“Dal momento che i miei soggetti sono stati sempre le mie sensazioni, i miei stati mentali e le reazioni profonde che la vita è andata producendo in me, ho di frequente oggettivato tutto questo in immagini di me stessa, che erano la cosa più sincera che io potessi fare per esprimere ciò che sentivo dentro e fuori di me”: con queste parole la pittrice messicana Frida Kahlo (Coyoacán, 1907 – 1954) cercò di definire la sua arte nella domanda di ammissione a un concorso indetto nel 1940 dalla Guggenheim Foundation per ottenere un finanziamento. Economicamente infatti le cose non le andavano molto bene; cercava di vivere unicamente della sua arte, vendendo i suoi dipinti, ma non riusciva a sostenersi da sola in tutto e inoltre non voleva farsi prestare soldi ancora una volta da Diego Rivera (Guanajuato, 1886 – Città del Messico, 1957). Quest’ultimo era uno dei maggiori esponenti del muralismo messicano ed era l’uomo che la sposò in giovanissima età, appena quindicenne, nonostante la notevole differenza d’età tra i due: nulla di strano, se non che Rivera, nel corso della loro unione coniugale, la tradì molte e molte volte. Il loro rapporto fu alquanto complicato: Frida provava una sorta di odio – amore per Diego, lo amava, lo stimava. Una delle più celebri poesie d’amore della Kahlo dedicata a Rivera recita: “È lecito inventare dei verbi nuovi? Voglio regalartene uno: io ti cielo, così che le mie ali possano distendersi smisuratamente per amarti senza confini”. Ha dato tutta se stessa per il suo amore, per colui che amava, mai risparmiandosi, nonostante le difficoltà, ma allo stesso tempo odiava ciò che le faceva continuamente subire, gli incessanti tradimenti.
Aveva inoltre da affrontare molte spese mediche a causa della sua cagionevole salute: da bambina fu colpita dalla poliomelite, malattia che la rese per sempre claudicante nella gamba destra, e all’età di diciotto anni fu vittima di un incidente: l’autobus sul quale si trovava si scontrò con un tram; questo le provocò varie fratture alla colonna vertebrale, alle vertebre lombari e all’osso pelvico e una grave ferita all’addome. Durante la sua vita si portò dietro i postumi di quell’incidente: abortì parecchie volte e subì oltre trenta operazioni; quell’evento le tormentò letteralmente l’esistenza, sia dal punto di vista fisico che dal punto di vista interiore. Il suo corpo portava i segni della sua disavventura e delle conseguenze di quest’ultima, anche se poteva contare sul suo medico di fiducia, il Dr. Eloesser, mentre le esperienze di vita e le sofferenze patite andarono ad accrescere il suo immenso dolore interiore causato dai tradimenti del marito. Fu tuttavia nel lungo periodo di convalescenza dal terribile incidente che Frida cominciò ad avvicinarsi alla pittura.
Tornando al concorso della Guggenheim Foundation per avere un finanziamento che la potesse aiutare almeno dal punto di vista economico, la sostennero diversi amici, come il compositore, direttore d’orchestra e giornalista Carlos Chávez e il critico e storico dell’arte Meyer Schapiro che, in merito a Frida, affermò: “È una pittrice eccellente, dotata di vera originalità, una degli artisti messicani più interessanti che conosca. La sua opera ben figura accanto ai migliori dipinti di Orozco e Rivera, in certo modo è più autenticamente messicana della loro. Se non ha il loro sentimento eroico e tragico, Frida Kahlo è però più vicina alla tradizione e alla comune sensibilità messicana per le forme decorative”. Scrissero lettere di presentazione anche André Breton, Marcel Duchamp,William Valentiner, Walter Pach, Conger Goodyear e lo stesso Diego Rivera.
Frida Kahlo, Autoritratto con collana di spine e colibrì (1940; olio su lamina metallica, 63,5 x 49,5 cm; Austin, Harry Ranson Center). © Banco de México Diego Rivera & Frida Kahlo Museums Trust |
Frida Kahlo, Autoritratto con scimmie (1943; olio su tela, 81,5 x 63 cm; Città del Messico, Collezione Jacques e Natasha Gelman). © Banco de México Diego Rivera & Frida Kahlo Museums Trust |
Frida Kahlo, Il cervo ferito (1946; olio su masonite, 22,4 x 30 cm; Collezione privata). © Banco de México Diego Rivera & Frida Kahlo Museums Trust |
Frida Kahlo, Autoritratto con bonito (1941; olio su tela, 55 x 43,4 cm; Collezione privata). © Banco de México Diego Rivera & Frida Kahlo Museums Trust |
Frida Kahlo, La colonna spezzata (1944; olio su tela incollata su masonite, 30,5 x 40 cm; Città del Messico, Museo Dolores Olmedo). © Banco de México Diego Rivera & Frida Kahlo Museums Trust |
Dal canto suo, nell’ambito della domanda di ammissione, Frida scrisse, dichiarando i suoi precedenti professionali: “Ho cominciato a dipingere dodici anni fa, mentre ero convalescente da un incidente automobilistico che mi ha costretta a letto per quasi un anno. Durante tutti questi anni ho lavorato con l’impulso spontaneo dei miei sentimenti. Non ho mai seguito alcuna scuola o alcuna influenza, né mi sono mai aspettata di ricavare dal mio lavoro più della soddisfazione del puro e semplice dipingere e di dire ciò che non avrei potuto dire in altro modo”. Aggiunse poi: “Ho fatto ritratti, composizioni di figure, anche soggetti in cui il paesaggio e la natura morta hanno grande importanza. Sono stata capace di trovare, senza essere forzata da alcun pregiudizio, una forma personale di espressione attraverso la pittura. Per dieci anni il mio lavoro è consistito nell’eliminare tutto ciò che non veniva dalle motivazioni liriche interiori che mi spingevano a dipingere”.
Ne seguì poi la dichiarazione citata inizialmente, in cui disse di aver “oggettivato tutto questo in immagini di me stessa”: altro non è che l’esplicita ragione dei suoi numerosi autoritratti, le opere in cui Frida ha messo su tela tutto il caos interiore e il travaglio esistenziale che ha provato nel corso della sua vita.
Quel finanziamento infine non le fu concesso.
Nei suoi Autoritratti si raffigura spesso con la testa eretta in un atteggiamento quasi altero, spesso a mezzo busto e con un’attenzione particolare ai colori e ai dettagli. Addirittura rese esplicito in uno scritto il significato che lei attribuiva ai diversi colori: sebbene richiamasse i toni tradizionali dell’arte messicana, perlopiù terrosi, diede a ciascun colore un valore psicologico, dal verde oliva al marrone, al giallo, al blu e al magenta. Ad esempio, spesso il verde oliva era accostato alla sensazione di oppressione, il colore della terra bruciata esprimeva la disperazione e la disperazione, il giallo la pazzia e la paura, il rosso e il rosa il sangue e la morte.
È poi spesso raffigurata con sfondi di rampicanti, piante, di un’intricata vegetazione tropicale, talvolta con germogli. Le fanno compagnia molte volte scimmie che la abbracciano e che diventano più frequenti dal divorzio con Rivera, a partire dal 1940: sembra che la presenza delle scimmie colmi il vuoto lasciato dal marito, sottolineando il suo senso di solitudine. Nell’Autoritratto del 1940 con collana di spine e colibrì è presente anche un gatto nero in una posa minacciosa, mentre un colibrì morto è appeso alla collana di spine: quest’ultima le può provocare ulteriori ferite e il colibrì (che in Messico è utilizzato come portafortuna in amore) pare rimandare a se stessa, poiché si sente come quell’uccellino morto. Ne La colonna spezzata si è raffigurata come una martire sullo sfondo di una terra bruciata. Spesso le trecce dei suoi capelli sono attorcigliate intorno al collo, provocando nello spettatore una sensazione di soffocamento.
Leo Matiz, Frida Kahlo (Coyacán, 1944; fotografia a colori). © Fondazione Leo Matiz |
Leo Matiz, Frida Kahlo davanti alla Casa Azul (Coyacán, 1944; fotografia a colori). © Fondazione Leo Matiz |
Leo Matiz, Frida Kahlo (Xochilmico, 1941; fotografia in bianco e nero). © Fondazione Leo Matiz |
Leo Matiz, Frida, Christina Kahlo, Diego Rivera e un’amica (Città del Messico, 1941 circa; fotografia in bianco e nero). © Fondazione Leo Matiz |
Particolarmente significativa è la raffigurazione del volto di Frida al posto del muso di un cervo ferito e colpito da molte frecce, dalle cui ferite esce sangue. Ognuno di questi autoritratti sottolineano dunque il dolore interiore provato dalla Kahlo, in una contrapposizione tra il volto che sembra non lasciare trasparire alcun sentimento e tutto il resto ricco invece di simboli di quel dolore.
Dagli anni Quaranta, il fotografo colombiano Leonet Matiz Espinoza realizzò ritratti fotografici dell’artista e amica, divenuti immagini iconiche di Frida. La immortalò negli spazi della quotidianità della donna, ovvero nel giardino, nello studio e negli ambienti interni della celebre Casa Azul, in un periodo in cui quest’ultima aveva raggiunto la fama come pittrice e come donna aveva raggiunto l’indipendenza sia economicamente che sentimentalmente. Nelle fotografie di Matiz è ritratta dunque una Frida diversa dagli Autoritratti precedentemente citati, poiché fiera e indipendente.
Tutte le opere di cui si è parlato in questo articolo si possono vedere dal 12 ottobre 2020 al 29 marzo 2021 alla Fabbrica del Vapore di Milano, dove è allestita la mostra Frida Kahlo. Il caos dentro, curata da Antonio Arèvalo, Alejandra Matiz, Milagros Ancheita e Maria Rosso. In mostra, oltre ai dipinti riprodotti, anche le ricostruzioni degli ambienti nei quali l’artista visse e lavorò. Per maggiori informazioni è possibile visitare il sito della mostra.
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ISCRIVITI ALLA NEWSLETTERL'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta
Giornalista, è co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. È nata a Carrara nel 1987 e si è laureata a Pisa. È responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.