“Per Gioco è troppo, per guerra è poco”. Con queste parole, nel 1807, Maria Luisa, regina reggente d’Etruria, pose fine al Gioco del Ponte di Pisa, di cui per tutto il XIX secolo si disputò soltanto un’edizione. La manifestazione riprese nel XX secolo e con continuità dal Dopoguerra: il Gioco del Ponte è infatti uno degli eventi più sentiti della tradizione pisana, capace di mescolare storia, folklore e orgoglio civico, e si iscrive a giusta ragione in quel novero di appuntamenti, in bilico tra rievocazioni storiche e competizioni ancora vive, che in Toscana hanno ancora grande fortuna e seguito, come il celeberrimo Palio di Siena, il Calcio storico fiorentino, o la Giostra del Saracino ad Arezzo. Ogni ultimo sabato di giugno, la città di Pisa si riempie dei colori e delle bandiere dei partecipanti, in città affluiscono visitatori che col fiato sospeso seguono il famoso scontro che si tiene sul Ponte di Mezzo che sovrasta l’Arno e si pone come principale collegamento tra le due sponde della città.
Le tradizioni del Gioco sono antichissime: comunemente si ritiene sia l’erede del Mazzascudo, una sorta di torneo medievale che si svolgeva durante i fasti della Repubblicana Pisana, in Piazza degli Anziani, odierna Piazza dei Cavalieri. La volontà di questo torneo, come di altri, era di rendere la guerra un gioco, mantenendo i partecipanti in allenamento per essere più pronti sui campi di battaglia. Il Mazzascudo si componeva prima di sfide individuali poi tra fazioni, il Gallo e la Gazza, che si contendevano a suon di mazze e scudi il territorio di gioco avversario. Pare che le prime notizie di tale disfida risalgano al 1168, ed ebbe vita lunga, quantomeno fino all’inizio della dominazione fiorentina nei primi anni del XV secolo.
È da queste premesse che nel 1568 sotto il granduca Cosimo I de’ Medici viene elaborato il nuovo gioco; il Ponte Vecchio (oggi noto come di Mezzo) è lo scenario prescelto, e le fazioni opposte si contendono le due sponde attraverso un combattimento fisico utilizzando il “targone”, una tavola di legno allungata che ricorda una mazza, usata tanto per offendere quanto per difendere, e recante i colori delle diverse squadre, formate da giocatori provenienti dalle due parti della città, Tramontana a Nord e Mezzogiorno a Sud, e suddivisi in squadre composte da 50 o 60 soldati. I combattenti vestivano con abbigliamento del tempo o in alcune edizioni con vesti di fantasia, con richiami all’esotico o alle imprese militari contro i mussulmani. Con questa impostazione, anche se le regole furono più volte modificate, il Gioco prosperò fino all’avvento di Pietro Leopoldo di Lorena, a cui era inviso, perché comportava disordini e reminiscenze autonomiste, e fu sospeso per ventidue anni. Nel 1807 fu definitivamente soppresso perché ritenuto troppo cruento.
Occorse attendere fino al 1935 perché venisse ripristinato inserendosi nella politica fascista di rinverdimento delle tradizioni locali antiche, ma si riuscì a giocare solo tre edizioni, prima che la Guerra mondiale ne interrompesse nuovamente lo svolgimento. Nel Dopoguerra la manifestazione venne ripresa quasi immediatamente, ma le edizioni si alternarono senza regolarità, che riuscirono a ritrovare solo negli anni Ottanta. Lo scontro fisico è stato sostituito da una contesa, che vede le parti spingere un carro meccanico, tentando di rubare terreno all’avversario. Questa soluzione è nata per scongiurare il rischio di incidenti causati dal contatto fisico tra uomini.
Il Gioco del Ponte è entrato con tanta pervasività nella vita e nelle tradizioni pisane che esiste una ricca produzione iconografica che ha la celebre rievocazione storica come soggetto: una produzione che permette, attraverso dipinti e stampe, di rivivere i fasti della manifestazione, in tutti quegli aspetti che si sono perduti o sono inevitabilmente cambiati nel corso del tempo.
In particolare, le incisioni venivano realizzate per accompagnare pubblicazioni e libelli che avevano in oggetto il Gioco del Ponte, talvolta a corredo di componimenti poetici volti a magnificare la vittoria o il coraggio delle singole squadre, o realizzazioni pensate come oggetti autonomi. Sono innumerevoli i sonetti, madrigali, canzonette e cartelli di disfida che hanno accompagnato le diverse edizioni del Gioco nel corso dei secoli; nonostante molti di questi fogli siano andati perduti, una rilevante quantità è stata raccolta e si conserva nella Biblioteca Universitaria di Pisa. Di questi se ne segnalano alcuni che sono accompagnati da illustrazioni che rappresentano il Gioco del Ponte: risale al 1785 il foglio intitolato In occasione di risvegliare la nobile e dilettevole emulazione del giuoco del ponte nella città di Pisa, dove nella parte bassa è rappresentato un gruppo di sbandieratori, mentre in alto si vede il Ponte con la sfida in corso, si riconoscono i Giudici, i due “Forti” per parte e le squadre in assetto da guerra, al di sotto del ponte navigano alcune barche in attesa di prestare soccorso ai malcapitati, che nella foga della battaglia potrebbero malauguratamente precipitare, come peraltro accade ad alcuni targoni nell’illustrazione. Allo stesso anno si data anche il foglio Pisa Giuliva per la Spiegazione delle dodici Bandiere del Giuoco del Ponte […] in cui stavolta la stampa edita in controparte mostra il ponte e una sezione dei lungarni che si sviluppano sui lati, con il Palazzo Pretorio svettante sulla sinistra, mentre viene ripreso il motivo dei targoni che precipitano in acqua.
Tra le stampe più antiche e più interessanti dedicate al tema va menzionata un’acquaforte del 1608 dal titolo Il nobil antico giuoco del combattimento del ponte solito farsi a Pisa […] firmata da Matthäus Greuter, incisore originario di Strasburgo, noto anche per aver curato l’iconografia del testo di Galileo Galilei Istoria e dimostrazioni intorno alle macchie solari. Vi è illustrata l’edizione del gioco del 1608 che venne disputata a Firenze sul ponte di Santa Trinita per volere della granduchessa Cristina di Lorena e che fu inserita nel programma di festeggiamenti del matrimonio dei principi di Toscana Cosimo II e Maria Maddalena d’Austria. Fu la granduchessa stessa ad armare a sue spese due squadre e a ordinare ai Cavalieri di Santo Stefano di comporne altre due.
Come già notava la studiosa Laura Zampieri, l’illustrazione presenta la Mostra delle Armi, o corteo storico, dove figurano anche personaggi con costumi insoliti per il Gioco: abiti persiani, romani e greci antichi, mori e ciclopi per la parte di Tramontana; svizzeri, turchi, lusitani e indiani per quella di Mezzogiorno, dimostrazione di quanto l’edizione di quell’anno avesse avuto una connotazione più vicina al gusto dei Medici che non a quello tradizionale. Nell’immagine, il corteo occupa tanto le sponde dei lungarni quanto il ponte, mentre nell’Arno si trova un’isola fluviale dove hanno preso posto il Marzocco, il leone simbolo di Firenze, e una divinità fluviale sul modello della statua del Marforio di Roma. La stessa incisione è stata reimpiegata anche nel secolo successivo, con minime variazioni, ma epurandola dalla 57 figurine che compongono la Mostra.
Altra celebre stampa è quella di Anton Francesco Lucini e del noto incisore Stefano Della Bella di cui si conoscono tre stati, di cui il primo del 1634. La veduta sembra valorizzare più il contesto ambientale e architettonico della scena rispetto allo svolgimento del Gioco: infatti sono accuratamente descritti i lungarni con i palazzi, e in particolare l’argine di sinistra che occupa parte del primo piano, con la minuziosa narrazione degli astanti in abiti seicenteschi, di cavalli e carrozze. L’ansa del fiume è vivacizzata da galeoni, mentre alcune barchette stazionano sotto il ponte, dove attendono la caduta di un combattente che nell’impeto del gioco sta scivolando in acqua. Questa incisione assume anche il ruolo di testimonianza iconografica di grande valore mostrando come appariva il vecchio ponte prima del crollo avvenuto nel 1637.
Della metà del secolo successivo, più precisamente del 1761, è la bella acquaforte attribuita a Gaetano Franchi, corredata di didascalia, che permette di identificare i palazzi e monumenti più noti che insistono sui lungarni. In questa si notano gli steccati di contenimento dei combattenti e risalta il grande concorso di visitatori che si affastellano lungo le sponde e sopra i tetti dei palazzi, mentre la battaglia infuria sul ponte dove, sebbene vietato dalle regole, qualche partecipante sta usando irregolarmente il targone come una mazza per colpire i nemici. La violenza dello scontro è ribadita dal solito e costante motivo dei targoni che precipitano in Arno. Questa stampa è servita da modello seguito quasi pedissequamente dagli incisori che resero il Gioco del Ponte nei decenni successivi.
Le grafiche, di per sé validissime testimonianze per ricostruire l’aspetto e l’organizzazione che il Gioco del Ponte aveva assunto nel corso delle edizioni del passato, hanno il limite di essere tutte in bianco e nero e di non restituire invece l’accesa policromia dei costumi, delle bandiere e delle insegne, che invece era componente fondamentale di questa manifestazione. Fortunatamente ci vengono in soccorso alcune opere pittoriche che si trovano a Firenze: un olio su tela di artista anonimo e risalente al XVII secolo che si custodisce al Museo Stibbert e due opere appartenenti alle collezioni della Galleria palatina di Palazzo Pitti. In particolare, queste ultime sono opere di non grandissima qualità e in uno stato di conservazione mediocre, ma le divergenze che mostrano nella composizione costituiscono motivo d’interesse. È attribuita a Gherardo Poli una tela piuttosto scura nella resa cromatica, dove l’interesse dell’artista sembra essere distratto dal gioco stesso in favore della folla, i cui componenti raggiungono una qualità pittorica che sicuramente non si ripete nelle incerte architetture, tanto che il pittore si prende una licenza creativa ampliando il tratto del lungarno in primo piano, per aumentare il terreno calpestato dalla calca, in una prospettiva in parte falsata. Mentre sembra dipendere direttamente dall’incisione di Della Bella l’altra tela fiorentina, di cui ripete la soluzione del lungarno di sinistra in primo piano, calpestato da numerosi presenti oltre che da una carrozza. Si discosta invece dal modello, oltre che per una prospettiva poco attendibile, anche per l’inserimento sul ponte dell’antenna con il gonfalone pisano, assente nell’acquaforte, poiché iniziata ad essere in uso nel Gioco solamente dal 1662, dopo la ricostruzione del ponte.
Di ben altra qualità sono le opere, forse le più belle dedicate al tema, realizzate da Giuseppe Maria Terreni, pittore e incisore livornese, i cui servigi, in particolare per la tecnica dell’affresco, furono a lungo richiesti dalla corte granducale. Terreni realizzò quattro tempere su committenza granducale in occasione dell’edizione del maggio del 1785, disputata durante la visita in Toscana dei reali di Napoli, Ferdinando III di Borbone e la consorte. Le opere illustrano alcuni momenti dei festeggiamenti, e due di queste sono legate al gioco. Si tratta della Veduta con accampamento delle truppe destinate al gioco del ponte nella piazza del duomo a Pisa e Veduta della Vittoria nel Giuoco del Ponte a Pisa riportato dalla parte di Sant’Antonio, in cui si celebra la tradizione della manifestazione con vivacità mondana e cortese tra suadenti cromie, che trasformano la competizione da scontro violento a elegante festa.
Elemento ricorrente in tutte le illustrazioni dedicate al Gioco è l’onnipresente affluenza di pubblico a dimostrazione di come nei secoli precedenti fino ad oggi, il Gioco del Ponte è uno degli appuntamenti più attesi nella città di Pisa.
Per saperne di più su Pisa: https://www.turismo.pisa.it/
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ISCRIVITI ALLA NEWSLETTERL'autore di questo articolo: Jacopo Suggi
Nato a Livorno nel 1989, dopo gli studi in storia dell'arte prima a Pisa e poi a Bologna ho avuto svariate esperienze in musei e mostre, dall'arte contemporanea, alle grandi tele di Fattori, passando per le stampe giapponesi e toccando fossili e minerali, cercando sempre la maniera migliore di comunicare il nostro straordinario patrimonio.