Era una delle biblioteche più aggiornate e innovative del tempo: la Libraria nuova che l’ultimo duca di Urbino, Francesco Maria II della Rovere, fece allestire a partire dal 1607 a Casteldurante, l’attuale Urbania, rispondeva agli elevati desideri di conoscenza del sovrano. Per soddisfare la sua vasta curiosità intellettuale, Francesco Maria II aveva infatti bisogno, ha scritto Alfredo Serrai, “di avere a disposizione gli scritti degli autori più significativi in ogni scienza ed arte, teologia e letteratura comprese”, esigenza da cui derivò “la necessità di possedere una biblioteca di carattere universale, aggiornata e quindi composta, ovviamente, di libri impressi, in grado di offrirgli i frutti della speculazione e dei sentimenti di ogni tempo”. La Biblioteca Durantina, come sarebbe stata chiamata, divenne presto vanto del ducato di Urbino, e libreria capace di suscitare l’interesse degli intellettuali e degli eruditi di tutta Europa: il bibliotecario, Benedetto Benedetti, vi aveva fatto confluire libri che trattavano ogni argomento: le premure di Francesco Maria II non erano quelle del collezionista, ma quelle dell’intellettuale che “cercava un’armonia tra le acquisizioni della ragione umana, gli argomenti della teodicea divina, e le esperienze della mistica religiosa”.
Quella ricchissima biblioteca, di cui facevano parte per lo più volumi stampati (gli argomenti, come detto, coprivano tutte le materie: dai classici greci e latini ai libri religiosi, dai testi di diritto a quelli militari, dalle scienze alla geometria, dall’astronomia alla fisica, dalla medicina alla botanica, dalla storia alla numismatica, dalla caccia ai libri di grammatica, senza dimenticare ovviamente tutti i possibili generi della letteratura), dopo la scomparsa del duca nel 1631, fu trasferita a Roma per volere di papa Alessandro VII (sempre dopo il 1631 infatti il ducato di Urbino era stato annesso allo Stato Pontificio), e la Libraria nuova di Francesco Maria II Della Rovere avrebbe poi costituito il nucleo fondativo della Biblioteca Alessandrina di Roma.
“La Biblioteca di Francesco Maria II della Rovere”, spiega Maria Cristina Di Martino, “era una delle raccolte più illustri e ricche del Rinascimento; era una biblioteca costituita prevalentemente da libri a stampa, la cui caratteristica più interessante era la stretta interdipendenza tra struttura semantica e organizzazione logistica, tra architettura dei generi e dei soggetti e disposizione fisica dei volumi nella splendida scaffalatura dell’epoca”. I libri erano organizzati in settanta “scansie” (sezioni) divise per generi: lo sappiamo perché è sopravvissuto il catalogo dell’antica libreria. Tra le più interessanti e originali, anche come testimonianza dei singolari interessi del duca di Urbino, figura la Scansia 35, che riuniva i libri dedicati agli animali. La sezione è di grande rilevanza perché, all’epoca in cui viveva Francesco Maria, la zoologia non aveva uno status scientifico autonomo, e lo studio degli animali, spiega Daniela Fugaro in un ricco saggio di prossima pubblicazione sulla Scansia 35, era “considerato esclusivamente in chiave filosofica, il che comporta che noi troviamo collocate nella Scansia 35 opere di indagine tassonomica ma anche di filosofia morale”. Si trattava però di una materia che veniva ricompresa nell’ambito della filosofia naturale, pertanto studiare gli animali significava approfondire la complessa articolazione di questa materia.
L’interesse per la zoologia nella Libraria nuova riflette anche la concezione tardo cinquecentesca della storia naturale, il periodo in cui, spiega ancora Fugaro, “più da vicino sono convissuti il vecchio ed il nuovo: da una parte la viva curiosità a raccogliere tutto ciò che è possibile sapere, dall’altra l’influsso della cultura medievale ancora forte e prepotente”. Nel XVI secolo fiorirono le opere di studiosi che cercavano di classificare gli animali in maniera completa e con uno spirito indagatore che per certi versi anticipava la ricerca scientifica moderna: la trattatistica del tempo si distingueva dunque dai bestiari medievali per il fatto che, nel Cinquecento, le opere sugli animali rispondevano soprattutto a un’esigenza di classificare la natura e di conoscere il reale. Anche per mezzo di illustrazioni: si ritiene che la Histoire naturelle des etranges poissons marins, opera di Pierre Belon pubblicata a Parigi per la prima volta nel 1551, sia il primo trattato zoologico completamente illustrato.
La stessa esigenza di conoscenza spiega l’abbondanza di trattati zoologici conservati nella Libraria nuova di Francesco Maria II, che in questo ambito non aveva raccolto soltanto opere a stampa, ma anche manoscritti. Tra quelli più importanti secondo Daniela Fugaro, figura l’Urbinate Latino 276, codice contenente il trattato De omnium animantium naturis atque formis di Pietro Candido Decembrio, che fu fatto miniare, come ha dimostrato lo storico dell’arte Gerardo De Simone, dallo stesso Francesco Maria II. Questo manoscritto è conservato oggi alla Biblioteca Apostolica Vaticana: all’Alessandrina si trova invece un altro importante manoscritto, il numero 2 della biblioteca romana, un catalogo anonimo e anepigrafo contenente “picturas diligentissimas avium, quadrupedum, piscium, aliorum animalium” (illustrazioni diligentissime di uccelli, quadrupedi, pesci e altri animali), che fu donato al duca di Urbino dal grande naturalista Ulisse Aldrovandi, noto anche per aver allestito uno dei primi musei di storia naturale del mondo. Si tratta di uno splendido manoscritto riccamente illustrato, con immagini a tutta pagina, molto dettagliate, accompagnate solo dal nome dell’animale (spesso peraltro assente). Curiosamente, l’illustrazione del rinoceronte in questo manoscritto, che si incontra al foglio 241r, ricorda molto da vicino il Rinoceronte di Albrecht Dürer, una delle stampe più famose dell’artista tedesco: probabilmente su quest’ultima illustrazione si basò l’anonimo autore del Manoscritto 2, date anche le scarse possibilità di vedere dal vero un rinoceronte indiano a quel tempo.
Tra i libri più curiosi o interessanti è possibile citare poi il Trattato del grand’animale o gran bestia di Apollonio Menabeni, pubblicato nel 1584: si tratta del primo trattato zoologico dedicato all’alce, il più grande cervide esistente, che oggi s’incontra soltanto nelle foreste fredde dell’America settentrionale, della Scandinavia e della Siberia, ma nel Cinquecento era diffuso anche nell’Europa orientale. Della traduzione dell’opera di Menabeni, originariamente scritta in latino, si occupò il naturalista Costanzo Felici, collega e amico di Ulisse Aldrovandi, che al libro di Menabeni aggiunse anche un trattato in italiano sul lupo, Delle virtù e proprietà del lupo. Del fondo urbinate della Biblioteca Alessandrina fa parte anche un’opera di Pierre Belon, La nature & diversité des poissons, avec leurs pourtraicts, representez au plus pres du naturel, pubblicata a Parigi nel 1555, una sorta di album illustrato sui pesci: non sappiamo però se facesse parte della Libraria nuova del duca, ma se così fosse, spiega Fugaro, “se lo sarebbe procurato per possedere quanti più esemplari possibili di opere di zoologia in tutte le diverse forme esistenti”.
Il fondo urbinate dell’Alessandrina conserva inoltre diverse opere a tema zoologico dello stesso Ulisse Aldrovandi che Francesco Maria II Della Rovere aveva raccolto nella sua Libraria nuova: i dodici volumi della Ornithologia (importante trattato in cui i singoli uccelli vengono presentati con dettagliate schede che ne presentano morfologia, canto, comportamento, nidificazione, migrazione, habitat, persino gli eventuali usi in cucina e in medicina), i sette del De animalibus insectis, il De reliquis animalibus exanguibus, il De piscibus, il De quadrupedibus, la Quadrupedum omnium bisulcorum historia, le Serpentum et draconum historiae, il De quadrupedibus digitatis viviparis. La particolarità di questi volumi sta nel fatto che sono tutti illustrati a colori: Aldrovandi, infatti, secondo la sua visione del mondo, non ammetteva immagini in bianco e nero, e fece colorare ad acquerello, a sue spese, le copie delle sue opere che intendeva far arrivare ai soggetti più importanti. La Ornithologia appartiene a questa fattispecie: dedicata a Francesco Maria II della Rovere (con una frase scritta a mano), l’opera sugli uccelli venne fatta acquerellare direttamente dal naturalista. Il duca, infatti, intervenne per sostenere l’impresa editoriale di Aldrovandi. Da segnalare, infine, il De natura aquatilium carmen di François Boussuet, opera in versi dedicata agli animali acquatici (pesci, molluschi), con illustrazioni, e un’opera simile, ma in italiano, l’Operetta non meno vtile che diletteuole, della natura, et qualità di tutti i pesci, sino al giorno d’hoggi conosciuti dal mondo, un’altra descrizione di tutti i pesci scritta in ottava rima dal letterato riminese Malatesta Fiordiano.
La panoramica sui trattati zoologici della Libraria nuova dimostra che Francesco Maria II della Rovere aveva allestito la sua biblioteca senza tralasciare i volumi più aggiornati, dettagliati e innovativi, ma recuperando anche quelli più curiosi, segno indubitabile del fatto che poteva contare su ottimi consiglieri che gli suggerivano gli acquisti migliori. Inoltre la raccolta, sebbene limitata dal fatto che gli autori siano quasi tutti di scuola aristotelica (e questo aspetto è del resto in linea con le idee del tempo secondo cui, come detto, le scienze naturali facevano parte delle discipline filosofiche), vede opere di autori diverse nazionalità, col risultato che la Libreria nuova, afferma Fugaro, si pone come una “Res publica studiorum in cui l’unico elemento che conti è la capacità di indagine per lo studio della natura nella sua realtà tangibile e per la sua rappresentazione”.
La Biblioteca Alessandrina fu fondata il 20 aprile 1667 da papa Alessandro VII, attraverso apposita bolla pontificia, come biblioteca dello Studium Urbis, ovvero dell’Università di Roma, vocazione che mantiene tuttora. La biblioteca nacque con l’acquisizione di diverse raccolte precedenti, come quelle di eruditi e cardinali, e soprattutto la biblioteca dell’ultimo duca di Urbino, Francesco Maria II della Rovere. La Biblioteca fu subito un punto di riferimento per la cultura romana, e la sua raccolta negli anni continuò a essere incrementata, anche perché, nel 1715, papa Clemente XI stabilì per la biblioteca l’obbligo di deposito (ogni opera che veniva pubblicata dalla tipografia dell’Università della Sapienza doveva avere per legge un esemplare destinato alla Biblioteca Alessandrina). Questa particolarità, assieme al fatto che i docenti che insegnavano alla Sapienza hanno lasciato all’Alessandrina i loro quaderni, hanno fatto della biblioteca un punto di riferimento per gli studi sulla storia dell’Università di Roma. Dopo l’annessione dello Stato Pontificio al Regno d’Italia, la biblioteca visse un periodo di grandi difficoltà, solo in parte risolte dalla reintroduzione del deposito delle copie d’obbligo che era stato interrotto negli anni precedenti. In epoca fascista, la biblioteca fu spostata dalla sede storica nel Palazzo della Sapienza alla città universitaria, nello stesso edificio che ospita il Rettorato, circostanza che permise all’istituto di contare su nuovi spazi e di ampliare ulteriormente le raccolte, con un’attività che continua ancora al giorno d’oggi. Dal 1975, infine, la biblioteca dipende dal Ministero dei beni culturali.
La Biblioteca conserva attualmente 452 manoscritti e numerosi autografi e carteggi, circa un milione di volumi ed opuscoli a stampa, tra cui 674 incunaboli, 15.000 edizioni del XVI secolo, periodici, giornali, disegni, incisioni, fotografie, manifesti e fogli volanti, carte geografiche, materiali multimediali. Oltre al Fondo antico (40.000 volumi e 10.000 miscellanee) al quale appartengono i fondi costitutivi (tra cui la “Libreria impressa” dei duchi di Urbino, il fondo Caetani, il Fondo Carpani...) ed il Fondo Alessandrino (acquisizioni successive fino all’Ottocento), la Biblioteca possiede i fondi provenienti dalle tre biblioteche delle Facoltà di Lettere, di Giurisprudenza e di Scienze politiche. Tra le raccolte principali, figurano la Collezione carducciana (500 volumi di opere di e su Carducci), la Collezione ciceroniana (205 volumi di edizioni ciceroniane del XVIII e del XIX secolo), la Collezione deleddiana (opere di e su Grazia Deledda), la Collezione leopardiana (1500 volumi e opuscoli di opere di e su Leopardi).
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