Ho conosciuto i Soviet Soviet in tempi relativamente recenti, ovvero nel 2014, quando li vidi per la prima volta in concerto, dalle mie parti. Sono però in attività dal 2008, e siccome li ritengo il miglior gruppo italiano tra quelli che si sono formati negli ultimi quindici anni almeno, cerco sempre di seguirli con costante attenzione, anche (e soprattutto) dal vivo, perché ogni loro concerto (così come ogni loro canzone) è una suggestiva esperienza ai limiti dell’onirico, un turbinio di melodie stranianti che pur nella loro rapidità conservano una certa dose di malinconia, un “viaggio introspettivo” (come da titolo di un loro brano) che sonda l’animo umano con testi che fanno riferimento ai sentimenti e al vissuto, sempre attraverso metafore di elevatissimo lirismo. Sono stato dunque felicemente sorpreso nello scoprire di una loro collaborazione con un altro artista degno d’ogni stima, Immanuel Casto, per un brano, dal titolo Rosso, Oro e Nero, pubblicato l’estate scorsa e incluso in The Pink Album, l’ottavo album del cantautore lombardo. Si tratta di una cover di un noto brano degli Einstürzende Neubauten, Sabrina, risalente al 2000 e parte dell’album Silence is Sexy. Con la voce del “casto divo” (a cui s’aggiunge, nel finale, quella di Andrea Giometti dei Soviet Soviet che ripete, come alienato, il breve refrain di Sabrina) e con la musica affidata al gruppo pesarese, Sabrina viene rivisitata in chiave elettronica e quasi shoegaze, con un testo adattato in italiano, con atmosfere che richiamano quelle dei più tipici lavori dei Soviet Soviet e che sono emendate da quella cupezza che caratterizza il brano degli Einstürzende Neubauten. In sostanza: una potente e sognante new wave attualizzata e dotata di quella vaghezza mediterranea che ogni artista italiano, più o meno inconsapevolmente, imprime alla propria musica.
Sabrina è una canzone pregna di riferimenti artistici, che si avvale di un testo ermetico, quindi di non facile interpretazione, per lasciar trapelare un messaggio che trasmette disincanto e sconforto ma che, forse, lascia aperto un piccolo spiraglio alla speranza. Il rosso, l’oro e il nero, i tre protagonisti della canzone originale, inclusi poi nel titolo della cover, sono i colori della bandiera tedesca: la Germania è il paese di origine degli Einstürzende Neubauten. Ogni strofa del brano è dedicata a uno dei tre colori, a cui vengono associate determinate caratteristiche. Il rosso e l’oro trasmettono immagini positive: il primo è associato al “sole che muore” (the dying sun nell’originale), evoca la bellezza di un tramonto, la vitalità del “sangue che pompa nel cuore” (the red of which we bleed, letteralmente “il rosso di cui sanguiniamo”), è il colore di una “macchia sulle lenzuola” (the morning sheet’s surprising stain, la “sorprendente macchia sulle lenzuola al mattino”) carica di riferimenti erotici, oppure è l’allegro rosso di un cabernet (the red of cabernet sauvignon), nonché quello prezioso e scintillante di un rubino (a world of ruby, “un mondo di rubino”).
Anche l’oro reca in sé un significato che allude, allo stesso tempo, alla sessualità e alla fecondità: il rimando è al mito di Giove e Danae, che racconta di come il padre degli dèi fosse sceso dal cielo, sotto forma di pioggia d’oro (la Zeus’ famous shower citata nel testo degli Einstürzende Neubauten), per congiungersi alla splendida ragazza. L’unione, dalla quale sarebbe nato l’eroe Perseo, è stata fonte d’ispirazione per moltissimi artisti, di ogni tempo e luogo: i primi esempi che vengono alla mente sono quelli di Tiziano (al Museo Nazionale di Capodimonte a Napoli) e di Correggio (alla Galleria Borghese di Roma). Non sappiamo quale fosse esattamente l’immagine che la band tedesca avesse in mente, ma di sicuro, data la loro ampia cultura storico-artistica (che trapela non solo dalle canzoni: nella copertina di un loro album, Tabula rasa, compare una natura morta dell’olandese Ambrosius Bosschaert) viene spontaneo immaginare che i membri del gruppo dovessero aver ben presenti le raffigurazioni del mito. L’oro è, inoltre, il colore dei ricordi e della memoria (un periodo particolarmente fortunato è, del resto, “un’epoca d’oro”), e soprattutto quello dell’età dell’oro che, secondo un mito che ha origine nell’antichità classica e che ebbe un notevole successo anche in area tedesca, sarebbe stata un’età di grande prosperità, di pace e di armonia (nella canzone: it’s not as golden as memory / or the age of the same name, “non è l’oro della memoria / o quello dell’età che porta lo stesso nome”).
Correggio, Giove e Danae (1531-1532 circa; olio su tela, 161 x 193 cm; Roma, Galleria Borghese) |
Lucas Cranach il Vecchio, L’età dell’oro (1530 circa; olio e tempera su tavola, 74 x 106 cm; Monaco di Baviera, Alte Pinakothek) |
Secondo le dichiarazioni degli Einstürzende Neubauten, il testo di Sabrina ruoterebbe attorno a un interrogativo: quale colore può essere assegnato ai suoni. La canzone è chiara: i due versi it’s not that red (non è quel rosso) e it’s not that gold (non è quell’oro), riferiti alle immagini di cui s’è detto sopra, escludono che il rosso e l’oro siano i colori giusti. Ma allo stesso tempo si esprime un desiderio: I wish this would be your color, frase che, nell’adattamento di Immanuel Casto e dei Soviet Soviet, viene tradotta alla lettera (“vorrei fosse il tuo colore”) e che rivela tutta la malinconia del testo. In sostanza, nel presente, e in particolare in quello della Germania, non ci sarebbe spazio per la vitalità, per l’erotismo, per la gioia e per lo scintillio del rosso e dell’oro: l’unica possibilità è quella di un nero cupo, che richiama alla mente il quadrato di Malevič, la “gelida fornace verso la quale fissiamo lo sguardo” (the cold furnace in which we stare: probabile allusione al terribile passato nazista della Germania), una fiaba raccontata in una notte d’inverno senza stelle (it is a starless winternight’s tale).
Il riferimento al Quadrato nero del pittore russo Kazimir Malevič è particolarmente interessante. Quando l’artista lo presentò, nel 1915, il suo intento era ben preciso: azzerare completamente le esperienze artistiche precedenti, rifiutare la pittura tradizionale, porre le basi per un linguaggio d’avanguardia che potesse ambire a diventare l’arte del futuro. Un linguaggio che avrebbe dovuto tradursi nella “supremazia della sensibilità pura nelle arti figurative”: da qui, il nome di "suprematismo" attribuito al movimento di cui Malevič fu il padre. Dopo il 1917, anno della rivoluzione russa che cambiò le sorti del paese, il pittore nutriva ancora fiducia nel futuro, ma questa fiducia iniziò a venir meno quando il regime cominciò a scagliarsi contro di lui e contro la sua arte, ritenendola ideologicamente non compatibile con le istanze del nuovo establishment. Addirittura, nel 1930 l’artista fu arrestato e interrogato. Di conseguenza, negli ultimi anni della sua attività, onde evitare di subire ulteriori, pesanti ripercussioni, Malevič fu costretto a tornare a un figurativismo in linea col dettato politico dell’Unione Sovietica, ma estraneo alla sua sensibilità. Il “quadrato nero” citato nella canzone trasmette quindi significati angoscianti: può essere inteso come simbolo di speranza nel futuro destinata però a non trovare compimento. Il nero è, in definitiva, il colore che “si adatta bene” (it suits you well) alla realtà del presente.
Kazimir Malevič, Quadrato nero (1915; olio su tela, 79,5 x 79,5 cm; Mosca, Galleria Tret’jakov) |
Ci si potrà dunque domandare perché, nell’originale, il titolo della canzone porti il nome di una donna. È interessante a questo punto cercare di comprendere il videoclip: protagonista è un mostruoso minotauro che prova ad agghindarsi con un rossetto rosso e con uno oro ma, alla fine, resosi conto che questi accorgimenti non possono ingentilire la sua natura bestiale, si abbandona a un pianto disperato. Uno dei punti di svolta del video si ha al momento dell’ingresso, sulla scena, di Blixa Bargeld, il cantante degli Einstürzende Neubauten: completamente vestito di nero, inizia a lavarsi le mani sotto gli occhi del minotauro, che comincia a piangere dopo averlo visto. L’intero video può essere interpretato come una continua allegoria: il minotauro è una creatura associata alla brutalità e agli istinti ferini, come accadeva nell’arte di Pablo Picasso. Emblema di violenza e di forza distruttrice, in Picasso il minotauro era comunque un essere minato dalla fragilità: la sua stessa violenza finiva infatti col vincerlo e col ridurlo a uno stato di cecità tale da costringerlo a farsi guidare da una bambina, simbolo di innocenza e di purezza. Anche il minotauro di Sabrina è una creatura sostanzialmente fragile: è possibile vedere nell’essere una personificazione della Germania (e probabilmente si deve a ciò il nome della canzone: la nazione è vista come una donna che prova a rendersi più bella), che tenta di riscattarsi dal suo oscuro passato. Quest’ultimo però si presenta sotto forma di un inquietante personaggio vestito di nero, e il minotauro si avvede del fatto che le ombre di un tempo non sono state del tutto cancellate: la creatura è quindi, come in Picasso, vittima di se stessa, e la conseguenza finale non può che essere un pianto amaro.
Pablo Picasso, Minotauro guidato da una bambina (1934-1935; acquatinta; Santa Barbara, Santa Barbara Museum of Art) |
Non sarebbe la prima volta che il mito del minotauro affascina musicisti: ne avevamo parlato anche a proposito di un concept di David Bowie. Ma è altrettanto vero che le liriche degli Einstürzende Neubauten hanno sempre quella caratteristica ambiguità che lascia libero l’ascoltatore di interpretare le parole del testo nella maniera che ritiene più opportuno e soddisfacente. Tuttavia, qualunque sia il suo significato, tutti possono essere d’accordo sul fatto che Sabrina sia una splendida canzone che trasuda amore e passione: malgrado manchi il lieto fine, la speranza che il nero possa essere sostituito dal rosso e dall’oro viene ripetuta anche sul finale, con la frase I wish this would be your colour. E la reinterpretazione firmata Immanuel Casto e Soviet Soviet rende pienamente merito al lavoro degli Einstürzende Neubauten.
L'autore di questo articolo: Federico Giannini
Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).