Tra la fine del Trecento e i primi decennî del secolo a venire la pittura fiorentina si riempie di leggiadre figure musicanti, per lo più angeliche. Da Agnolo Gaddi a Gherardo Starnina, da Lorenzo Monaco a fra’ Angelico, per citare solo alcuni tra i maggiori artefici, è spesso un pullulare, nelle pale d’altare a soggetto religioso così come in un talune meno frequenti opere a tema profano, di animate creature che coi loro strumenti arricchiscono le composizioni; ad esse sovente si accompagnano angeli cantori, sicché il silenzio della percezione, mistica o estetica che sia, si completa di un livello ulteriore, virtualmente percepibile ai sensi ma muto, quello della musica e del canto corale. Ovviamente per lo spettatore dell’epoca, diversamente dal frequentatore dei musei e delle mostre di oggi, tale percezione sensoriale era reale, perché nell’allestimento previsto per i polittici e le pale sugli altari degli edifici chiesastici, delle cappelle e degli oratori, il canto e la musica raffigurati nei dipinti si “esprimevano” altresì in quelli inclusi nella liturgia. Nelle immagini destinate alla devozione personale, nelle abitazioni così come nelle celle di monaci e frati, il devoto poteva partecipare in assenza, anche solo attraverso il filtro della memoria, alle occasioni propriamente cultuali. Nel primo come nel secondo caso, inoltre, le manifestazioni del suono rimandavano ad una più alta forma di contemplazione percettiva, alla musica celeste, delle sfere.
Giovanni di Marco, detto dal Ponte (Firenze, 1385 – 1437/1438 circa), partecipò con vivacità di invenzioni alla ricchezza di rappresentazioni musicali del suo tempo. L’originalità di questo esponente della pittura alla fine del Gotico è stata ben messa in rilievo dalla mostra monografica Giovanni dal Ponte, protagonista dell’Umanesimo tardogotico fiorentino organizzata quattro anni fa presso la Galleria dell’Accademia a Firenze, che ne ha permesso la conoscenza ad un pubblico più vasto rispetto a quello degli specialisti, ai quali il pittore è ben noto sin dagli inizî del Novecento. Quasi una decina tra i suoi dipinti prevedono la raffigurazione di strumenti musicali e il primo, in ordine di tempo, è la Madonna col Bambino tra i santi Giovanni Battista e Caterina d’Alessandria del Wadsworth Atheneum Museum of Art di Hartford (1415-1420 circa), eseguita per la devozione privata. Qui otto esili e guizzanti figurine di angeli, emergenti da coltri di nuvolette, scorrono lungo lo strombo della cornice: le due coppie in alto, a lato della discesa dello Spirito Santo, sono in preghiera, mentre quelle più in basso suonano strumenti normalmente visibili in altre immagini religiose tre e quattrocentesche, ossia un salterio, un organo portativo, un tamburello e uno strumento simile ad un piccolo liuto, che Arianna Soldani, in un saggio specifico dedicato a Giovanni dal Ponte, tende a riconoscere in un chitarrino (del tutto diverso dalla tipologia della chitarra moderna), che si differenzia dal liuto anche per le corde che si estendono nell’intera lunghezza della cassa armonica. L’inclusione di questi angeli nello spazio della cornice, su un livello a sé e rilevato rispetto a quello della figurazione principale, non è senza confronti nella pittura fiorentina del periodo e anticipa un tabernacolo dell’Angelico (Firenze, Museo di San Marco), legato alla devozione domenicana: in entrambi gli esemplari la musica è riservata al piano inferiore del corteo angelico, mentre man mano che ci si eleva spiritualmente essa cede il passo alla preghiera e alla pura contemplazione del divino, in un’ottica trascendente.
Nell’arco di pochi anni, nel corso del terzo decennio, Giovanni licenzia due importanti trittici con al centro il medesimo tema dell’Incoronazione della Vergine: quello esposto al Musée Condé a Chantilly e l’altro della Galleria dell’Accademia a Firenze, forse proveniente dalla chiesa di Santa Maria della Pieve ad Arezzo. Ai piedi del trono dell’Incoronazione sono inginocchiati quattro angeli (alcuni tra i quali altresì cantori), che distillano i suoni di un’arpa, di una chitarra e di un organo portativo; unica differenza è nel quarto strumento, che è un salterio a Firenze e una viella (detta altrimenti violetta) a Chantilly. Pur con tali differenze, si tratta nell’insieme di un organico ascrivibile al gruppo degli instruments bas, a debole intensità sonora, intima e rarefatta. Il trittico di Chantilly è tuttavia arricchito da due contrafforti laterali, ove compaiono altre tre coppie di creature angeliche: a sinistra esse suonano strumenti a fiato (due ciaramelle e un coppia di naccarini), mentre a destra una zampogna, un tamburello e un triangolo. È assai probabile che in origine pilastri di questo tipo chiudessero ai fianchi anche il trittico fiorentino: così, allo stesso modo, gli instruments hauts avrebbero affiancato quelli bassi, creando una più completa e ricca teofania musicale quale glorificazione dell’Incoronazione di Maria. L’evento è celebrato in maniera un poco diversa dal camaldolese Lorenzo Monaco e dal domenicano fra’ Angelico: il primo seleziona un minor numero di strumenti nella grande pala per l’altare maggiore della chiesa fiorentina del suo ordine, Santa Maria degli Angeli, oggi agli Uffizi (e si limita ad un solo organo portativo nell’altra pala per la chiesa camaldolese di San Benedetto fuori Porta Pinti, esposta alla National Gallery di Londra); nella tavola d’altare del Louvre (già in San Domenico a Fiesole) il secondo completa invece la scena con diverse trombe, ossia con strumenti da “alta cappella” che sottolineano la dimensione teofanica dell’Incoronazione celeste.
Nel trittico di San Pietro, diviso tra vari musei, la tavola principale (Cambridge, Fitzwilliam Museum) raffigura la Madonna col Bambino in trono, attorniata da otto angeli, la cui vivacità è sottolineata al movimento febbrile delle ali e dalle espressioni puntute, in coerenza con l’eleganza vibrante e accesa che (sul piano della linea, dei movimenti e della tavolozza cromatica) Giovanni dal Ponte desume fin dai suoi esordî da Gherardo Starnina, l’artista al quale si deve lo scatto deciso della pittura fiorentina in senso tardogotico. Due fra questi angeli, accovacciati a terra, suonano di nuovo un organo portativo e una chitarra (o un liuto); strumento, quest’ultimo, che ricompare, a fianco del salterio, in un altro scomparto centrale di polittico, la Madonna del De Young Memorial Museum di San Francisco.
Non mancano esempî in cui gli angeli musicanti affiancano un soggetto diverso dalla Vergine Maria. All’ingresso della cappella Scali nella chiesa di Santa Trinita a Firenze una coppia di creature con un chitarrino e un’arpa glorificano san Bartolomeo, al quale è dedicato il ciclo di affreschi di Giovanni dal Ponte (1434). Ma si segnalano anche alcune raffigurazioni profane. Si tratta del pannello frontale di un cassone, destinato all’arredo di una dimora probabilmente fiorentina, conservato al Museo Nacional del Prado a Madrid, nel quale è raffigurata l’Allegoria delle Arti Liberali, fra cui primeggia l’Astronomia, troneggiante al centro. Le sette figure femminili sono cinte sul capo da un nimbo poligonale e incoronate da un serto di alloro da altrettanti angioletti svolazzanti, mentre sfilano in un folto e rigoglioso prato fiorito di gusto squisitamente gotico, sebbene la gestazione dell’opera valichi oramai il 1430. Ciascuna di loro è affiancata, come in una danza, da un personaggio illustre cui è direttamente collegata. L’allegoria della Musica chiude sulla destra il gruppo, mentre canta e suona un organo portatile, accompagnata da Tubalcain, il biblico fabbro, artefice dei più antichi strumenti musicali, che qui batte «il ritmo con due martelli su di un’incudine, legata alla vita come un tamburo da parata», come scrive Lorenzo Sbaraglio. Una seconda fronte di cassone nuziale, con alcuni episodi tratti dal Teseida di Giovanni Boccaccio (La Spezia, Museo Civico “Amedeo Lia”), si conclude con i festeggiamenti per gli sponsali di Emilia e Palemone, in un interno che trasfigura (con tanto di arazzo vermiglio trapuntato di uccelli) l’atmosfera della vita contemporanea, tra suonatori di trombe e balli, il tutto parato a festa. Un altro pannello di cassone, raffigurante il Giardino d’amore (New Haven, Yale University Art Gallery), è più rovinato, ma si riconosce chiaramente all’estrema sinistra un giovanottoche pizzica le corde di un liuto e di una fanciulla che intona il suono di un’arpetta, armonizzando così la danza di un gruppo di giovani.
È con immagini come queste, gradite agli auspici coniugali e alla vita domestica della borghesia fiorentina, che un artista come Giovanni dal Ponte celebrava il sogno di una vita gioconda e armoniosa, tra le delizie di giardini non meno paradisiaci per le gioie terrene dei cortei celesti animati dalle trascendentali sonorità degli angeli. Ed egualmente scandite dai colori più tenui e delicati del Gotico al suo declinare.
Per saperne di più:
Giovanni dal Ponte, protagonista dell’Umanesimo tardogotico fiorentino, catalogo della mostra a cura di A. Tartuferi e L. Sbaraglio, Firenze, Giunti, 2016 (in particolare il saggio di A. Soldani, Iconografia musicale in Giovanni dal Ponte).