Il Sacro Monte di San Vivaldo, una Gerusalemme in miniatura nel cuore della Toscana


La Gerusalemme di San Vivaldo a Montaione è un sacro monte in Toscana che riproduce fedelmente i luoghi sacri di Gerusalemme. Con diverse ed emozionanti sculture in terracotta.

Un "luogo in cui si trovano, raffigurati con perizia, tutti i misteri della passione del Signore, oltre che le devotissime cappelle, alcune delle quali splendide, disposte come quelle di Gerusalemme": questa era la sintetica descrizione che il vescovo Francesco Gonzaga (Gazzuolo, 1546 - Mantova, 1620) forniva per il Sacro Monte di San Vivaldo nel suo De origine Seraphicae Religionis Franciscanae eiusque progressibus, pubblicato nel 1587. Dal borgo di Montaione, nel cuore della Valdelsa (e quindi della Toscana), per arrivare al Sacro Monte occorre seguire una strada tortuosa ma comoda che, tra boschi di lecci e castagni, conduce al convento d’inizio Cinquecento che fu costruito proprio in mezzo a quelle selve nelle quali, almeno da tre secoli prima, già s’aggiravano monaci eremiti. Qui aveva a lungo vissuto quel Vivaldo Stricchi da San Gimignano che, a seguito della scomparsa che si vuol collocare al 1° maggio del 1320, divenne oggetto di un diffuso culto in queste terre, e successivamente divenne santo per acclamazione popolare (non fu mai canonizzato: la beatificazione giunse solo nel 1908, ma la Chiesa non aveva mai ostacolato il suo culto). Il convento fu edificato proprio dove, secondo la tradizione, si trovava il castagno entro il quale il beato Vivaldo aveva ricavato una celletta dove trascorrere il proprio ascetico romitaggio. Incerte sono comunque le notizie storiche sul personaggio, e peraltro il toponimo "San Vivaldo" è a lui precedente: ci sono documenti del XIII secolo che già parlano di un "locus" o di una "ecclesia sancti Vivaldi", nonché "de possessioni[bus] Sancti Vivaldi quas habebant Fratres de Cruce".

Più disagevole doveva tuttavia essere il percorso che, nel sedicesimo secolo, conduceva qui i pellegrini, che dal borgo dovevano inerpicarsi nel mezzo della foresta fino a raggiungere la Selva di Camporena, luogo in cui, nell’anno giubilare 1500, si decise di costruire la piccola Gerusalemme di San Vivaldo. Ma per quanto erto e scomodo, tale percorso era ben poca cosa rispetto ai pericoli a cui i pellegrini si sarebbero sottoposti qualora avessero voluto recarsi in Terra Santa. L’idea di realizzare, nei boschi vicini a Montaione, un Sacro Monte che riproducesse, in miniatura, la topografia e le cappelle della vera Gerusalemme, nacque proprio per la necessità d’offrire ai pellegrini un’alternativa a un viaggio rischioso da affrontare in un’epoca in cui il forte espansionismo ottomano metteva a repentaglio l’incolumità di quanti si dirigessero verso Oriente. Si trattava dello stesso spirito che, pochi anni prima, aveva fatto sorgere il Sacro Monte di Varallo, un altro complesso di piccole cappelle che riproduceva i luoghi santi di Gerusalemme. Il sacro monte piemontese fu ideato da padre Bernardino Caimi (Milano, 1425 - 1500) che, di ritorno da un pellegrinaggio in Terra Santa, s’era reso conto di quante minacce comportasse il lungo viaggio, e volle offrire ai pellegrini una fedele riproduzione dei luoghi in cui si dipanò la vicenda terrena di Gesù Cristo. Probabilmente Bernardino Caimi, durante la sua permanenza in Palestina, ebbe contatti con fra’ Tommaso da Firenze (documentato dal 1506 al 1529), francescano che aveva compiuto diversi viaggi in Oriente e che, al corrente di quanto Caimi aveva realizzato a Varallo, si risolse per creare una Gerusalemme in miniatura anche in Toscana.

I francescani arrivarono così a Montaione nel 1500, iniziarono a edificare il convento e, di lì a poco, cominciarono a dar vita al progetto di fra’ Tommaso. Occorsero sedici anni per la realizzazione delle trentaquattro cappelle previste dal progetto: il Breve pontificale di Leone X, risalente al 1516, concedeva le indulgenze ai fedeli che avessero compiuto una visita ai loci di San Vivaldo, che nel documento venivano minuziosamente elencati. Dei trentaquattro oratori originari, eretti a imitazione di quelli della vera Gerusalemme, ne restano oggi soltanto tredici, ai quali se ne aggiungono cinque costruiti in epoche successive, per un totale di diciotto cappelle, ognuna delle quali concessa in patronato a una famiglia locale. Non esiste un unico percorso di visita per le cappelle: il pellegrino poteva decidere se seguire il racconto evangelico, se muoversi secondo la disposizione dei luoghi nella mappa di Gerusalemme, oppure se seguire la semplice successione delle cappelle. Il percorso che ci accingiamo a intraprendere di seguito è quello suggerito dalla storica dell’arte Rosanna Caterina Proto Pisani, a lungo funzionario della Soprintendenza di Firenze con diverse mansioni in Valdelsa, della quale è profonda conoscitrice, nonché autrice della più aggiornata guida della Gerusalemme di San Vivaldo. Si tratta d’un itinerario che, tenendo presenti esigenze funzionali, segue per lo più la narrazione della Passione di Cristo così come descritta nelle cappelle. Ognuna di esse, infatti, ospita gruppi scultorei in terracotta che illustrano i diversi episodi del racconto evangelico: obiettivo era quello di fare del fedele un attore degli eventi, di renderlo partecipe in prima persona e di coinvolgerlo nelle sofferenze di Cristo. Si tratta di un percorso dotato di un fortissimo impatto emotivo, capace di suggestionare anche i non credenti, anche in virtù di diversi passaggi in cui il visitatore si scopre in mezzo alle sculture, chiamato a essere parte egli stesso delle vicende narrate. La terracotta diventa in tal senso strumento più adatto a dar forma al messaggio dei francescani di San Vivaldo: la terra è un elemento povero e semplice, colmo dunque di rimandi simbolici, e dal lato pratico permetteva di modellare sculture durevoli nel tempo in modo relativamente rapido. Le terrecotte della Gerusalemme di San Vivaldo sono dense d’un naturalismo che dona una vivace concretezza alle scene narrate: la semplicità, la vicinanza ai pellegrini che giungevano in questo luogo, la capacità di comunicare in modo chiaro e diretto il messaggio sono le caratteristiche principali delle sculture che popolano i loci di San Vivaldo e che furono eseguite da alcuni dei principali maestri dell’epoca, da Giovanni della Robbia (Firenze, 1469 - 1529/1530) a Benedetto Buglioni (Firenze, 1459 - 1521).

Il convento di San Vivaldo
Il convento di San Vivaldo. Ph. Credit Finestre sull’Arte

Dopo aver visitato la chiesa di San Vivaldo, attigua al convento, è possibile concedersi una prima, breve sosta alla Cappella della Samaritana: è una loggia aperta entro cui trova spazio il rilievo raffigurante l’episodio, tratto dal Vangelo di Giovanni, dell’incontro tra Gesù e la Samaritana. Si tratta però d’una copia: la terracotta originale, della bottega di Giovanni della Robbia, fu venduta nel 1912, quando il convento necessitava di fondi per riparare le cappelle andate in rovina (oggi si trova negli Stati Uniti, al Cleveland Museum of Art). La cappella, invece, è una delle quattro non previste dal progetto originario ed è testimone, scrive Proto Pisani, di "come si fosse progressivamente perso il rigore filologico che aveva caratterizzato il progetto di fra’ Tommaso" e di "come si tendesse a venerare tutti i luoghi che potevano ricordare gli episodi della vita di Gesù". Il vero viaggio può dunque aver inizio dalle cappelle del Monte Sion, che condividono un unico edificio. La prima è la Cappella del Cenacolo, che ci accoglie con la sua facciata classicheggiante, in uno stile rinascimentale sobrio e austero che caratterizza tutti gli oratori. È la prima cappella che riproduce un luogo sacro gerosolimitano, perché il sacello sanvivaldino riprende schema e planimetria del Cenacolo di Gerusalemme: tuttavia, le forme medievali di quest’ultimo vengono "attualizzate" in un impianto rinascimentale dal sapore classico, consonante con gli ideali umanistici della Toscana del tempo. Entro la cappella trovano spazio i gruppi della Lavanda dei piedi e dell’Ultima cena, entrambi ascrivibili a Giovanni della Robbia e ai suoi collaboratori.

Il pellegrino inizia a sentirsi parte del racconto: i personaggi sono dotati di una forte caratterizzazione individuale, c’è un marcato gusto per la narrazione, vicina al vissuto quotidiano del visitatore (gli oggetti riprodotti sulla tavola di Cristo e degli apostoli sono quelli in uso al tempo della realizzazione delle opere), c’è una gestualità coinvolgente e tesa, che prepara, in questa cappella, il visitatore ai drammi che vivrà nel prosieguo del racconto. Un racconto che abbandona per un attimo la sequenza evangelica per seguire la disposizione delle cappelle gerosolimitane: si continua infatti con la Cappella dell’incredulità di san Tommaso, dove il gruppo è probabile opera di Agnolo di Polo (Firenze, 1470 - Arezzo, 1528), allievo del Verrocchio (e l’opera di Agnolo presenta forti punti di contatto con la celebre Incredulità di san Tommaso che il Verrocchio eseguì per Orsanmichele a Firenze), e con la Cappella della Pentecoste, il cui gruppo scultoreo è invece attribuito a Benedetto Buglioni. Il coinvolgimento è totale: nella cupola è possibile vedere la colomba dello Spirito Santo che, con le sue lingue di fuoco, discende su Maria e sugli apostoli (ma anche su di noi che assistiamo alla scena). Il viaggio riprende conducendoci alla Casa di Anna, il luogo in cui si tenne il processo a Gesù. Quando la porta si spalanca, ci troviamo nel pieno svolgimento del processo: Gesù, a capo chino, con lo sguardo rivolto verso il basso e con le mani legate, è condotto da un manipolo di soldati di fronte al sommo sacerdote Anna, che lo osserva con sguardo torvo, interrogandolo, mentre il soldato vicino a lui alza il braccio per schiaffeggiarlo. Il momento è particolarmente concitato, e il visitatore si trova d’improvviso catapultato in mezzo alla scena: impossibile rimanere indifferenti di fronte a questi gesti disumani e crudeli. Uscendo dalla cappella e proseguendo il percorso ancora attoniti, si riprende la strada verso la Casa di Simone il Fariseo che, con il coinvolgente gruppo assegnato ad Agnolo di Polo, ci rende quasi commensali della cena in cui la Maddalena si pente gettandosi ai piedi di Gesù e ci riporta indietro nelle fasi del racconto (ma segue la topografia di Gerusalemme, pur non facendo parte del progetto originario).

La Cappella della Samaritana
La Cappella della Samaritana. Ph. Credit Finestre sull’Arte


Esterno della Cappella del Cenacolo
Esterno della Cappella del Cenacolo. Ph. Credit Finestre sull’Arte


Interno della Cappella del Cenacolo
Interno della Cappella del Cenacolo. Ph. Credit Finestre sull’Arte


Il Cenacolo
Il Cenacolo. Ph. Credit Gerusalemme di San Vivaldo


La lavanda dei piedi
La lavanda dei piedi. Ph. Credit Finestre sull’Arte


Incredulità di san Tommaso
Incredulità di san Tommaso. Ph. Credit Gerusalemme di San Vivaldo


La Pentecoste
La Pentecoste. Ph. Credit Finestre sull’Arte


La cupola della Cappella della Pentecoste
La cupola della Cappella della Pentecoste. Ph. Credit Finestre sull’Arte


Gesù davanti ad Anna
Gesù davanti ad Anna. Ph. Credit Finestre sull’Arte


Gesù davanti ad Anna, dettaglio
Gesù davanti ad Anna, dettaglio. Ph. Credit Finestre sull’Arte


La cena in casa del fariseo
La cena in casa del fariseo. Ph. Credit Finestre sull’Arte

Il successivo gruppo di cappelle dà inizio alla via dolorosa e la nostra sensibilità viene costantemente esteriorizzata: comincia il percorso di Gesù che, dopo essere stato giudicato, lo porterà fino al Calvario. Nella Cappella della casa di Pilato, assistiamo alla Flagellazione e all’Incoronazione di spine, scene attribuite ad Agnolo di Polo: il naturalismo, con i volti biechi degli sgherri che si occupano di Cristo e con la visibile sofferenza che si legge sul volto del Signore, tocca qui una delle vette più alte di tutto il complesso sanvivaldino. Ma il passaggio forse più emozionante di tutta la Gerusalemme di San Vivaldo è il corridoio che scorre tra l’edicola dell’Ecce Homo e l’edicola del Crucifige, ricavate rispettivamente da una parete della Cappella dell’andata al Calvario e da una della Cappella della casa di Pilato. Qui, il coinvolgimento è totale. Così ne parlava un grande storico dell’arte, John Shearman, nel suo Arte e spettatore nel Rinascimento italiano: "in questo caso il pellegrino-spettatore viene a trovarsi in uno spazio esiguo fra due gruppi, a poca distanza, uno di fronte all’altro. Si trova, senza scampo, accanto all’Ecce homo, e l’altro gruppo si accalca proprio alle sue spalle, ivi inclusa la madre addolorata di Cristo". Il pubblico, come in tutto il complesso, veniva (e viene) chiamato di nuovo "ad annullare tutta la distanza storica per partecipare a quell’esperienza come se si ripetesse in quel momento, nello spirito degli esercizi devozionali e in definitiva della fede nella salvazione". E in questo passaggio si ha la netta, forte, viva sensazione di far parte della folla chiamata a scegliere tra Gesù e Barabba: le sculture, eseguite probabilmente da Benedetto Buglioni (la folla del Crucifige) e da Marco della Robbia (Firenze, 1468 - 1534), che invece avrebbe realizzato l’Ecce Homo, si caratterizzano anche qui per la loro fortissima concretezza (si noti il pianto del volto di Maria, che muove a commozione). Sembra quasi di percepire le grida della folla che urla “Crucifige!” (“Crofiggilo!”), e la disperazione della madre di Gesù, e degli apostoli. Difficile dar conto con le fotografie, anche perché i due gruppi si trovano l’uno di fronte all’altro: occorre necessariamente vedere dal vivo.

Sensazioni intense si provano anche nella Cappella dell’andata al Calvario: i personaggi attribuiti ad Agnolo di Polo sono disposti in orizzontale, così che entrando dall’ingresso principale ci par quasi di seguire la mesta processione. La successiva Cappella della Madonna dello Spasimo include un altro dei momenti più intensi, con il gruppo ascritto a Giovanni della Robbia: la Madonna non sostiene oltre il peso delle sofferenze del figlio e sviene, sorretta dalle pie donne che accorrono in suo aiuto. Queste ultime, affrante quanto la Vergine, vengono tuttavia consolate da Gesù, come narra il Vangelo di Luca: è il momento rappresentato nella Cappella delle pie donne, aggiunta in una fase successiva, e che troviamo mentre ancora procediamo verso il monte Calvario. Per raggiungerlo, bisogna percorrere una salita che ci porta dapprima alla Cappella della Veronica, e quindi al gruppo di cappelle sulla sommità. La Cappella del carcere di Cristo ci conduce all’interno di un ambiente spoglio, dove Gesù è solitario, contrito, colto mentre prega con le mani incrociate sul petto, secondo un’iconografia particolarmente in uso presso i francescani. La successiva Cappella del Calvario è una delle più coinvolgenti. Dal basso entriamo nell’edicola dello Stabat Mater e assistiamo commossi alla crocifissione, assieme a san Giovanni, a Maria e alle pie donne: tutti i personaggi sono rivolti verso Cristo crocifisso, situato in alto, visibile attraverso un’apertura. Per arrivare al piano della crocifissione è necessario salire ancora: Cristo con i due ladroni sono addossati a una parete dove vediamo affrescata l’intera scena della crocifissione. Sul pavimento e all’esterno, non possiamo fare a meno di notare una vistosa crepa: è un’allusione alle "rocce che si spezzarono" nel momento in cui Cristo spirò. La visita al Calvario termina con la Cappella del Santo Sepolcro (vi troviamo all’interno le statue di Maria Maddalena, recatasi al sepolcro di Gesù, e di sant’Elena, che secondo la tradizione ritrovò la vera croce di Gesù, mentre più in basso, in un ambiente raccolto e strettissimo, tanto che per raggiungerlo chiunque è costretto a chinarsi, dato che la porta d’accesso è alta poco più d’un metro, incontriamo la statua di Cristo deposto nel sepolcro: il fatto che il luogo sia così buio e angusto è dovuto al fatto che il pellegrino era chiamato a un momento d’intimo raccoglimento e d’intensa preghiera) e con la Cappella del Noli me tangere, con il gruppo assegnato a Giovanni della Robbia e dedicato all’episodio dell’incontro tra la Maddalena e Cristo risorto, che le raccomandò di non trattenerlo oltre ("Noli me tangere", "Non mi trattenere") perché non era ancora salito al cielo. Purtroppo, di quest’ultimo gruppo sopravvive solamente la statua della Maddalena.

Incoronazione di spine
Incoronazione di spine. Ph. Credit Finestre sull’Arte


La Flagellazione
La Flagellazione. Ph. Credit Finestre sull’Arte


Ecce homo
Ecce homo. Ph. Credit Finestre sull’Arte


Edicola del Crucifige, dettaglio
Edicola del Crucifige, dettaglio. Ph. Credit Finestre sull’Arte


L'andata al Calvario
L’andata al Calvario. Ph. Credit Finestre sull’Arte


La figura di Gesù nell'andata al Calvario
La figura di Gesù nell’andata al Calvario. Ph. Credit Finestre sull’Arte


La Cappella dello Spasimo
La Cappella dello Spasimo. Ph. Credit Finestre sull’Arte


Lo spasimo
Lo spasimo. Ph. Credit Finestre sull’Arte


La Veronica
La Veronica. Ph. Credit Finestre sull’Arte


Gesù in carcere
Gesù in carcere. Ph. Credit Finestre sull’Arte


Edicola dello Stabat Mater, i personaggi
Edicola dello Stabat Mater, i personaggi. Ph. Credit Finestre sull’Arte


Edicola dello Stabat Mater, dettaglio della Madonna
Edicola dello Stabat Mater, dettaglio della Madonna. Ph. Credit Finestre sull’Arte


La Crocifissione
La Crocifissione. Ph. Credit Finestre sull’Arte


La Cappella della Crocifisisone con all'esterno la finta crepa
La Cappella della Crocifisisone con all’esterno la finta crepa. Ph. Credit Finestre sull’Arte


La Maddalena
La Maddalena. Ph. Credit Finestre sull’Arte


Sant'Elena
Sant’Elena. Ph. Credit Finestre sull’Arte


Gesù nel sepolcro
Gesù nel sepolcro. Ph. Credit Finestre sull’Arte


La Maddalena nel gruppo del Noli me tangere
La Maddalena nel gruppo del Noli me tangere. Ph. Credit Finestre sull’Arte

Si può dunque tornare verso l’inizio del percorso: nella discesa s’incontra dapprima la Cappella di san Giacomo minore (che, nel Breve di Leone X, era tuttavia indicata come "cappella di san Giacomo maggiore"), all’interno della quale trova spazio la statua del santo, attribuita al Maestro del Bigallo. È quindi la volta della Cappella della casa di Caifa, dentro cui possiamo osservare la scena con Gesù condotto davanti a Caifa, il sommo sacerdote in carica (Anna non era più tale, ma era rimasto nel sinedrio e aveva mantenuto il titolo) e quella con Gesù deriso, entrambe di grande impatto per il visitatore, che viene quasi intimorito dall’aspetto estremamente severo e impassibile del sommo sacerdote e dei membri del sinedrio.

Guadagnata nuovamente la strada principale, la visita termina con le ultime tre cappelle. Le prime due che si trovano sul percorso non fanno parte del progetto originario, né s’ispirano a luoghi effettivamente presenti nella Gerusalemme reale: sono due oratori aggiunti nel diciassettesimo secolo, uno dedicato all’Annunciazione, con un semplicissimo gruppo risalente all’Ottocento, e l’altro avente per tema la fuga in Egitto, ulteriore cappella del diciannovesimo secolo, con il gruppo che è opera risalente al 1836 ed eseguita da un artista locale, Mariano Bondi, che ha lasciato la sua firma sul basamento della statua della Madonna. Si esce dalla Gerusalemme dopo aver visitato l’ultimo dei loci, la cappella dell’Ascensione, che troviamo proprio prima della strada provinciale. È un tempietto circolare che ospita al suo interno l’Ascensione di Gesù, eseguita da Giovanni della Robbia e dai suoi collaboratori, tra i quali i figli Marco, Lucantonio e Simone.

Il san Giacomo minore
Il san Giacomo minore. Ph. Credit Finestre sull’Arte


Cristo deriso
Cristo deriso. Ph. Credit Finestre sull’Arte


Cristo davanti a Caifa
Cristo davanti a Caifa. Ph. Credit Finestre sull’Arte


Le cappelle della Fuga in Egitto e dell'Annunciazione
Le cappelle della Fuga in Egitto e dell’Annunciazione. Ph. Credit Finestre sull’Arte


L'Annunciazione
L’Annunciazione. Ph. Credit Finestre sull’Arte


La fuga in Egitto
La fuga in Egitto. Ph. Credit Finestre sull’Arte


L'Ascensione
L’Ascensione. Ph. Credit Gerusalemme di San Vivaldo

Il viaggio si conclude qui: è un viaggio che attraversa secoli di storia, dal momento che, fin dal momento in cui le prime cappelle furono edificate e i primi gruppi scultorei cominciarono a essere installati al loro interno, pellegrini d’ogni provenienza si recarono in questi luoghi col preciso fine di compiere l’intero percorso. Un percorso che non corrisponde più, purtroppo, a quello immaginato dai suoi ideatori: l’incuria e i secoli ne hanno cancellato una parte, ma quella parte è oggi custodita con cura e oggetto di un’attenta tutela da parte della Soprintendenza, che negli anni Settanta ha sottoposto il complesso a uno scrupoloso restauro. E ancora oggi, il visitatore esce dalla Gerusalemme di San Vivaldo con una sensazione di malinconia e di commozione per le scene malvagie e disumane a cui ha direttamente assistito, ma con meraviglia per avere visitato uno dei più bei luoghi della Valdelsa e unici d’Italia.

Bibliografia di riferimento

  • Rosanna Caterina Proto Pisani, La Gerusalemme di San Vivaldo, Polistampa, 2006 (ristampa 2014)
  • Luciano Vaccaro, Francesca Ricardi, Sacri monti: devozione, arte e cultura della Controriforma, Jaca Book, 1992
  • Sergio Gensini (a cura di), La “Gerusalemme” di San Vivaldo e i sacri monti in Europa, Pacini Editore, 1986
  • AA.VV., Religiosità e società in Valdelsa nel basso Medioevo, atti del convegno (Montaione, Complesso di San Vivaldo, 29 settembre 1979), Società Storica della Valdelsa, 1980


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Gli autori di questo articolo: Federico Giannini e Ilaria Baratta

Gli articoli firmati Finestre sull'Arte sono scritti a quattro mani da Federico Giannini e Ilaria Baratta. Insieme abbiamo fondato Finestre sull'Arte nel 2009. Clicca qui per scoprire chi siamo





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