Il Fondaco dei Tedeschi, edificio d’origini duecentesche che s’affaccia sul Canal Grande, accanto al Ponte di Rialto, s’erge in uno dei punti nevralgici del centro di Venezia, e non è solo un capolavoro architettonico e un simbolo del passato mercantile della Serenissima, ma è anche un testimone silenzioso della storia che ha plasmato la città nel corso dei secoli. Da centro nevralgico dei commerci internazionali nel Medioevo a polo culturale e commerciale contemporaneo, il Fondaco dei Tedeschi racconta una storia ricca e complessa che riflette l’essenza stessa di Venezia.
Le origini del Fondaco dei Tedeschi (Fontego dei Tedeschi in veneziano) rimontano alla Venezia del XII secolo, quando la città si affermò come una delle principali potenze marittime e commerciali del Mediterraneo. Venezia era un ponte tra l’Oriente e l’Occidente, un luogo in cui mercanti di tutte le nazioni si incontravano per scambiare merci, idee e cultura. Per facilitare queste attività, l’amministrazione pubblica di Venezia aveva cominciato ad aprire i fondaci, strutture multifunzionali progettate per ospitare e controllare le comunità straniere dedite al commercio. Alcuni avevano funzioni portuali, tutti erano luoghi di commercio, magazzini per le merci, e potevano anche ospitare alloggi.
Del Fondaco dei Tedeschi si ha notizia già a partire dal XIII secolo. E nacque con la finalità di accogliere i mercanti provenienti dal Sacro Romano Impero, un’area geografica che comprendeva buona parte dell’Europa centrale. Questi mercanti, definiti genericamente “tedeschi”, erano partner cruciali per l’economia veneziana, in particolare per l’importazione di materie prime come legname, metalli e tessuti pregiati. Le prime notizie si hanno tra il 1222 e il 1225: risale a questo periodo l’acquisto, da parte del Comune di Venezia (allora non ancora Repubblica), dell’area sulla quale sarebbe stato costruito il Fondaco dei Tedeschi. Dell’antico edificio medievale sappiamo pochissimo: l’unica immagine nota, sommaria, è quella della Mappa di Venezia di Jacopo de’ Barbari in cui il fontego è raffigurato come un insieme di tre edifici disposti attorno a una corte. La mappa risale però alla fine del Quattrocento e all’epoca l’edificio originario era già stato pesantemente trasformato (un primo incendio si sviluppò qui nel 1318 e comportò una ricostruzione dell’edificio).
Un ulteriore violento incendio, divampato nella notte tra il 27 e il 28 gennaio del 1505, distrusse completamente la struttura del Fondaco. La Repubblica di Venezia, consapevole della centralità di questo edificio per l’economia cittadina, ne ordinò la ricostruzione immediata. Nel 1508, sotto la direzione dell’architetto Antonio Scarpagnino, subentrato a Giorgio Spavento (anche se il modello venne elaborato da un altro architetto, Girolamo Tedesco, che faceva parte della comunità dei mercanti teutonici: personaggio di cui non sappiamo praticamente niente, anche se di lui rimane forse un ritratto eseguito da Albrecht Dürer, sebbene della sua identificazione non siamo certi), venne edificato un nuovo Fondaco, più grande e sontuoso.
Questa “versione” rinascimentale del Fondaco, quella che possiamo visitare ancora oggi, rifletteva non solo la funzionalità pratica necessaria a un magazzino e residenza per mercanti, ma anche un’estetica che doveva impressionare i visitatori. Il Fondaco dei Tedeschi si presentava così (e si presenta tuttora) come un edificio a pianta quadrangolare con un grande cortile centrale. La struttura, sviluppata su quattro livelli, rispondeva a un’organizzazione razionale degli spazi. Il pianterreno, coi suoi grandi portici, era dedicato al magazzino delle merci. I piani superiori ospitavano invece gli uffici e gli alloggi dei mercanti tedeschi. La struttura, nei secoli, è rimasta inalterata: risale al 1616 la prima immagine dell’interno del fondaco (un incisione di Raphael Custos) e possiamo agevolmente verificare come poco sia cambiato. Il Fondaco dei Tedeschi rimane però, per diversi motivi, uno degli edifici più affascinanti della Venezia del tempo.
“Nel suo complesso, anche a guardarlo superficialmente e basandosi sulla fabbrica attuale, cioè su un edificio che è il risultato di consistenti trasformazioni rispetto all’originale”, ha scritto la studiosa Elisabetta Molteni, “il Fondaco presenta elementi estranei all’architettura veneziana del tempo soprattutto nelle soluzioni dell’alzato (nella corte e nell’organizzazione della facciata), ma allo stesso tempo ne mostra altrettanti inequivocabilmente radicati nella prassi architettonica e costruttiva della città. La corte del Fondaco è considerata da tutti gli studi l’elemento più originale del complesso e quello più problematico poiché a Venezia, in quel momento, non sarebbe esistita nessuna struttura paragonabile. Non è tanto l’esistenza della corte a creare problema, poiché edifici a corte ne mostra diversi anche De’ Barbari e [...] anche l’antico primo Fondaco si organizzava intorno a corti con logge. Inoltre, ancora nel Quattrocento, i fondaci medievali orientali presentano questa struttura (testimone, tra gli altri, Felix Fabri). La differenza sta nel fatto che il cortile si configura come un elemento antiquario che presuppone una conoscenza dell’architettura antica molto aggiornata. [...] Gli elementi salienti della corte sono tre: i pilastri estremamente semplici (o meglio le ‘columnae quadrangulae’ seguendo il lessico albertiano) che sostengono le arcate delle logge; il sistema di diminuzione delle arcate e dei pilastri nei diversi registri di logge e infine l’articolazione a L del pilastro angolare. Sono questi fondamentalmente gli elementi che rendono il Fondaco un edificio problematico nel panorama dell’architettura veneziana di quegli anni e che hanno suscitato un ricchissimo dibattito tra gli studiosi sul possibile autore di questo disegno”.
È probabile che l’edificio sia stato progettato tenendo conto delle pratiche costruttive tipiche degli edifici tedeschi, e a questa necessità potrebbe rispondere anche l’idea di decorare la facciata con affreschi, anche se non lo sappiamo con certezza (in Germania e aree limitrofe erano comunque comuni le facciate istoriate). Quello che sappiamo è che nella fabbrica della ricostruzione vennero coinvolti due grandi artisti, chiamati a impreziosire la facciata del Fondaco dei Tedeschi. La Repubblica incaricò due dei maggiori artisti dell’epoca, Giorgione e Tiziano, di affrescare le pareti esterne dell’edificio con scene allegoriche e mitologiche. Il programma iconografico degli affreschi, qualora ovviamente siano stati eseguiti secondo un programma preciso, non è chiaro, ma non doveva essere chiaro a molti neppure all’epoca, dal momento che lo stesso Giorgio Vasari avrebbe ammesso di non aver mai capito cosa volessero dire. Il nostro compito oggi è reso ancora più difficile dal fatto che non ci sono noti documenti e che gli affreschi ci sono giunti in pochi lacerti: erano infatti già in pessime condizioni nel Settecento, come attestano le opere dei vedutisti in cui si possono vedere le pareti esterne del Fondaco dei Tedeschi. Le immagini superstiti furono tutte rimosse nel 1937, quando cominciò un importante intervento di restauro sul fondaco: per avere un’idea di come la facciata dovesse apparire in origine, potremmo pensare alla facciata di Casa Parma Lavezzola a Verona. Anche qui le pitture in facciata sono ormai l’ombra di ciò che erano, ma sono comunque sufficienti a dare un’idea di come dovesse apparire in antico.
Gli affreschi del Fondaco dei Tedeschi vennero realizzati verso il 1508: di Giorgione rimane solo la cosiddetta Nuda, spesso interpretata come allegoria della pace, mentre di Tiziano l’immagine sopravvissuta più nota è quella della Giuditta o Giustizia, ma rimangono anche il Compagno della calza, una non meglio precisata Allegoria, un Combattimento di giganti e mostri e un Combattimento di un putto con un drago. Secondo lo studioso Alessandro Nova, Vasari non avrebbe capito il senso degli affreschi in quanto: “sorpreso e sviato da una struttura iconografica estranea alla propria forma mentis. Là dove la cultura dell’Italia centrale privilegiava una struttura chiusa e ingessata del concetto, si rispondeva a nord con una maggiore flessibilità di temi non privi tuttavia di una loro coerenza tematica”. È dunque probabile che il tema non fosse unico. Nova ha pensato a un ciclo di Giorgione, quello sulla facciata rivolta verso Canal Grande, rivolto agli agenti di cambio e ai banchieri che lavoravano sulla riva opposta e dunque tutti i giorni avevano sotto gli occhi la facciata del Fondaco dei Tedeschi: un ciclo che fondeva elementi astronomici e allegorici, probabilmente legati al commercio, al denaro e ai metalli preziosi, una “serie di personificazioni dei pianeti”, ha scritto Nova, “sotto la protezione del pacifico leone marciano”, che si trovava sulle due torrette agli angoli del fondaco, demolite poi nell’Ottocento. Di carattere politico poteva invece essere il ciclo di Tiziano, sul lato delle Mercerie: significato politico doveva del resto avere la Giuditta, forse simbolo della difesa di Venezia da un qualche aggressore. C’è chi ha voluto leggere nel ciclo tizianesco anche una possibile allegoria dell’amicizia tra Venezia e l’impero. Un’amicizia, tuttavia, destinata a durare molto poco, dato che proprio nel 1508 scoppiava la terza guerra d’Italia, nota anche come la guerra della Lega di Cambrai, promossa da papa Giulio II proprio contro Venezia, all’epoca lo Stato più potente della penisola italiana. Il papa si era alleato con la Francia, con l’Impero, col Regno di Aragona e con molti Stati antagonisti dei veneziani: Ferrara, Urbino e Mantova i più importanti. Il contesto era estremamente fluido e le alleanze cambiarono più volte (addirittura, per qualche anno, a causa dei forti dissapori tra Giulio II e l’alleato francese, la Lega di Cambrai fu sciolta e il papa, per contrastare il soverchiante ex alleato, si alleò addirittura coi suoi nemici: i veneziani), ma i veneziani, che alla fine, nel 1516, vinsero la guerra assieme ai francesi (negli ultimi tre anni erano infatti schierati sullo stesso fronte) sarebbero stati sempre contrapposti a quel Sacro Romano Impero da cui provenivano i mercanti tedeschi.
Il Fondaco era un fondamentale luogo di lavoro per i mercanti tedeschi, anche se il termine “tedeschi” nell’accezione contemporanea è restrittivo: dobbiamo immaginare che qui lavoravano mercanti che provenivano da tutte le zone a nord delle Alpi. Questi vivevano in una sorta di microcosmo regolato da leggi precise. I mercanti che qui risiedevano (c’erano infatti anche degli alloggi) pagavano un affitto, e lo stesso vale per le imprese che avevano scelto il fondaco come loro sede o per aprirvi un ufficio. Si trattava per lo più di soggiorni temporanei legati alle esigenze del commercio, erano pochi coloro che qui risiedevano stabilmente. Le attività quotidiane erano monitorate da funzionari della Repubblica, che garantivano la trasparenza delle operazioni e la sicurezza del commercio, tenuto conto anche del fatto che le entrate del commercio erano fondamentali per la Repubblica.
Si commerciava qui ogni tipo di bene: tessuti (principalmente lana e cotone), metalli provenienti dalle vaste miniere del nord Europa, prodotti tipici dell’Europa del nord come pellicce e cuoio. Il Fondaco non era comunque soltanto luogo in cui i veneziani importavano merce tedesca: avveniva anche il contrario, coi mercanti tedeschi che acquistavano beni sul mercato veneziano per portarli nelle loro terre. I prodotti che prendevano la via dell’impero erano soprattutto spezie provenienti da Oriente, tessuti, allume, beni di lusso, opere d’arte.
Il contatto quotidiano tra mercanti tedeschi e veneziani generava un vivace scambio culturale. I mercanti germanici portavano con sé non solo merci, ma anche idee, conoscenze tecniche e innovazioni che arricchivano la città lagunare.
Con il declino del potere commerciale di Venezia a partire dal XVII secolo, anche il ruolo del Fondaco mutò. La funzione originaria di magazzino per i mercanti tedeschi si ridusse progressivamente. Dopo la fine della Serenissima, nel 1797, il Fondaco perse la sua funzione e venne utilizzato come dogana da parte degli occupanti francesi. In seguito, negli anni dell’occupazione austriaca, questa funzione amministrativa non venne mutata, e anzi gli austriaci impiantarono nel fondaco l’Intendenza di Finanza e l’Ispettorato del Demanio. Anche dopo il 1870, anno in cui il Veneto divenne parte del Regno d’Italia, il Fondaco mantenne la sua sede amministrativa: venne ceduto alle Poste, fu per lungo tempo sede di uffici postali e, tra il 1937 e il 1938 venne sottoposto a un restauro radicale, durante il quale, come anticipato, furono staccati gli affreschi sopravvissuti sulle facciate. L’edificio rimase di proprietà delle Poste fino al 2008, quando, per la somma di 53 milioni di euro, venne acquistato dal gruppo Benetton.
Il gruppo Benetton intraprese un progetto di restauro ambizioso, affidato al celebre architetto Rem Koolhaas e al suo studio OMA. L’obiettivo era trasformare l’edificio in un centro polifunzionale: un luogo di lusso che ospitasse negozi, spazi culturali e una terrazza panoramica, riflettendo quindi, in certa misura, l’antica vocazione del luogo. Il progetto di ristrutturazione di OMA si era posto l’obiettivo di creare una sequenza di spazi e percorsi pubblici immaginando ogni intervento “come uno scavo attraverso la massa esistente, liberando nuove prospettive e svelando ai visitatori la vera sostanza dell’edificio, come un accumulo di autenticità”, ha scritto Rem Koolhaas. “Il progetto, composto sia da architettura che da programmazione, apre la piazza del cortile ai pedoni, mantenendo il suo ruolo storico di ‘campo’ urbano coperto. Il nuovo tetto è creato dalla ristrutturazione dell’attuale padiglione del XIX secolo, che sorge su un nuovo pavimento in acciaio e vetro che si libra sopra il cortile centrale, e dall’aggiunta di una grande terrazza in legno con viste spettacolari sulla città. Il tetto, insieme al cortile sottostante, diventerà un luogo pubblico, aperto alla città e accessibile in ogni momento”.
Sono stati creati nuovi ingressi all’edificio da Campo San Bartolomeo e Rialto, sono stati mantenuti gli ingressi esistenti nel cortile, usati dai veneziani come scorciatoia, sono state aggiunte scale mobili per creare un nuovo percorso pubblico attraverso l’edificio, le stanze sono state consolidate in modo da rispettare le sequenze originali, e alcuni elementi storici cruciali come le stanze d’angolo sono rimasti intatti.
Il restauro venne completato nel 2016, e gli spazi concessi in affitto alla società Dfs che vi ha stabilito un centro commerciale di lusso che non di rado ha ospitato mostre d’arte contemporanea, con l’idea di rievocare le opere d’arte che un tempo adornavano l’esterno, ma anche l’interno, dell’edificio. Poi, a novembre 2024, la notizia della chiusura del centro commerciale, nel 2025.
Il Fondaco dei Tedeschi è dunque un luogo che unisce passato e presente. Mentre i suoi interni moderni ospitano negozi e spazi culturali, la struttura rinascimentale e la terrazza panoramica ricordano la grandezza della Venezia di un tempo. È un esempio di come i monumenti storici possano reinventarsi, mantenendo viva la loro eredità. Il Fondaco dei Tedeschi incarna lo spirito di Venezia: una città che, nei secoli, ha saputo reinventarsi continuamente, rimanendo fedele alla sua natura di crocevia tra culture. Le sue vicende, dalla fondazione medievale alla rinascita contemporanea, raccontano non solo la storia della Serenissima, ma anche quella dell’Europa e del mondo, in un intreccio di commerci, arte e relazioni umane che continua a ispirare.