La morte prematura non ha impedito al pittore Giuseppe De Nittis di solcare, agli esordi, i cieli dell’Italia del Sud, né di brillare poi nelle due capitali dell’arte: Londra e soprattutto Parigi.
Nonostante la breve carriera, la sua pittura, che qualcuno si ostina a definire soltanto “impressionista” (sebbene, è vero, di quella corrente ha raccolto la lezione sulla ricerca atmosferica e l’interesse ai temi della vita moderna), è stata talmente intensa da rintracciare in pochi anni tutto ciò che accadeva in Europa.
Ben al di là, dunque, delle ripercussioni del dopoguerra franco-prussiano e del fenomeno dell’industrializzazione: una condizione, questa, da “Belle Époque”, che tra la rivoluzione della fotografia e le novità del giapponismo, gli ha permesso di riversare bellezza, ma anche lirismo e realismo, in quadri e pastelli toccanti, e soprattutto in quegli “affreschi di vita” che ritraggono le belle divine dei salotti parigini.
È questa atmosfera mista di novità e fascino, di fermento e velocità, dove si muovono i rappresentanti degli ambienti bene della “città moderna”, le nobildonne che intrattengono cenacoli nei loro circoli eleganti e dove risaltano anche i paesaggi del nuovo mondo urbano di fine Ottocento, che troviamo ancora fino al 13 aprile a Ferrara alla mostra De Nittis e la rivoluzione dello sguardo. Impaginato da Maria Luisa Pacelli, Barbara Guidi ed Hélène Pinet, il percorso espositivo ripercorre l’affascinante avventura di un pittore che, come altri artisti, pur formandosi essenzialmente in Italia, e frequentando per poco tempo l’Accademia di Belle Arti di Napoli, troverà maggiore fortuna fuori dai nostri confini.
Sala dopo sala, scivolando con passi melliflui tra gli antichi spazi rinascimentali di Palazzo dei Diamanti, la mostra evidenzia quanto le molteplici evoluzioni e le tappe che De Nittis ha percorso per affermarsi e conquistare il successo, abbiano da subito rappresentato una sicura ascesa per la sua vicenda artistica, che ha riguardato sia la critica del tempo che il mercato dell’arte. Col suo modo di tradurre l’immediatezza della realtà sulla tela è riuscito, come pochi altri in quegli anni (un paragone è possibile solo con Boldini e Tissot), ad affascinare, tracciando a suon di pennello paesaggi, ritratti o strade affollate. E a riscuotere commissioni e credibilità. Il suo obiettivo raffinato è puntato in direzione della modernità, un indirizzo che, lasciando traccia in una serie nutritissima di istantanee fugaci, ha rimarcato la vivacità di quel mondo urbano brulicante, oscurando o, se non altro, mettendo in secondo piano i segni già evidenti e nefasti delle due rivoluzioni industriali.
Rubando gli occhi alla prima sperimentazione della fotografia, come risulta evidente nei rapporti di sguardi con Alfred Stieglitz, Giorgio Sommer o Gustav Le Gray, De Nittis ha saputo tradurre una realtà veloce attraverso inquadrature assolutamente audaci con tagli imprevisti come in Léontine in canotto e prospettive inconsuete che a ben vedere ancora oggi sorprendono chi le osserva.
Fondamentale è stato, per la sua consacrazione come pittore europeo, varcare le Alpi, benché qui in Italia, tra cieli corruschi e profili di monti e pianure, tra linee d’orizzonte marino, De Nittis abbia inaugurato il suo sguardo inedito sulla realtà. È qui, e soprattutto a Sud, che aguzza la vista per accendersi di luce, ed è sempre qui che la voglia di dipingere inizia a montare, e la passione di crescere artisticamente e farsi conoscere incalza.
Giuseppe De Nittis, Léontine in canotto (1874; olio su tavola, 24 x 54 cm; Collezione privata) |
Alfred Stieglitz, Giorno di pioggia a Parigi (1895; photogravure, 9 x 16 cm; Parigi, Musée d’Orsay) |
Gustave Le Gray, Barca al chiaro di luna (1856-57; stampa su carta all’albumina, 29,6 x 41,1 cm; Parigi, Bibliothèque Historique de la Ville de Paris) |
Soltanto quando sentirà come intollerabile il legame con il mercante Goupil, (con cui, in effetti, nel 1872 aveva firmato un contratto dove cedeva l’esclusiva sulla vendita), solo quando si sentirà in trappola per le regole che il mercato gli impone, l’artista avrà bisogno di guardare altrove. Soprattutto a Parigi.
Non appena sentirà il rimbombo, l’eco del frastuono di questa mecca delle arti, già dal primo soggiorno del 1867, quella città lo avvolge e lì decide di stabilirsi. Ma è soprattutto grazie alla modella e futura moglie, Léontine, che lo introduce nei salotti dell’alta società, che in qualche modo quasi rinnega le sue origini.
Di Parigi, dei suoi café e boulevard, delle grandi avenue, ne resta ammaliato (si vedano Alle corse di Auteil – sulla seggiola, o Ponte) scriverà infatti all’amico Adriano Cecioni: “La vita qui, ma quanto, quanto è interessante”. Tutto della città gli piace: l’organizzazione, la pulizia, “qua è tutto un orologio d’ordine”.
Di lui si è detto che era talmente impressionato dai luoghi, dalle cose che vedeva, dalle novità che viveva in diretta, che da “italiano in Italia”, si trasformava “in parigino a Parigi” e non di meno in “londinese a Londra”.
De Nittis, come traspare dalla mostra di Ferrara attraverso una cospicua selezione di opere provenienti principalmente dalla Fondazione di Barletta, sua città natale, è stato un artista che non solo è riuscito a intercettare prima di altri le variazioni e i cambiamenti atmosferici, quelli sociali, e del paesaggio urbano e naturale, ma si è distinto per una ricerca, e una smania di vedere e conoscere, che si è declinata prima in Francia, poi tra le visioni inglesi (non è un caso se privilegia scorci come Westminster o La National Gallery e la chiesa di Saint Martin a Londra). Esigenza insopprimibile per acquisire quella capacità, che farà tutta sua, di rendere al meglio, il genus loci, e tutte le possibili nuove energie dei luoghi.
D’altronde, era nato con una dote eccezionale che gli permetteva di imprimere nei propri occhi tutto ciò che vedeva, quello che intorno respirava: sfumature, indizi, profumi… ognuna di queste “impressioni” veniva travasata nelle sue seducenti tele, spesso enpassant. Sappiamo infatti che per farlo usava un metodo del tutto originale (e forse è in questo che consiste la sua traccia “impressionista”): aveva noleggiato, poi finalmente acquistato, un fiacre, la carrozza dentro cui riparava per vedere senza essere visto. Disegnare senza incorrere in infrazioni di nessun tipo era un modo senz’altro bizzarro di aggirare l’ostacolo della legge del 7 giugno 1848 contro gli assembramenti. Da quella carrozza, un vero atelier mobile, registrava persone, scene e paesaggi, non solo in gran velocità, ma anche nell’atto di muoversi lentamente. Di lui diceva Dancourt, già nel 1887, che realizzava opere come “fotografie viventi”. Attraverso dunque un metodo del tutto inventato e originale, dipingeva ciò che vedeva “in un istante”, riproducendo ciò che il finestrino inquadrava.
Giuseppe De Nittis, Alle corse di Auteuil – Sulla seggiola (1883; olio su tela, 107 x 55,5 cm; Barletta, Pinacoteca Giuseppe De Nittis) |
Giuseppe De Nittis, Westminster (1878; olio su tela, 110 x 192 cm). Courtesy Marco Bertoli |
Giuseppe De Nittis, La National Gallery e la chiesa di Saint Martin a Londra (1877; olio su tela, 71 x 105,5 cm; Parigi, Petit Palais, Musée des Beaux Arts de la Ville de Paris) |
Le eccentriche sperimentazioni, la ricerca caparbia di uno stile e gusto personale, l’artista le ricercava ovunque. Fonte d’ispirazione per lui è ciò che gravita nei luoghi che frequenta, ogni cosa che circola negli ambienti culturali, dalle stampe giapponesi (viste per la prima volta all’Esposizione Universale del 1867) o dal confronto, per tutti gli artisti inevitabile, con le prime prove a stampa fotografica. A questo argomento, attentissimo è il suo mercante di riferimento Goupil, il quale, per poter raggiungere un pubblico più vasto, si lascia sedurre da tutte le tecniche di riproduzione esistenti: la prestigiosa incisione a bulino, la litografia, l’acquaforte, la maniera nera, l’acquatinta e poi, dagli anni Cinquanta, la fotografia.
La fotografia e l’estetica del giapponismo hanno costituito davvero un concerto a due voci per De Nittis. Anche se ben distinto dal fenomeno impressionista, in un modo parallelo, il pittore d’origine pugliese interpreta il gusto del tempo intrecciando la sua pittura con quel raffinato sintetismo giapponese e con i codici innovativi della fotografia.
La moda delle “japonaiseries” miete vittime, soprattutto in ambito artistico, ma non solo. Nell’anno in cui de Nittis scopre Parigi, il 1867, la capitale francese ospita la prima presentazione ufficiale del Giappone a un’Esposizione Universale. Da quel momento in poi s’introduce una nuova idea di gusto, in cui “un atelier di tutto rispetto è arredato con raffinati oggetti orientali e il pittore alla moda, vestito secondo il gusto corrente, è colui che non manca di ritrarre nei propri quadri un paravento o una lacca giapponese” (Manuela Moscatiello). La moda à la japonais in De Nittis si traduce soprattutto in una ricerca espressiva della tavolozza cromatica, e nei diversi quadri in cui il bianco, spesso quello della neve, è il colore predominante.
L’estetica del giapponismo, è sì decorativa ma è pure sintetica, perché insegna a restituire l’impressione forte di ciò che doveva raffigurare. Elementi giapponesi a volte affiorano in modo più forte, altre volte più delicato come in Alba serena e Lago dei quattro cantoni, o in altre opere come Presso il lago, Passeggiata invernale, Sulla neve e Léontine che pattina.
Tuttavia è Giornata d’inverno il non plus ultra. Nel quadro Léontine è ritratta in casa mentre dalla finestra si scorge una nevicata incredibile, avvenuta a Parigi nel 1875. In quell’occasione, De Nittis scrive sul taccuino: “Parigi è tutta bianca di neve (…) per me è una visione del Giappone”. Con le variazioni del bianco, De Nittis sperimenta nuovi linguaggi, sfumature, e la tavolozza di colori s’incrementa. La qualità dell’opera risulta evidente anche a Edmond de Goncourt: “la più straordinaria sinfonia di bianchi, un modo nuovo di usare il gessetto, molto lontano dalle tecniche tradizionali”.
Giuseppe De Nittis, Passeggiata sul lago dei Quattro Cantoni (1881; olio su tela, 61 x 91 cm; Collezione privata) |
Giuseppe De Nittis, Presso il lago (1880 circa; olio su tela, 73 x 52 cm; Barletta, Pinacoteca Giuseppe De Nittis) |
Giuseppe De Nittis, Passeggiata invernale (1879; olio su tela, 131,5 x 77 cm; Barletta, Pinacoteca Giuseppe De Nittis) |
Giuseppe De Nittis, Effetto di neve (1880 circa; olio su tela, 54 x 73 cm; Barletta, Pinacoteca Giuseppe De Nittis) |
Giuseppe De Nittis, Léontine che pattina (1875 circa; olio su tavola, 55 x 37,5 cm; Collezione privata) |
Giuseppe De Nittis, Giornata d’inverno (1882; pastello su tela, 150 x 89 cm; Barletta, Pinacoteca Giuseppe De Nittis) |
Anche l’uso del pastello è strettamente legato al japonisme, cioè all’influenza dell’arte giapponese. Sappiamo che De Nittis non modificava i suoi pastelli con l’aggiunta di un fissativo, ma lavorava il pigmento riducendolo a impasto: cioè sbriciolava il pastello, lo mischiava ad acqua e lo applicava con il pennello.
“Il matrimonio del pittore con la musa giapponese, ha generato belle creature, piene di vita di movimento, seducenti che producono sugli spettatori un’impressione di grande sorpresa” (Renato Miracco). Essere influenzati dal giapponismo non riguardava quindi, solo i materiali, ma era anche una questione di soggetti scelti e di impaginazione della composizione.
Nonostante tutto, a dispetto delle novità che introduce in campo artistico, persiste ancora l’idea errata che De Nittis sia stato un pittore mondano, compiacente la borghesia del suo tempo, un artista scaltro che ha sfruttato la moda esotica della passione per il Giappone per vendere e raggiungere presto la fama. De Nittis invece, ha scritto Antonio Paolucci, “ha raccontato per immagini il melodioso tumulto della città moderna, gli appuntamenti galanti al Bois de Boulogne, le belle donne e i gran mondani, la vita pulsante sui boulevards, le feste di una borghesia all’apice del suo splendore”. Se ha raccontato il carattere, i modi di abbigliarsi e le abitudini sociali delle élite soprattutto parigine, è perché negli anni favolosi che seguono la grande paura della Comune, Parigi ha bisogno di questo, è l’Europa a esprimere tale desiderio. Una necessità che De Nittis sa presto colmare. E non ne ha alcuna colpa.