di
Federico Giannini, Ilaria Baratta
, scritto il 12/04/2018
Categorie: Opere e artisti / Argomenti: Arte etrusca - Arte antica
Gli etruschi erano un popolo che amava lo sport (anche se preferivano vederlo piuttosto che praticarlo): ecco quali erano i loro sport preferiti e dove li troviamo raffigurati.
Pugilato, corsa, salto in lungo, lotta, lancio del disco, lancio del giavellotto, ippica: sono solo alcuni degli sport che pratichiamo oggigiorno, ma che venivano già praticati dagli etruschi più di duemila e cinquecento anni fa. Sappiamo che presso la civiltà etrusca l’uso di fare sport era già diffuso, ma occorre anche sottolineare come le nostre conoscenze sugli sport etruschi siano molto più limitate a quelle che abbiamo sulla civiltà greca o su quella romana, soprattutto per una ragione: le testimonianze scritte degli etruschi sono pochissime, e per quanto riguarda le opere d’arte, il quadro è sicuramente frammentario dal momento che, sulla base di ciò che ci è arrivato, è possibile asserire che gli etruschi accordassero una maggior predilezione al momento della gara che a quello dell’allenamento. Le produzioni artistiche etrusche (soprattutto ceramiche e affreschi) abbondano di scene di pugilato (che possiamo immaginare, utilizzando una locuzione moderna, come lo “sport nazionale etrusco”, dato l’alto numero di raffigurazioni di pugili che ci sono pervenute), di corse di carri, d’incontri di lotta. E le raffigurazioni sono così precise che gli studiosi (su tutti Jean-Paul Thuillier, indiscussa autorità nel settore dello sport etrusco) sono arrivati anche a delineare molti degli aspetti tecnici della pratica sportiva in Etruria.
Prima di vedere da vicino quali erano gli sport preferiti degli etruschi, come li praticavano, e quali le loro regole, occorre delineare un profilo di come la civiltà etrusca considerasse la pratica sportiva. Una prima differenza che distingueva gli etruschi dai greci consisteva nel fatto che, per gli etruschi, la pratica dello sport non era considerata fondamentale per lo sviluppo della persona (quando invece la cultura della forma fisica era un principio basilare della civiltà greca): l’atletismo, per gli etruschi, non è mai stato un valore, ed è per tale ragione che sono così rare le raffigurazioni di personaggi intenti ad allenarsi. Se la cultura della forma fisica è un tratto fondante d’una civiltà, è del tutto normale ritrovarsela rappresentata nelle opere d’arte, ed è per questo che l’arte greca abbonda d’esempi in tal senso. Viceversa, se lo sport rappresenta più uno spettacolo e un divertimento che un esercizio quotidiano a cui il cittadino dovrebbe dedicarsi, ne consegue che l’allenamento rimane riservato a una cerchia ristretta di persone (alle quali l’arte non è interessata), e le produzioni artistiche finiscono col prediligere altri aspetti della pratica sportiva. Un’altra differenza importante tra greci ed etruschi consisteva nella condizione sociale degli atleti: uomini liberi in Grecia, in ragione del fatto che lo sport era tenuto in altissima considerazione, schiavi in Etruria. Erano tuttavia schiavi “ben nutriti e ben trattati”, come sottolinea Thuillier, e totalmente dediti alla pratica sportiva: possiamo dunque immaginare che godessero di condizioni di vita ben migliori rispetto a quelle degli schiavi demandati ad altre mansioni. Poteva comunque accadere che, per diletto, anche i nobili si dedicassero allo sport.
Un’ulteriore e importante differenza è la concezione stessa dello sport presso i greci e gli etruschi. Certo: per semplificare, utilizziamo il termine moderno “sport”, ma si tratta di una forzatura, perché sarebbe più corretto parlare di agón (per i greci) e di ludus (per gli etruschi e, successivamente per i romani: ludus è infatti un termine latino). L’agón dei greci è una vera competizione (agonistica, diremmo: l’aggettivo deriva proprio da agón), molto sentita dagli atleti. Il ludus è invece spettacolo (il termine si potrebbe tradurre con “gioco”), dove l’atleta è chiamato soprattutto a intrattenere il pubblico. Per utilizzare un paragone moderno, e fatte ovviamente le debite proporzioni, sarebbe come se i greci avessero preferito la lotta olimpica, e gli etruschi il wrestling. Ovviamente poi anche i ludi avevano delle loro cerimonie e una loro solennità (un po’ come nel wrestling, dove si assegnano titoli di campione del mondo), ma scopo principale era sempre e comunque lo spettacolo. Insomma: potremmo dire che gli etruschi amavano guardare lo sport, più che praticarlo... !
Altro importante aspetto da sottolineare, riguardo allo sport etrusco, è la dimensione pubblica delle manifestazioni. In diverse rappresentazioni di gare e competizioni che si trovano nell’arte etrusca è possibile infatti veder raffigurato un pubblico che assiste all’evento. Certo, non era infrequente che membri delle classi più elevate della popolazione organizzassero competizioni sportive per un pubblico ristretto, magari come intrattenimento durante un banchetto (per esempio, nelle lastre di terracotta di Murlo, formelle che decoravano la facciata di un’abitazione, si vedono una corsa di cavalli e una scena di banchetto, e associazioni simili non sono infrequenti nell’arte etrusca), ma i giochi spesso assumevano anche una dimensione collettiva. Negli affreschi della Tomba delle Bighe di Tarquinia, per esempio, si distinguono chiaramente degli spalti, in legno (e da sottolineare come oggi alcuni studi d’architettura stiano tornando a considerare proprio il legno come materiale da costruzione per le tribune di stadi, anche di grandi dimensioni). Sopra a questi spalti, che peraltro sono coperti, siedono spettatori, sia uomini che donne, che assistono ad alcune competizioni sportive. Si tratta, in tal senso, del più prezioso documento che l’arte etrusca ci abbia lasciato, dal momento che in nessun’altra opera superstite è possibile trovare tribune di questo tipo. Gli stessi personaggi sono molto interessanti: in una delle tribune vediamo anche una donna che, con un gesto molto affettuoso, abbraccia il suo uomo ponendogli un braccio attorno al collo e sorridendo verso di lui. Un gesto che, afferma Thuillier, rappresenta quasi una conferma circa la parità tra uomo e donna nella società etrusca, dal momento che, in questa scena, è la donna a “prendere l’iniziativa con un gesto molto moderno”.
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Arte etrusca, Lastra con scena di banchetto (VI secolo a.C.; terracotta; Murlo, Antiquarium di Poggio Civitate - Museo Archeologico) |
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Arte etrusca, Lastra con scena di corse di cavalli (VI secolo a.C.; terracotta; Murlo, Antiquarium di Poggio Civitate - Museo Archeologico) |
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Arte etrusca, Scena di corsa con le bighe (secondo quarto del V secolo a.C.; affresco; Chiusi, Tomba del Colle) |
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Arte etrusca, Scena di lotta (secondo quarto del V secolo a.C.; affresco; Chiusi, Tomba del Colle) |
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Riproduzione della parete sinistra della Tomba delle Bighe di Tarquinia (1901; olio su tela, 204 x 516 cm; Boston, Museum of Fine Arts) |
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Riproduzione della parete sinistra della Tomba delle Bighe di Tarquinia, dettaglio con gli spalti |
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Tomba delle Bighe di Tarquinia, calco di Otto Magnus von Stackelberg (1827), dettaglio |
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Le tribune in legno del nuovo stadio della Puskás Akadémia FC (squadra di calcio della serie A ungherese), inaugurato nel 2014 |
Dunque, le competizioni sportive non si tenevano soltanto nel chiuso dei circoli aristocratici, ma in certi casi erano anche aperte al pubblico. Ed erano diversi i motivi per i quali venivano indetti giochi e competizioni. Tra le pratiche più diffuse, vigeva il gioco nell’ambito di una cerimonia funebre: gli atleti, in buona sostanza, con le loro competizioni onoravano il defunto. È quanto vediamo, per esempio, nella Tomba della Scimmia, dove la defunta, una donna, è ritratta seduta e velata mentre osserva le gare che si svolgono attorno a lei. Si potevano poi organizzare giochi sportivi in onore agli dèi: nelle Historiae di Erodoto, per esempio, si legge che a seguito della battaglia del mare Sardo, un conflitto navale che si combatté nel mare vicino alle bocche di Bonifacio e che vide da una parte un esercito di greci della Focea, rifugiatisi in Corsica per scampare alle persecuzioni di Ciro il grande, e dall’altra una coalizione di etruschi e cartaginesi, i ceretani (ovvero gli etruschi di Cerveteri), dopo lo scoppio di una pestilenza causata dai prigionieri focei, inviarono una delegazione a Delfi per interrogare l’oracolo sul da farsi. L’oracolo rispose sostenendo che i ceretani avrebbero dovuto organizzare giochi in onore dei morti. Quella dei giochi pubblici era del resto una pratica comune nell’Etruria del sesto e del quinto secolo avanti Cristo, come viene confermato anche da Tito Livio nella sua opera Ab urbe condita, che c’informa di un’ulteriore fattispecie di competizioni sportive, quelle organizzate per celebrare un particolare evento. In particolare, Livio racconta che il re Tarquinio Prisco volle celebrare con dei ludi una vittoria in battaglia sui latini.
Come nelle moderne gare sportive, anche presso gli etruschi vigeva l’uso di premiare i vincitori con delle sostanziose ricompense. E la ricompensa era molto più moderna di quanto si possa immaginare: se oggi chi vince una gara sportiva viene premiato con una coppa (ovvero un oggetto che, per quanto oggi conservi unicamente una funzione puramente simbolica, in origine serviva per bere e dunque brindare al successo), presso gli etruschi otteneva come premio un tripode, un oggetto che serviva per supportare un bacile o un contenitore per le libagioni, e che poteva essere anche di grande pregio artistico. Nell’arte etrusca sono diverse le rappresentazioni di tripodi sullo sfondo d’incontri di pugilato, di gare di corse coi cavalli o, in generale, di competizioni sportive. Si vede benissimo, per esempio, nel celeberrimo Vaso François, uno straordinario reperto attualmente conservato al Museo Archeologico Nazionale di Firenze. Si tratta di un grande cratere (ovvero un vaso nel quale, durante i banchetti, venivano mescolati acqua e vino da servire ai commensali) del sesto secolo, di produzione attica ma importato in Etruria (frequenti erano all’epoca gli scambi tra la Grecia e l’Italia, e gli etruschi erano forti importatori di ceramica: in Grecia esisteva un’apposita produzione per il mercato etrusco), che deve il nome con cui è noto al suo scopritore, l’archeologo Alessandro François (Firenze, 1796 - 1857). In una delle tante scene che lo popolano vediamo proprio una gara di cavalli con, sullo sfondo, un tripode che attende il vincitore. Ancora più vicino alle moderne coppe è però il premio che possiamo vedere nelle già citate terrecotte di Murlo. Qui, abbiamo ancora una gara di cavalli (che non sono più guidati con una biga, ma vengono montati dai fantini), e sulla sinistra possiamo notare un grande recipiente posto su di una colonna: una sorta di antica coppa riservata al campione. E, chissà, forse erano previsti anche premi per i primi tre classificati, esattamente come accade oggi: nella Tomba degli Àuguri, a Tarquinia, si vedono due lottatori che s’affrontano, e dietro di loro è possibile scorgere tre grandi coppe simili a vasi, di diversi colori, impilate l’una sopra l’altra.
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Arte etrusca, Scene di giochi funebri e al centro ritratto della defunta (480 a.C. circa; affresco; Chiusi, Tomba della Scimmia) |
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Ergotimos e Kleitias, Cratere attico detto Vaso François (570 a.C. circa; ceramica a figure nere, 66 x 57 cm; Firenze, Museo Archeologico Nazionale). Ph. Credit Francesco Bini |
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Vaso François, dettaglio della gara di cavalli con, sullo sfondo, il tripode per il vincitore |
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Arte etrusca, scena di lotta (540-530 a.C.; affresco; Tarquinia, Tomba degli Àuguri) |
Proprio la Tomba degli Auguri ci presenta una delle più interessanti raffigurazioni d’incontro sportivo che si possano trovare nell’arte etrusca. È una scena di lotta: e in questi lottatori, “tutta l’espressione”, scrivevano nel 1955 gli archeologi Giovanni Becatti e Filippo Magi, “si concentra nei corpi muscolosi e pesanti, mentre le teste fisse e attornite sembrano senza pensiero, e con fine sensibilità il pittore ha fatto i capelli rasi senza nessun ornamento di riccioli, costituendo una linea continua di contorno che prosegue ininterrottamente quella del profilo del volto e del collo, evitando ogni dettaglio che potesse infrangere questa unità e trattenere e distogliere lo sguardo della corposa massa dei nudi. Teste rasate e incolte di lottatori di mestieri, ambedue di una atona brutalità, che fanno un significativo contrasto con quelle dei giudici della gara”. I due studiosi evidenziavano come la massa muscolare dei due atleti, molto più sviluppata rispetto a quella dei giudici e, a fianco, del personaggio impegnato nel gioco tipicamente etrusco del phersu (di cui si dirà tra poco), lascia intendere che si tratti di due atleti professionisti. Tuttavia gli sportivi professionisti, in Etruria, erano sempre persone di bassa estrazione sociale, che non godevano di libertà: i nobili, come detto, potevano dilettarsi in attività ludiche e sportive, ma mai a livello professionistico (benché gli studiosi abbiano a lungo discusso sul fatto che i nobili potevano tuttavia prender parte a gare in contesti ufficiali). Quanto al succitato phersu, un violentissimo gioco, probabilmente il più cruento del mondo etrusco, lo troviamo raffigurato in molti affreschi, ma ne abbiamo una conoscenza molto scarsa. Come detto, era tipicamente etrusco: in questo gioco, il protagonista (che si chiamava phersu), un personaggio che indossava una maschera (in latino, il termine che indica la maschera è persona), forse un attore, teneva al guinzaglio un cane feroce aizzandolo contro un personaggio che aveva la testa coperta da un sacco bianco. In molte raffigurazioni, questo personaggio riporta vistose ferite inferte dalla bestia: non sappiamo però se il gioco si concludesse con la morte del contendente (e quindi se vi venissero sottoposti i condannati), oppure se si trattasse semplicemente di uno spettacolo truculento che però non comportava conseguenze troppo pesanti per il giocatore. Gli studiosi hanno comunque voluto vedere nel phersu un antecedente dei giochi gladiatorii dell’antica Roma.
Ma quali erano gli sport più praticati dagli etruschi? Si potrebbe cominciare da quello che, come detto, era il più popolare: il pugilato. Vediamo una scena con due pugili che si affrontano sulla decorazione di un’anfora di produzione attica, trovata nella Tomba del Guerriero a Lanuvio e oggi conservata al Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia a Roma. L’opera presenta uno schema tipico della raffigurazione degl’incontri di pugilato: i due atleti si affrontano coi pugni levati, uno di fronte all’altro, e coi giudici che li osservano (nel caso dell’anfora di Lanuvio manca soltanto il premio che solitamente compariva sullo sfondo). Caratteristica del pugilato antico è proprio questa strana posizione di guardia, coi pugni tenuti molto in alto, a proteggere il volto, molto più di quanto non succeda nella boxe moderna: è dunque ipotizzabile che, nel pugilato degli etruschi, fossero ammessi soltanto i colpi portati al volto. Questa regola sembrerebbe essere confermata anche dalle fonti scritte (per esempio da Virgilio, che nel quinto libro dell’Eneide parla proprio di pugili che si colpiscono alla testa), e probabilmente è dovuta al fatto che, per ottenere la vittoria, fossero ritenuti più efficaci i colpi al volto (senza contare il fatto che si tratta di colpi molto più spettacolari di quelli portati al corpo, e s’è detto di come gli etruschi amassero più l’aspetto dell’intrattenimento che quello della competizione). Inoltre, nel pugilato antico, sia in Grecia che in Etruria, forse non esistevano le categorie di peso: in un’iscrizione in greco rinvenuta a Francavilla Marittima, un atleta si vanta d’aver vinto una gara di pugilato sconfiggendo atleti ben più fisicamente dotati di lui.
Particolarità unica del pugilato etrusco era, invece, l’accompagnamento musicale: spesso infatti i pugili compaiono assieme a un musicista intento a suonare la tibia, il caratteristico flauto doppio. Non sappiamo però quale fosse il ruolo esatto dell’auleta, ovvero il suonatore: c’è chi ha ipotizzato che la musica servisse per guidare le mosse dei pugili, e in tal caso la boxe degli etruschi sarebbe stata un po’ come la moderna capoeira brasiliana, un misto tra danza e arte marziale. C’è chi invece pensa che si trattasse di un semplice accompagnamento, ma senza alcun fine pratico per la contesa. Chi invece ritiene che avesse avuto fini pratici, pensa che probabilmente la musica serviva per scandire i momenti del match, e per portare ordine nella contesa dando ritmo alle azioni dei pugili. Ancora, un’altra ipotesi vuole che l’auleta servisse soltanto per dare il via all’incontro o, al contrario, per porvi fine (un po’ come avviene nel pugilato moderno dove è il gong a scandire la sequenza dei round). E se dovessimo pensare che gl’incontri del pugilato in Etruria fossero suddivisi in round esattamente come oggi (anche se nei testi antichi non ci sono appigli che possano garantircelo), l’auleta sarebbe stato un po’ come le moderne cheerleader e avrebbe semplicemente intrattenuto il pubblico tra una ripresa e la successiva. Difficile, tuttavia, trovare una soluzione.
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Pittore di Antimenes, Anfora panatenaica con scema di pugilato, dalla Tomba del Guerriero nella necropoli dell’Osteria (530-510 a.C.; ceramica a figure nere; Roma, Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia). Ph. Credit Francesco Bini |
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Arte Etrusca, Anfora detta Anfora B64 (510-500 a.C. circa; ceramica a figure nere, 45,72 x 31 cm; Londra, British Museum) |
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Arte Etrusca, Anfora detta Anfora B64, dettaglio con scena di pugilato |
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Incontro di capoeira con suonatori. Ph. Credit Ricardo André Frantz |
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Arte etrusca, scena di phersu (540-530 a.C.; affresco; Tarquinia, Tomba degli Àuguri) |
Molti altri, tuttavia, erano gli sport praticati degli etruschi. Particolarmente apprezzata era la lotta (la vediamo rappresentata proprio nella Tomba degli Àuguri, nell’illustrazione sopra): scopo del gioco, nelle sue forme antiche, era quello di far perdere l’equilibrio all’avversario e farlo cadere a terra (con la differenza che, al contrario della lotta moderna, per gli antichi l’incontro era concluso quando uno dei due contendenti cadeva: non era contemplata la lotta a terra come accade oggi). A tal fine, era usuale che gli atleti si ungessero con olio, non solo per preparare i muscoli, ma anche per rendere più difficoltose le prese dell’avversario: molti musei etruschi espongono esemplari di strigile, un arnese che serviva per rimuovere l’olio dalla pelle una volta terminata la competizione. Gli etruschi praticavano poi tutti gli altri quattro sport del pentathlon greco (il quinto era proprio la lotta): il salto in lungo, il lancio del disco, il lancio del giavellotto e la corsa. Il salto in lungo era l’unico tipo di salto praticato nell’antichità (il salto in alto non era contemplato) e poteva essere condotto con o senza slancio, e comunque spesso con accompagnamento musicale. Troviamo un saltatore raffigurato, mentre sta atterrando, nella cosiddetta Tomba delle Olimpiadi di Tarquinia: è rappresentato con le braccia all’indietro, mentre sta per toccare terra, in mezzo a un gruppo di personaggi che si dedicano ad altri sport (è questo il motivo del nome con cui è nota la tomba). Tra questi vi è un discobolo: anche il lancio del disco era infatti uno sport praticato in Etruria, e in questo caso si sono conservati anche diversi bronzetti che raffigurano atleti impegnati con il disco. Un discobolo particolarmente interessante è quello conservato al Museo Archeologico di Populonia: lo vediamo col disco posto in orizzontale sull’avambraccio destro, e con il braccio sinistro alzato (si tratta del movimento che l’atleta esegue per prepararsi al lancio). Anche per quanto riguarda il lancio del giavellotto sono rimaste statue in bronzo di lanciatori (una si trova al Museo Archeologico di Firenze), oltre a ceramiche: un famoso atleta impegnato col giavellotto si trova sull’anfora B64 del British Museum, raffigurato vicino a un discobolo. Anche sulla corsa sono molte le raffigurazioni: celebri sono quelli della Tomba delle Olimpiadi, e interessanti sono anche i corridori che vediamo su di un kyathos (un vaso che serviva per attingere: una sorta di grande mestolone) conservato a Grosseto, al Museo Archeologico e d’Arte della Maremma. Il dato interessante, riguardo alla corsa, è il fatto che probabilmente gli antichi gareggiavano in competizioni di sprint, data la corporatura sempre muscolosa dei corridori che troviamo nell’arte etrusca. Ma potrebbe semplicemente trattarsi d’un espediente estetico, dal momento che lo sprint, nel quale contano più la prestanza e la forza fisica dell’atleta che la resistenza, è artisticamente più interessante di una gara di fondo: quindi è del tutto lecito immaginare che gli etruschi gareggiassero anche sulla lunga distanza, ma che nelle opere d’arte preferissero rappresentare le corse brevi.
Quanto alle corse dei cavalli, come anticipato, in Etruria si svolgevano sia corse coi cavalli montati dai fantini, sia corse coi carri. Si trattava di sport molto popolari, e prova ne sono le svariate raffigurazioni che troviamo su affreschi, ceramiche, rilievi. Nelle lastre di Murlo, per esempio, abbiamo una gara con cavalli montati, mentre gare di bighe (soprattutto di bighe condotte da due o tre cavalli) si trovano negli affreschi della Tomba delle Bighe, in quelli della Tomba del Colle, sulla celebre anfora del Museo Archeologico di Firenze (di produzione greca, ma rinvenuta a Orvieto nella tomba di un aristocratico etrusco). Si trattava di uno sport particolarmente amato dalla nobiltà, che usava spesso indire competizioni ippiche.
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Manifattura etrusca, Strigile (III-II secolo a.C.; ferro; Cortona, Museo dell’Accademia Etrusca di Cortona) |
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Arte Etrusca, Corridore, saltatore in lungo e discobolo (fine del VI secolo a.C.; affresco; Tarquinia, Tomba delle Olimpiadi) |
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Arte Etrusca, Discobolo, cimasa di candelabro (510-490 a.C.; bronzo; Populonia, Museo Archeologico del Territorio) |
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Arte Etrusca, Vaso con atleti in corsa (510-490 a.C. circa; bronzo; Grosseto, Museo Archeologico e d’Arte della Maremma). Ph. Credit Francesco Bini |
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Arte Etrusca, Anfora detta Anfora B64, dettaglio con lanciatore di giavellotto |
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Pittore greco, Anfora panatenaica con auriga (565-535 a.C. circa; ceramica; Firenze, Museo Archeologico Nazionale) |
Infine, è d’obbligo una domanda: gli etruschi avevano dei campioni che osannavano? Esisteva, nell’antica Etruria, un qualche corrispettivo degli odierni Roger Federer o Leo Messi? Le testimonianze che ci sono giunte sono veramente scarne per rispondere a tale quesito, ma abbiamo comunque un nome: si tratta di Ratumenna, un auriga (ovvero un guidatore di bighe) originario di Veio, una delle più importanti città etrusche. Secondo la leggenda, Ratumenna, durante una gara, avrebbe perso il controllo del suo carro e ne sarebbe stato sbalzato fuori con violenza, tanto da perdere la vita. L’episodio avvenne a Roma, nei pressi della porta (Porta Ratumenna, o Porta Ratumena, secondo la variante latina) che in seguito da lui prese il nome, e che oggi non esiste più: si trovava in prossimità del luogo dove oggi sorge il Vittoriano. Data la popolarità della leggenda, e dato il fatto che gli fu dedicata una delle antiche porte di Roma, è del tutto lecito immaginare che Ratumenna fosse un grande campione delle corse sui carri. E chissà che non si possa immaginare che Ratumenna rappresentasse allora per gli etruschi ciò che un campione come Ayrton Senna rappresenta oggi per gli appassionati di Formula Uno.
Bibliografia di riferimento
- Giovannangelo Camporeale, Gli Etruschi. Storia e civiltà, UTET, 2015 (quarta edizione)
- Thomas F. Scanlon, Sport in the Greek and Roman Worlds: Greek Athletic Identities, Oxford University Press, 2013
- Nigel B. Crowther, Sport in Ancient Times, University of Oklahoma Press, 2010
- Allen Guttmann, Sports: The First Five Millennia, Massachussets University Press, 2004
- Richard Mandell, Sport: a cultural History, iUniverse, 1999
- Jean-Paul Thuillier, Les jeux athlétiques dans la civilisation étrusque, École Française de Rome, 1985
- Giovanni Becatti, Filippo Magi, Le pitture delle tombe degli Auguri e del Pulcinella Monumenti, Istituto Poligrafico dello Stato, 1956
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Gli autori di questo articolo: Federico Giannini e Ilaria Baratta
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