L’immagine di Cristo sofferente con la corona di spine, dipinta da Tiziano nel 1547 in due versioni uguali, di cui una su lastra d’ardesia donata all’imperatore asburgico Carlo V, oggi al Prado (Fig. 1), l’altra dono natalizio per l’amico Pietro Aretino, contenente la sola variante della canna posta nella mano destra, oggi appartenente al Chateau de Chantilly, sono considerate prototipi cui hanno fatto seguito in tempi diversi alcune repliche accettate generalmente come autografe ed altre riferibili alla bottega del pittore. Una di queste, presentata in un’asta di Christie’s a New York (29 ottobre 2019, n. 772) come “Workshop of Tiziano Vecellio”, ha visto salire la sua quotazione iniziale di 40.000 dollari fino alla cifra di aggiudicazione di oltre 200.000. Liberata da pesanti ridipinture, grazie ad un accurato intervento di pulitura e restauro, è stata ultimamente ripresentata in un’asta di Sotheby’s (26 gennaio 2023, n.115)) come opera autografa, parzialmente incompiuta, riferita all’ultimo tempo del grande pittore, venendo aggiudicata ad oltre 2.000.000 di dollari (Fig.2).
Si tratta d’uno di quei fatti clamorosi che capitano talvolta, forse anche più spesso di quanto comunemente si creda. Non ancora spento l’eco dell’avvenimento, ecco infatti un nuova versione di quel Cristo dolente (Fig.3), identico al prototipo del Prado, semicoperto dal manto purpureo e incoronato dall’intreccio di rovi che fanno colare gocce di sangue dalla fronte lungo il suo corpo, ma con la variante d’un pittoresco personaggio alla sua sinistra, che beffardamente gli porge a mo’ di scettro la famigerata canna: attimo che precede l’immagine iconica appartenente alla consolidata tradizione iconografica dove la simbolica canna è normalmente raffigurata già tra le sue mani.
Diversamente dalle altre versioni, questo nuovo esemplare raffigura il passo del vangelo secondo Matteo (27,20), con la consegna della canna a Cristo, come integrazione della burlesca parodia del regale abbigliamento. Si tratta di una immagine mai apparsa precedentemente nell’opera di alcun pittore e neppure replicata in seguito dallo stesso Tiziano. Una variazione inedita rispetto al tradizionale repertorio iconografico, la cui novità, annotata dal giovane Van Dyck nel corso dei suoi appassionati studi a Venezia sulle opere del prediletto pittore cadorino, gli sarà di modello, al suo ritorno ad Anversa, per variazioni sul medesimo soggetto come la Derisione di Cristo del Princeton University Art Museum (Fig. 4) e L’incoronazione di spine del Prado (Fig.5).
Il dipinto oggi venuto alla luce (olio su tela, cm. 63,6 x 60,6) ha subito nel tempo diverse manomissioni. Il suo formato, in origine quasi quadrato, è stato modificato nel XVIII secolo, per una consuetudine che vedeva gli arredi dei palazzi patrizi seguire il cambio di gusto dettato dall’imperante stile rocaille, per cui anche il formato dei quadri subiva spesso modifiche, per venire adattato a cornici mistilinee o di forma ovale, scolpite con motivi prevalentemente floreali.
Fortunatamente, nell’adattarlo al formato ovale, invece di ridurlo con la decurtazione degli angoli, il quadro è stato ingrandito foderandolo con una tela maggiorata e sagomata allo scopo, preparata nelle parti eccedenti con mestica colorata col bolo armeno rosso in uso a quel tempo, per colmarne il dislivello rispetto all’opera originale e uniformandone l’aspetto con analogo colore ad olio. Nel secolo scorso l’opera è stata infine ulteriormente ingrandita, per adattarla ad una nuova cornice evidentemente rettangolare, aggiungendo una seconda foderatura (Fig.6).
Fortunatamente, malgrado queste manomissioni, la pellicola pittorica non ne ha risentito se non in minime parti limitrofe e un’accurata operazione di restauro e pulitura l’ha ricondotta al suo aspetto originale. All’opera è stata quindi applicata una nuova foderatura, dopo avere eliminato una della due precedenti e conservata solo la prima per il timore di danneggiare, nel distacco, quella originale, molto fine e delicata, costituita da una trama di fili di lino così sottili e aderenti gli uni agli altri da lasciare minimi spazi interstiziali, colmati con uno strato leggero di mestica grigia chiara, priva di vero spessore. Vi si riconosce l’inconfondibile metodo tizianesco di lavoro, che nelle opere finite lascia percepire la trama della tela sotto la superficie della pellicola pittorica, dove il cretto risulta quasi indistinguibile ad occhio nudo, mentre in alcune zone affiora la sottostante presenza chiara della preparazione. In questo Cristo deriso la testimonianza di questa mestica leggera, lasciata durante l’operazione di restauro intenzionalmente priva di ritocco in una piccola abrasione della pellicola pittorica in prossimità del gomito di Gesù (Fig.7), la si può riconoscere facilmente in molte opere del pittore come nella Sepoltura di Cristo del 1559 appartenente al Prado (Fig.8), o in certe zone periferiche e solo approssimativamente coperte di colore, in numerose altre come l’Allegoria della Prudenza della National Gallery (Fig.9). In alcuni casi il trasparire della preparazione chiara viene utilizzato intenzionalmente da Tiziano per alleggerire il tono cromatico in una sorta di stesura al risparmio (Fig.10).
Sottoposta a radiografia, l’opera non ha evidenziato nulla di significativo nella figura di Cristo, come era prevedibile trattandosi di un’immagine replicata fedelmente da un modello predeterminato. L’unica parte dove è possibile rilevare un elemento alieno è nell’angolo inferiore destro sul busto del vecchio, tra i risvolti della sua camicia, dove si evidenziano delle linee che sembrano conformare uno spigolo di solida struttura forse di qualche oggetto d’arredo, ma apparentemente estraneo alla figura del personaggio, e pertanto d’indecifrabile pertinenza (Fig. 11).
La sorprendente prestanza fisica di Cristo, modellata con nitida consistenza, spalle, braccia e petto in evidenza, troneggia sulla gracilità senile del suo dileggiatore, accordandosi al contrasto espressivo dei loro sguardi, insolente quello del vecchio provocatore, che cerca vanamente l’umiliazione negli occhi socchiusi della sua vittima, palesemente incurante invece di quella insignificante presenza e immerso nella dolente consapevolezza del proprio destino (Fig. 12). L’immagine di Cristo, modellata da un sapiente chiaroscuro, ottenuto con ripetuti passaggi di leggere velature, appare assai prossima alla tessitura pittorica accurata che caratterizza le due versioni del Prado e del Chateau de Chantilly, divergendo sensibilmente dalle varie repliche, di più essenziale esecuzione, alcune delle quali hanno generato comprensibili dubbi sull’autografia.
Ma la parte più significativa che esclude con sicurezza il possibile intervento di aiuti è proprio il significativo realismo che connota la figura del vecchio popolano, col petto ossuto lasciato scoperto dai laceri brandelli della camicia (Fig. 13). Diversamente dalla figura di Cristo, l’immediatezza esecutiva di questo pittoresco personaggio sembra già preludere, intorno alla seconda metà degli anni 50, all’espressionista disgregazione pittorica degli ultimi anni del pittore. La forma scaturisce con grande forza espressiva da un gioco di tocchi leggeri e approssimativi sui peli strapazzati della barba, sui radi capelli appena suggeriti nei riccioli sfuggiti al copricapo alla meglio calzato sulla nuca, nell’occhio sgranato sulla provvisorietà delle palpebre spalancate. Nessuno in quegli anni sapeva dipingere in questo modo senza tempo che non avesse il miracoloso pennello di Tiziano Vecellio.
La tua lettura settimanale su tutto il mondo dell'arte
ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER