a svolgere la sua funzione solo nel 1951) e nel 1980 dovette subire i danni del terremoto dell’Irpinia, tanto che si resero necessari imponenti restauri. A modificarne la godibilità in maniera irreparabile è stata tuttavia la costruzione della ferrovia a fine Ottocento: il tracciato dei binari fu fatto passare proprio davanti alla chiesa, che in pochi anni vide sorgere davanti a sé non soltanto le rotaie, ma anche la stazione dei treni di Gravina in Puglia e tutti i fabbricati annessi (addirittura, nel 1912 il Capitolo della Cattedrale chiese allo Stato i danni per lo scempio paesaggistico). Come se non bastasse, in epoca recente alla straordinaria facciata è stato addossato un edificio moderno.
La chiesa di Santa Maria della Grazia è pertanto un’opera che ha sofferto molto e che merita di essere riscoperta come uno dei monumenti più interessanti non soltanto della Puglia, ma di tutta Italia: peraltro, secondo alcuni storici dell’arte, la sua eccentrica facciata si può considerare come una sorta di anticipazione del barocco leccese. La sua eccezionalità l’ha portata a essere considerata, peraltro, un bene di notevole interesse storico-artistico da parte del Ministero dei Beni Culturali (il vincolo risale al 1984). Informazioni su Gravina in Puglia si possono reperire sul sito dell’ente del turismo regionale, mentre un vasto repertorio di notizie e fonti sulla chiesa di Santa Maria della Grazia è curato dall’Associazione Culturale Benedetto XIII, che sul suo sito web ha pubblicato molti documenti sull’edificio sacro.
Gli autori di questo articolo: Federico Giannini e Ilaria Baratta
Gli articoli firmati Finestre sull'Arte sono scritti a quattro mani da Federico Giannini e Ilaria Baratta. Insieme abbiamo fondato Finestre sull'Arte nel 2009. Clicca qui per scoprire chi siamo