Il bacio tra due innamorati fu per Francesco Hayez (Venezia, 1791 – Milano, 1882) uno dei suoi soggetti più rappresentati: famosissimo è infatti il Bacio conservato nella Pinacoteca di Brera che il pittore realizzò nel 1859 su commissione del conte Alfonso Maria Visconti di Saliceto, di cui esistono altre due versioni più tarde (una del 1861 e l’altra del 1867, entrambe in collezione privata), ma anni prima l’artista si era già confrontato con questo soggetto... romantico. Risale infatti al 1823 l’Ultimo bacio tra Romeo e Giulietta, oggi conservato a Villa Carlotta a Tremezzo, sul lago di Como.
Il veneziano Hayez si era definitivamente trasferito a Milano, in seguito all’ottenimento della cattedra di supplenza all’Accademia di Brera, ma già aveva cominciato a frequentare la città lombarda nel 1820 ed è proprio durante i suoi soggiorni milanesi che ebbe occasione di conoscere il noto scrittore Alessandro Manzoni, di cui diventò buon amico, tanto che vent’anni più tardi lo raffigurò in un quadro tra i più iconici della sua vasta produzione.
Considerato il più grande esponente in Italia del Romanticismo, movimento che si sviluppò in Europa tra la fine del Settecento e la metà dell’Ottocento in opposizione all’Illuminismo, Francesco Hayez cominciò ad avvicinarsi a questo movimento nel 1820 con il dipinto Pietro Rossi a Pontremoli, presentato all’esposizione dell’Accademia di Brera con il lungo titolo descrittivo Pietro Rossi, signore di Parma, spogliato dei suoi domini dagli Scaligeri, signori di Verona, mentre è invitato al Castello di Pontremoli, di cui stava difensore, ad assumere il comando dell’esercito veneto, il quale doveva muoversi contro i di lui propri nemici, viene scongiurato con lagrime dalla moglie e dalle due figlie a non accettare l’impresa. L’episodio raffigurato, raccontato nell’Histoire de la République de Venise di Marc-Antoine Laugier del 1758, era tratto da una storia realmente accaduta nel Quattrocento, e Hayez rende qui ben visibili i sentimenti che entrarono in gioco in quella vicenda: la fierezza di Pietro Rossi e le preghiere della moglie e delle due figlie inginocchiate a terra per cercare di convincerlo a non partire. A differenza dei suoi primi dipinti di stampo neoclassico, lo stile frutto della cultura illuminista che si basava sugli ideali razionali, l’artista nel Pietro Rossi a Pontremoli iniziò a porre l’accento sui sentimenti e sulla manifestazione degli affetti in un’ambientazione medievale e non classica. Il Romanticismo infatti si basava principalmente sull’esaltazione dell’emozione sulla ragione e sull’intelletto, sul trionfo degli stati d’animo e sull’interesse per la cultura popolare e per l’epoca medievale.
Elementi tutti presenti anche nell’Ultimo bacio tra Romeo e Giulietta, il primo dipinto con cui l’artista si confronta con un importante tema letterario ispirato alla novella cinquecentesca Storia di due nobili amanti di Luigi Da Porto e soprattuto con un’importante opera letteraria come la tragedia di Romeo e Giulietta raccontata da William Shakespeare. Il drammaturgo si sarebbe infatti ispirato per la storia dei due sfortunati giovani di Verona alla novella di Luigi Da Porto, o meglio, secondo gli studi sull’opera, alla versione di Romeo e Giulietta di Matteo Bandello, La sfortunata morte di dui infelicissimi amanti, che a sua volta s’ispirò a Da Porto.
Shakespeare narra di come, dopo aver ucciso Tebaldo, cugino di Giulietta, Romeo sia condannato dal Principe all’esilio, e di come sia per questo motivo disperato. Cerca di confortarlo Frate Lorenzo che architetta di mandarlo a Mantova fintanto che non ottenga, per sua intercessione, la grazia del Principe. Giunge da loro anche la nutrice di Giulietta, che racconta come anche la giovane sia disperata per ciò che è accaduto, versando lacrime di pianto per Romeo che “è per lei un colpo di fulmine che l’uccide”, e per Tebaldo che “la mano di Romeo uccise”. Il frate suggerisce di far andare cautamente Romeo dalla sua amata per consolarla e raccomanda la nutrice di avvisare Giulietta della sua venuta, perché mandi a riposo i suoi di buon’ora. Romeo dovrà però uscire dalla città prima che si appostino le sentinelle o al più tardi all’alba travestito. La scena V del terzo atto è quindi ambientata nella stanza di Giulietta e sta per giungere l’alba. In un primo momento la fanciulla crede che non siano ancora arrivate le prime luci del mattino (“Quella luce non è l’alba, ne son sicura, io. È una meteora, emanata dal sole per illuminarti la strada e scortarti, stanotte, come un servo con la torcia, sino a Mantova. Ecco perché puoi ancora restare: non c’è bisogno che te ne vada”), ma poi si accorge che è veramente giorno e allora spinge Romeo ad affrettarsi a fuggire. In quel momento entra la nutrice che avvisa che sta per arrivare la madre di Giulietta nella stanza. A quel punto, andando sul verone, Romeo dice: “Addio, addio; ancora un bacio, poi scendo” e si cala per le funi che pendevano dal verone.
È proprio esattamente questa la scena che Hayez raffigura nel suo Ultimo bacio. I due protagonisti si trovano in un ambiente domestico in stile medievale, arricchito da colonne con capitelli e archi decorati, grandi vetrate policrome e su una piccola parete un dipinto devozionale sopra a un crocifisso. Nella penombra si intravede la nutrice di Giulietta, entrata nella stanza con una candela in mano per avvisare che di lì a poco sarebbe arrivata sua madre. Dalla finestra aperta, da cui si vede una torre, entrano le prime luci del mattino che cominciano a rischiarare gli elementi architettonici e soprattutto i due giovani,stretti in un dolce e tenero abbraccio. Romeo in abiti medievali con piuma sul capello ha già un piede sul gradone; con una mano stringe a sé Giulietta e con l’altra ha già afferrato la corda pronto per scappare via. Giulietta con veste damascata e ciabattine da camera (altri abiti si notano appoggiati in maniera informale su una sedia dietro di lei) solleva il braccio per appoggiare delicatamente la mano sulla spalla dell’amato e si abbandona al bacio, con gli occhi socchiusi. E per arrivare alla sua altezza, si alza leggermente sulle punte. Un bacio appassionato ma fugace, perché il giorno è ormai alle porte.
Come ha scritto lo storico dell’arte Fernando Mazzocca, tra i massimi esperti della pittura di Francesco Hayez, nel catalogo della grande mostra sul Romanticismo curata da lui stesso e allestita alle Gallerie d’Italia di Piazza Scala tra il 2018 e il 2019, in occasione della quale l’opera venne trasferita da Tremezzo a Milano, “ognuno vi ha ammirato elementi diversi, come la suggestiva e fedele ricostruzione dell’ambiente, una sensualità che ricorda Tiziano, o la sontuosa resa dei costumi, come la ’veste della donzella, la cui lucentezza imita il più bel velluto di Francia’”. E prosegue sottolineando che era stato Defendente Sacchi, capofila della critica romantica, a “vedervi una sorta di manifesto, dato che ‘la sua Giulietta non è certamente la Venere e non è la donna antica [...] è bella, ma bella dell’amor suo’, mentre ‘Romeo non è l’Antinoo, né l’Apollo, eppure è con desio considerato dalla femminile curiosità e ti annunzia il fiore de’ prodi e degli amanti’". Infine Mazzocca conclude dicendo che era stato Ludwig Schorn, il corrispondente tedesco del Kunst-Blatt a Milano, a rimanere per primo colpito dall’opera all’esposizione, aprendo perciò il dibattito, denunciando l’eccessiva verità di quel “bacio” che “non è il tenero amore di una pura anima incantata”, ma “è voluttuoso”.
Esposta alla mostra annuale di Belle Arti di Brera del 1823, l’opera venne commissionata dal conte Giovan Battista Sommariva, uno dei più noti collezionisti dell’epoca (Hayez avrebbe poi replicato l’opera in altre varianti, dato il successo ottenuto). Se fino a quel momento Sommariva si era concentrato su dipinti di gusto neoclassico, con l’Ultimo bacio tra Romeo e Giulietta di Hayez la sua collezione si aprì all’arte romantica. La novità del tema e il nuovo modo di rappresentare i sentimenti fecero sì che il dipinto ottennesse un grande successo, anche per la capacità dell’artista di saper combinare il cromatismo di stampo veneto con una meticolosa resa dei dettagli dell’ambiente domestico e architettonico.
Grazie a indagini in cui sono stati utilizzati la riflettografia e l’infrarosso in falso colore, compiute nel 2015 dal Dipartimento di Scienza ed Alta Tecnologia dell’Università degli Studi dell’Insubria, si è potuto constatare la presenza di ripensamenti dell’autore durante il processo creativo del dipinto, sia nei personaggi sia negli elementi architettonici: ad esempio il profilo rimaneggiato di Giulietta, il collo della veste di Romeo originariamente più alto, il piede sinistro del giovane in origine più corto e poi allungato in un secondo momento, ripensamenti nella geometria dei motivi decorativi delle vetrate, la presenza di una seconda fila di merlature. È stato inoltre possibile identificare quali pigmenti furono impiegati dall’artista, come il blu di Prussia nel manto appoggiato sulla sedia, già utilizzato anche in altri dipinti, il rosso cinabro nei pantaloni di Romeo e nelle ciabattine di Giulietta, e probabilmente l’utilizzo di lapislazzuli, blu di cobalto o blu ceruleo nelle vetrate.
Se la vicenda di Romeo e Giulietta è stata resa famosa in ambito letterario da William Shakespeare ed è ancora oggi considerata una delle più grandi ed eterne storie d’amore della letteratura, nondimeno contribuì anche Francesco Hayez alla sua diffusione in ambito artistico: dopo il 1823, egli riprese infatti la loro storia in altri tre dipinti, nel 1825 e due volte nel 1830, tutti in collezione privata. Il massimo interprete del Romanticismo italiano raffigurò nel dipinto di Villa Carlotta il loro ultimo bacio. Un bacio d’arrivederci che nessuno dei due giovani innamorati immaginava che sarebbe in realtà stato un bacio d’addio.
L'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta
Giornalista, è co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. È nata a Carrara nel 1987 e si è laureata a Pisa. È responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.