Nella Vienna degli inizi del Novecento Gustav Klimt (Baumgarten, 1862 - Vienna, 1918) è protagonista nonché fondatore della Secessione viennese, ovvero quell’associazione di diciannove artisti che volle distaccarsi dalla tradizione accademica viennese per ripensare l’opera d’arte stessa come opera d’arte totale che comprendesse architettura, scultura, pittura e design. In quegli anni anche un altro pittore, di trenta anni più giovane di Klimt, Egon Schiele (Tulln an der Donau, 1890 - Vienna, 1918), partecipò al movimento di grande rinnovamento artistico e subì in maniera significativa il fascino per l’arte di quest’ultimo. Tuttavia, come sottolineato da Patrick Bade, “Klimt appartiene all’epoca di transizione di fine Ottocento”, mentre Schiele rappresenta “gli inizi di quel movimento appartenente in modo inequivocabile al primo Novecento che fu l’Espressionismo”. A differenza di Klimt, le cui opere sono caratterizzate da tratti sognanti e delicati e spesso dalla presenza di fiori colorati accompagnati da elementi a mosaico, le opere di Schiele sono espressione di una psiche tormentata. Tra i due nacque un rapporto di profonda stima e di amicizia anche se il loro stile era molto differente: Schiele si era ispirato in un primo momento all’arte del suo amico e maestro, ma poi ne aveva subito abbandonato i tratti artistici tipici, dalle linee sinuose alle decorazioni dorate, per avvicinarsi a uno stile più crudo e più reale, ben visibile nella rappresentazione di figure umane, soprattutto nei ritratti, negli autoritratti e nei nudi femminili.
Con l’Espressionismo, movimento nato in Germania all’inizio del Novecento e poi diffuso in Europa in tutte le arti, da quelle figurative alla musica, al teatro e al cinema, si indicava la tendenza di un artista a esaltare con una certa drammaticità il lato interiore ed emotivo, contrapponendosi all’impressionismo che al contrario guardava al mondo esteriore: una sorta di disagio interiore che Schiele esprimeva attraverso corpi e figure deformate, linee nervose e colori forti e violenti, quali il rosso, il marrone, le tinte terrose, il nero e il giallo pallido. Un disagio soprattutto di natura sociale, sintomo di una critica verso la società e le autorità, in particolare verso la tradizione accademica e lo Stato. L’introspezione psicologica e quel sentimento di disagio interiore in rapporto al mondo esterno erano di fatto temi particolarmente sentiti all’epoca, grazie all’avvento delle teorie rivoluzionarie del medico austriaco Sigmund Freud (Freiberg, 1856 – Hampstead, 1939), fondatore della psicoanalisi, secondo la quale l’inconscio influisce in maniera determinante sul comportamento umano e sulle interazioni tra individui. Anche l’arte viene invasa da questa particolare attenzione verso l’io e la psiche, così come tutti i campi del sapere. È in questo contesto che si inserisce l’arte di Egon Schiele.
Nato in un piccolo paese dell’Austria, a Tulln, nei pressi di Vienna, nel 1905, quando aveva solo quindici anni, rimase orfano di padre, che di mestiere faceva il capostazione. La passione di Egon per il disegno si manifestò fin dalla tenera età, quando trascorreva ore a disegnare i treni che vedeva passare ogni giorno sotto casa, visto che abitava con la sua famiglia in un appartamento sopra la stazione ferroviaria. Il padre, Adolf Schiele, soffriva di disturbi mentali a causa della sifilide che lo portò alla tragica scomparsa. Probabilmente già questo fatto influenzò il pensiero e la visione artistica di Egon. Lo zio, Leopold Czinaczek, prese sotto tutela il nipote e fu proprio lui a riconoscere il suo talento artistico, quindi lo iscrisse all’Accademia di Belle Arti di Vienna. L’ambiente accademico però non era congeniale a Schiele poiché gli insegnamenti erano troppo vicini alla tradizione e qui Egon si sentiva costretto a disegnare e a fare pittura secondo gli antichi maestri. Fu tuttavia nel 1907 che fece l’incontro che gli cambiò la vita: in un cafè di Vienna conobbe Gustav Klimt, il quale lo introdusse nell’ambiente artistico, facendogli conoscere ricchi mecenati e procurandogli varie modelle da ritrarre nei suoi dipinti. Klimt diventò suo maestro e mentore, lo aiutò a sviluppare un suo stile personale, lontano dall’accademismo e soprattutto segnato dagli eventi personali e dal contesto sociale, in disaccordo con le istituzioni. L’anno dopo, nel 1908, il giovane Schiele tenne la sua prima mostra personale per la Wiener Werkstätte, circolo artistico fondato nel 1903 dall’architetto Josef Hoffmann e il grafico e pittore Koloman Moser in collaborazione con l’industriale Waerndorfer che si basava sull’idea di opera d’arte totale, introducendo oggetti di alto valore estetico e artistico nella vita quotidiana.
Già nelle sue prime opere si riconosce in Schiele uno stile espressionista con una predisposizione particolare alla raffigurazione di nudi, dove anche la sessualità e l’erotismo appaiono distorte e piene di angoscia (spesso sono unite ai temi della morte e della malattia; ne è un esempio il dipinto conservato al Belvedere di Vienna del 1915, La morte e la fanciulla), ma anche di ritratti di conoscenti e di autoritratti. Visto il successo della critica, decise di abbandonare l’Accademia di Belle Arti nel 1909 e di fondare con altri quindici artisti il Neukunstgruppe, nato per far diffondere a Vienna nuove forme di espressione artistica lontane dai principi dell’Accademia. Dopo aver esposto alla Kunstschau e alla Galerie Prisko, quest’ultima visitata anche dall’arciduca Francesco Ferdinando, si trasferì nel 1910 nel piccolo paese di Krumau con la modella Wally Neuzil, con la quale intrattenne una relazione amorosa: gli abitanti della piccola cittadina boema criticavano il fatto che i due vivessero insieme non essendo sposati e in più vedevano maliziosamente il fatto che Schiele ritraesse per suoi nudi modelle molto giovani; per questo clima ostile si trasferirono a Neulengbach,nel Wienerwald. Addirittura due anni dopo l’artista venne accusato di aver sedotto una ragazza non ancora quattordicenne, figlia di un ufficiale della marina, di averla traviata e persino rapita: finì quindi in prigione per un breve periodo, con “l’aggravante” di aver ritratto giovani fanciulle, al limite dell’adolescenza, nude. Opere che al termine del processo furono ritenute pornografiche. L’esperienza della reclusione segnò ancora di più l’artista. Decise dunque di tornare a Vienna e grazie all’amico Klimt riuscì a ottenere di nuovo importanti commissioni, tornando al successo.
Nel 1914 si unì in matrimonio con un’altra sua modella, Edith Harms, da quel momento unica sua musa (tra i ritratti più famosi della moglie, quello del 1917 conservato alla Národní galerie di Praga): lasciò infatti per sempre Wally, che in seguito morirà al fronte come crocerossina. Allo scoppio del primo conflitto mondiale Schiele venne chiamato alle armi, ma grazie al suo talento artistico poté continuare a dipingere, evitando di andare in prima linea. È di questo periodo, del 1916, una delle sue più celebri opere: Il Mulino vecchio, oggi custodito al Niederösterreichisces Landesmuseum di Vienna. Il mulino che cade a pezzi a causa della forza dell’acqua è simbolo della decadenza della società austriaca d’inizio secolo e della fine dell’impero austro-ungarico che, a seguito della fine della prima guerra mondiale, sarebbe stato smembrato due anni dopo. Nel 1918 partecipò a una grande retrospettiva legata alla Secessione viennese e in questa occasione riuscì a ottenere nuovamente successo, ma quest’anno segnò la morte prima della moglie, incinta di sei mesi, a causa dell’epidemia di influenza spagnola e, pochi giorni dopo, anche la scomparsa dell’artista che anche lui non riuscì a salvarsi dal contagio. Morì infatti tre giorni dopo la moglie, il 31 ottobre 1918, a soli ventotto anni.
Nonostante la sua morte precoce, Egon Schiele fu un artista molto prolifico: nel corso della sua attività realizzò circa trecentoquaranta dipinti e duemilaottocento acquerelli e disegni. Il Leopold Museum di Vienna, situato all’interno del MuseumsQuartier e nato dalla collezione di Rudolf Leopold (1925 - 2010), custodisce la collezione più grande e più importante al mondo dell’artista: quarantadue dipinti, centoottantaquattro opere grafiche originali, tra disegni e fogli a colori, e documenti autografi ripercorrono la sua intera carriera. Tra i capolavori principali di Schiele esposti al Leopold Museum, l’Autoritratto con alchechengi e il Ritratto di Wally Neuzil: se si ammirano insieme questi due dipinti sembra proprio che siano l’uno il pendant dell’altro. Entrambi compiuti nel 1912, quando dunque i due convivevano, uniti da una storia d’amore, i due quadri presentano la stessa impostazione: entrambi su fondo bianco e in primo piano il mezzo busto dei due amanti. Nell’Autoritratto con alchechengi, una pianta perenne che produce piccole bacche rosse commestibili, Egon Schiele si raffigura in primo piano con il volto quasi di tre quarti, il collo leggermente piegato, le spalle in posizione non simmetrica e un indumento nero, mentre osserva di sbieco lo spettatore. Dietro di lui l’alchechengi, anch’esso piegato e con lo stelo scuro, in una sorta di paragone tra pianta e artista. Probabilmente entrambi connessi al tema della fragilità, dell’essere che si piega agli eventi. Spesso per autoritrarsi Schiele si poneva davanti a uno specchio e attraverso lo sguardo cercava di andare oltre, penetrando nel profondo del suo io: si creava così nei suoi dipinti una sorta di rispecchiamento della sua interiorità, poiché attraverso lo specchio si mostra a se stesso e allo stesso tempo lo spettatore percepisce nel ritratto tutta la carica emotiva e di angoscia dell’artista. Se nell’Autoritratto Schiele è inclinato verso la destra dell’osservatore con l’alchechengi visibile a sinistra, specularmente nel suo ritratto Wally piega la testa verso sinistra rispetto all’osservatore, mentre a destra si nota anche in questo caso un ramo. L’osservatore è inevitabilmente rapito dai grandi occhi azzurri della ragazza; il volto è abbastanza spigoloso con labbra rosse e guance leggermente arrossate, come rossicci sono i suoi capelli raccolti. Anche Wally, come Egon, è ritratta con un abito nero, adornato da un colletto bianco. Due ritratti che si somigliano molto, entrambi desiderosi di essere ascoltati e compresi con tutto il loro bagaglio emotivo.
L’animo malinconico e sofferente ben visibile nei suoi ritratti, si può percepire anche nei suoi paesaggi, avvolti da una cupa malinconia. Sono paesaggi nella maggior parte dei casi solitari e deserti, che esprimono la natura ciclica della vita attraverso fiori sbiaditi, alberi spogli, il tramonto. Schiele “attribuisce qualcosa di umano ai paesaggi”, come sottolinea la curatrice del Leopold Museum Verena Gamper. E molto spesso sono carichi di turbamento.
Considerato un pittore molto provocatorio e ai limiti della pornografia, Egon Schiele fu, al contrario, uno degli artisti più introspettivi del Novecento, in grado di trasmettere sia attraverso i numerosi autoritratti sia attraverso i paesaggi la sua natura sensibile e malinconica, segnata dai disagi prodotti dalla società e dall’epoca in cui viveva.
Per scoprire di più sulla figura e sui luoghi di Schiele: https://www.austria.info/it/arte/artisti-e-capolavori/egon-schiele-splendidi-paesaggi-malinconici
La tua lettura settimanale su tutto il mondo dell'arte
ISCRIVITI ALLA NEWSLETTERL'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta
Giornalista, è co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. È nata a Carrara nel 1987 e si è laureata a Pisa. È responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.