I templi di Paestum nelle incisioni di Giovanni Battista Piranesi


Nel 1778 Giovanni Battista Piranesi si recò a Paestum e realizzò una serie di vedute dei templi dell'antica città: ne parliamo in questo articolo.

Se l’erano vista davvero brutta i templi di Paestum, nel 1740. All’epoca infatti il re di Napoli, Carlo III di Borbone, aveva dato da poco il via ad alcuni lavori di risistemazione al Palazzo Reale della città partenopea, e uno degli architetti di corte, Ferdinando Sanfelice (uno dei migliori e più creativi del regno), aveva proposto di ricavare i materiali per la costruzione dalle colonne dei templi. Ecco cosa scriveva in una lettera indirizzata al sovrano: “per avanzare il tempo e la spesa si potrebbe prendere le pietre che sono nell’antica Città di Pesto, che fu antica colonia de’ Romani, dove vi sono tante quantità d’edificij mezzi diruti, essendovi più di cento colonne di smisurata grandezza con i loro capitelli, architravi, fregi e cornicioni di pezzi così grandi che fanno conoscere la potenza degli antichi romani; questi si potrebbero trasportare con grandissima facoltà per mare, essendo la detta Città fabricata accosto la Marina”. Del resto si sa che, all’epoca, non c’era molta sensibilità per le cose antiche, e il fatto che un architetto moderno come Sanfelice ipotizzasse di rendere Paestum una sorta di cava per la fabbrica di Palazzo Reale non deve sorprendere poi così tanto. Tuttavia è anche necessario sottolineare che già allora stava iniziando a diffondersi quel clima di entusiasmo per le rovine delle antiche città che avrebbe poi condotto alla nascita del neoclassicismo: nel 1738 furono scoperte le rovine di Ercolano, e nel 1748 quelle di Pompei. E in un clima del genere, la rivalutazione di Paestum non avrebbe tardato ad arrivare.

Caduta dunque nel dimenticatoio la proposta di Sanfelice (per fortuna), le premesse per far conoscere al mondo intero i templi di Paestum sorsero poco dopo il 1746, quando un giovane architetto napoletano, Mario Gioffredo, visitò Paestum e fece dei rilievi che poi inviò alla corte di Carlo III. Il governo del regno di Napoli, dal canto suo, aveva avuto negli stessi anni l’idea di avviare la costruzione di una strada che potesse migliorare i collegamenti tra la capitale del regno e le zone più a sud, verso la Calabria: la nuova via, il cui tracciato oggi è ricalcato in buona parte dalla strada statale 18, passava proprio a fianco dei templi di Paestum. Così, forse in modo inconsapevole, Carlo III riuscì a destare un notevole interesse per quelle rovine: proprio per il fatto che, percorrendo la nuova strada, si potevano ammirare in tutta la loro stupefacente solennità. Così, Paestum divenne in breve tempo non solo una tappa del Grand Tour, il viaggio internazionale che i giovani aristocratici acculturati, provenienti da tutta Europa, compivano per andare alla scoperta delle radici della cultura europea, ma divenne anche meta di artisti intenzionati a studiare l’ordine e l’armonia dell’arte degli antichi. Tra i viaggiatori che visitarono Paestum nella seconda metà del Settecento (facciamo giusto qualche nome: il marchese de Sade nel 1776, John Robert Cozens nel 1782, Wolfgang Goethe nel 1787) non si può non citare un artista che offrì uno dei più interessanti contributi per lo sviluppo del neoclassicismo, ovvero Giovanni Battista Piranesi (Mogliano Veneto, 1720 - Roma, 1778).

Il grande incisore veneto si recò a Paestum una prima volta nel 1770, e quindi nell’ultimo anno della sua carriera e della sua vita, il 1778, e in tale occasione realizzò una serie di incisioni intitolata Differents vues de Pesto (“Diverse vedute di Paestum”) che ebbero il merito di diffondere ulteriormente l’interesse per i templi dell’antica città romana. Nelle sue incisioni, Piranesi ci offre descrizioni precise e minuziose: i templi sono grandiosi e maestosi, emergono da un’ingombrante boscaglia e, anzi, ne sono essi stessi parte, dato che le rovine sono coperte di vegetazione e offrono riparo a pastori, contadini, pellegrini, cavalieri, vagabondi d’ogni sorta. La potenza evocatrice dell’arte di Piranesi è tale che i templi di Paestum ci appaiano quasi inquietanti, tanta è la loro grandezza e tanto arditi sono gli scorci prospettici adottati dall’artista: se ne ricava un senso del sublime che anticipa anche il romanticismo. Una spettacolare imponenza che, oltre tutto, si carica di significati allegorici: malgrado la loro sontuosità, e malgrado l’idea di opulenza che potrebbero suggerire, i templi di Paestum, nelle incisioni di Piranesi, conservano unicamente la memoria di ciò che furono, perché il presente è all’insegna della rovina e della decadenza, e anche le più magniloquenti e superbe realizzazioni dell’uomo devono cedere alla forza del tempo, che scorre abbattendo civiltà, lasciando macerie e portando il vuoto e la miseria anche laddove la vita prosperava felice. In talune di queste incisioni, la presenza delle rovine è talmente soffocante (grazie anche all’uso sapientissimo della prospettiva) da non lasciar intravedere neppure l’orizzonte: la composizione è interamente occupata dalle colonne dei templi, come nel caso delle incisioni che raffigurano gli interni del Tempio di Nettuno.

Giovanni Battista Piranesi, Veduta dei resti del tempio di Nettuno a Paestum
Giovanni Battista Piranesi, Veduta dei resti del tempio di Nettuno a Paestum (1778; incisione, 50,5 x 68,5 cm; Napoli, Fondazione Giambattista Vico)


Giovanni Battista Piranesi, Veduta dell'interno del tempio di Nettuno a Paestum
Giovanni Battista Piranesi, Veduta dell’interno del tempio di Nettuno a Paestum (1778; incisione, 48,5 x 69 cm; Napoli, Fondazione Giambattista Vico)

Le figure umane sono minuscole se confrontate con le enormi rovine: se ne ricava quasi un senso d’impotenza, sembra che l’uomo possa far poco per arrestare, o quanto meno per rallentare, il corso della natura, che si appropria di quanto fatto dall’uomo senza alcun riguardo e risultando ovviamente vincitrice nell’impari scontro. E se l’austerità dei templi è suggerita anche dalla ricchezza dei dettagli, sorprendente se pensiamo che Piranesi realizzò queste vedute in condizioni di salute tutt’altro che buone, la figura umana fa da contraltare, a simboleggiare anche la meschinità dei tempi vissuti dall’autore se comparati a quelli splendidi (a modo di vedere degli artisti neoclassici) dell’antichità: un passato, insomma, da guardare con nostalgia. Così scriveva lo storico dell’arte Roberto Pane a proposito della presenza umana nelle vedute di Paestum realizzate da Piranesi: “I personaggi che si aggirano fra i ruderi delle vedute piranesiane sono ruderi anch’essi; quasi sempre uomini sbrindellati, che gesticolano sollevando le braccia, oppure indicando qualcosa con ampi ed inutili gesti. In realtà il loro compito è solo quello di contribuire al pathos della rappresentazione [...] Forse, anche attraverso tali relitti umani, questo poeta e, insieme, retore dell’antichità romana, intese sottolineare la miseria del suo tempo, al confronto con i resti di un mondo che egli vedeva a tal punto favoloso ed eroico da sfidare persino il ridicolo”.

Giovanni Battista Piranesi, Veduta del tempio di Nettuno a Paestum
Giovanni Battista Piranesi, Veduta del tempio di Nettuno a Paestum (1778; incisione, 53 x 72 cm; Napoli, Fondazione Giambattista Vico)


Giovanni Battista Piranesi, Veduta dell'interno del Pronao
Giovanni Battista Piranesi, Veduta dell’interno del Pronao (1778; incisione, 49 x 67 cm; Napoli, Fondazione Giambattista Vico)


Giovanni Battista Piranesi, Veduta dei resti del supposto Collegio
Giovanni Battista Piranesi, Veduta dei resti del supposto Collegio (1778; incisione, 49 x 67 cm; Napoli, Fondazione Giambattista Vico)

E che Piranesi nutrisse una profonda ammirazione verso gli artefici di questi templi è testimoniato anche dai commenti apposti dal figlio Francesco sui cartigli delle incisioni al momento della pubblicazione delle stampe. Leggiamo, per esempio, nel lungo commento all’incisione che raffigura una veduta dall’esterno del Tempio di Nettuno: “L’exactitude des proportions caracterise ce batiment pour une production de plus parfaites, et des mieux éxécutées dans ce genre, et l’on peut dire que l’Architecte a tiré de son art de quoi s’attirer l’admiration de ses contemporains comme de la posterité”, ovvero “L’esattezza delle proporzioni caratterizza questa costruzione come una delle realizzazioni più perfette e meglio eseguite del suo genere, e si può dire che l’architetto abbia fatto in modo da guadagnarsi l’ammirazione sia dei suoi contemporanei sia dei posteri”. L’esperienza di Piranesi si sarebbe rivelata fondamentale, come anticipato, per gli sviluppi della poetica neoclassica: le vedute degli antichi templi di Paestum sarebbero diventate una cifra comune a molti artisti che vennero dopo di lui, a cominciare proprio dal succitato Francesco Piranesi.

Tutte le incisioni che abbiamo proposto in questo articolo, insieme ad altre opere, sia di Piranesi che di altri artisti, sono esposte in questi giorni a Napoli, alla mostra Paestum nei percorsi del Grand Tour. La discoverta delle antiche ruine, che si tiene a Castel dell’Ovo fino al 17 maggio 2016. L’esposizione, che è a cura della Fondazione Giambattista Vico, mette al centro del percorso proprio le rovine di Paestum, indagando l’importanza che hanno rivestito per gli sviluppi del neoclassicismo e come imprescindibile tappa del Grand Tour. Le opere di Piranesi non sono che uno dei temi che vengono affrontati da una mostra di piccole dimensioni, ma che sa diffondere cultura e fare buona divulgazione attorno a un argomento forse non molto noto al grande pubblico... e, peraltro, gratuitamente. Per chi in questi giorni si trovasse a Napoli o dintorni, l’appuntamento è da non perdere!

Paestum nei percorsi del Grand Tour. La discoverta delle antiche ruine
Paestum nei percorsi del Grand Tour. La discoverta delle antiche ruine


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).






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