L'Ecce Puer di Medardo Rosso, capolavoro di modernità tra presenza e assenza


L’Ecce Puer è forse l’opera più innovativa e radicale di Medardo Rosso, capolavoro moderno che contiene in sé presenza e assenza, corpo e materia, forma e materia.

Impression d’enfant, Enfant anglais, Portrait de l’enfant Alfred Mond, Enfant de Nazareth: sono molti i titoli con cui è noto l’Ecce Puer, il capolavoro forse più noto di Medardo Rosso (Torino, 1858 - Milano, 1928). Si tratta dell’ultima opera originale dello scultore torinese: a seguito di questa scultura, Rosso avrebbe terminato la sua carriera eseguendo varianti delle opere precedenti, e dedicandosi alla fotografia. Non conosciamo nei minimi dettagli le origini dell’Ecce Puer, che potrebbero tuttavia collocarsi tra il febbraio e l’ottobre del 1906: l’artista si trovava all’epoca a Londra, e pare avesse ricevuto dall’industriale e collezionista tedesco Emile Mond e da sua moglie Angela, da tempo trasferitisi in Inghilterra, l’incarico di eseguire un ritratto del loro figlio Alfred William, nato nel 1901.

La nascita dell’Ecce Puer ha poi assunto sfumature leggendarie, almeno a partire dal racconto di Ardengo Soffici nella sua monografia su Medardo Rosso del 1929, che investe la creazione del capolavoro di Medardo Rosso di contorni quasi mistici, ritenendolo frutto d’un’illuminazione che l’artista avrebbe avuto dopo diversi giorni di vani arrovellamenti: “Non vedendovi riflesso il carattere e il viso dell’originale, [Rosso] l’aveva buttato all’aria e ricostruito poi, come non lo soddisfaceva ancora, ridistrutto e disfatto. Era cominciata così quella lotta terribile tra materia e fantasia creatrice, che ogni artista conosce e che ha per esito lo scoramento mortale o il capolavoro. Da più d’una settimana Rosso se ne stava in tal maniera, tramestando con la sua creta, senza vedere né capire più nulla di quel che andava facendo, avvilito, e quasi disperato di mai riuscire a qualcosa di più presentabile, allorché una mattina il bambino, che era biondo e bello, entra nella stanza, un’onda di luce che non era quella degli altri giorni lo investe, e Rosso lo vede come non lo aveva mai visto prima: lo vede, nella sua realtà poetica ed espressiva. Eccolo! Ecco il fanciullo che Rosso cercava. Fu un attimo: ma bastò perché l’artista si sentisse sicuro di sé e della riuscita dell’opera. Fatto restare il bambino in quel posto stesso, Rosso, senza perdere un minuto, si buttò sulla creta con furia creativa: impastò, deformò, trasformò, plasmò, violentò, carezzò, lavorò come una bestia, quasi come in sogno; e poche ore dopo l’opera stupenda era terminata”. Il ritratto sarebbe stato poi rifiutato dai genitori di Alfred William a causa della sua scarsa somiglianza, come lo stesso Medardo Rosso avrebbe poi raccontato (“Io dovevo fare il ritratto di un bambino. Esso venne in camera mia; un pensiero mi disse: voilà la vision de purité dans un monde banal, e non potevo far altro che dare l’idea della purezza. I genitori dissero poi che non era somigliante!”). Addirittura, la coppia rifiutò di corrispondere all’artista il suo compenso. Eppure, malgrado lo sdegno dei committenti, era nato nella Londra del 1906 uno dei capolavori della scultura moderna, e il valore dell’Ecce Puer non tardò a essere riconosciuto dalla critica.

Medardo Rosso, Ecce Puer (1906; gesso patinato, 52 x 42,5 x 38,5 cm; Milano, Galleria d'Arte Moderna, inv. 7554)
Medardo Rosso, Ecce Puer (1906; gesso patinato, 52 x 42,5 x 38,5 cm; Milano, Galleria d’Arte Moderna, inv. 7554)
Medardo Rosso, Ecce Puer, dettaglio
Medardo Rosso, Ecce Puer, dettaglio
La scultura nello studio di Medardo Rosso nel 1906
La scultura nello studio di Medardo Rosso nel 1906
Medardo Rosso, Ecce Puer (1906; cera gialla su gesso, 30 x 47 x 34 cm; Roma, Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea)
Medardo Rosso, Ecce Puer (1906; cera gialla su gesso, 30 x 47 x 34 cm; Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea)

Naturalmente il racconto di Ardengo Soffici è funzionale a esaltare il mito dell’artista che vedeva comparire le sue opere in un baleno, in un momento d’ispirazione fulminea, anche al semplice passaggio di un raggio di luce su di un oggetto o una persona, come leggiamo nell’aneddoto. E in effetti l’Ecce Puer si presenta come un’apparizione, come l’immagine di una figura che in un momento è presente e subito dopo non c’è più, come il ritratto di un bambino che veramente si rivela in un’epifania luminosa. Mai s’erano viste prima, in scultura, opere come quelle di Medardo Rosso, che si può identificare come il primo scultore della storia a modellare guidato dalla forza, anche emotiva, della luce. E poté farlo grazie al suo soggiorno a Parigi, dove arrivò nel 1889, subito interessandosi alle novità degli impressionisti, tanto che la critica ha spesso visto in lui il fondatore della scultura impressionista, benché la sua arte non possa darsi senza l’apporto del naturalismo su cui già aveva meditato all’epoca in cui risiedeva a Milano prima di trasferirsi in Francia, oltre che senza il contributo del simbolismo, soprattutto nel momento in cui le sue opere cercano di cogliere anche un afflato emotivo, di trasmettere uno stato d’animo. Ecco allora che lo stesso Ecce Puer diventa un’opera che vibra “come se avesse un cuore pulsante”, per usare un’efficace espressione dell’artista Giovanni Anselmo.

Nel ritratto di Medardo Rosso, il piccolo Alfred William ci appare mentre emerge dalla materia, coi connotati fisici appena accennati, e col suo volto che si confonde con le linee di una tenda, offrendo al riguardante la sensazione di un movimento rapido, in cui il bimbo si svela e si nasconde allo stesso tempo, in un misto di curiosità e ritrosia: secondo la leggenda, Medardo Rosso sarebbe stato infatti colto da ispirazione nel vedere il bambino affacciarsi proprio da una tenda per origliare una conversazione tra i genitori e alcuni ospiti che si erano recati a cena da loro. Questa scultura è intanto uno dei più fulgidi esempi del modo in cui l’artista concepiva le sue figure, che non erano mai isolate, ma facevano parte di uno stesso spazio, privo di limiti. “Quando io faccio un ritratto”, avrebbe detto, “non posso limitarlo alle linee della testa perché questa testa appartiene a un corpo, si trova in un ambiente che esercita un’influenza su di lei, fa parte di un tutto che non posso sopprimere”. La luce diventa l’elemento che esalta la partecipazione del soggetto allo spazio che lo circonda: “La luce è la vera essenza della nostra esistenza, un’opera d’arte che non ha a che fare con la luce non ha ragione di esistere. Senza luce essa è priva di unità e spaziosità, è ridotta ad essere insignificante, di nessun valore, erroneamente concepita, basata necessariamente sulla materia. Niente a questo mondo può staccarsi dall’intorno, e la nostra visione o impressione, se preferite il termine – può soltanto essere il risultato delle relazioni reciproche o valori dati dalla luce, e si deve catturare con un’occhiata la tonalità dominante”. Così, nell’Ecce Puer, la luce diventa il mezzo attraverso cui la superficie che avvolge il bambino finisce per rivelare la sua espressione.

Nell’immaginare il suo Ecce Puer, Medardo Rosso dovette poi riflettere a lungo tanto sull’arte di Auguste Rodin, che conosceva molto bene, quanto, con tutta probabilità, sull’arte dei Nabis: avrebbe guardato al primo soprattutto per il suo modo di rappresentare i corpi nello spazio, con le figure che emergono prorompenti dallo spazio informe che le circonda e nel quale a volte esse stesse si confondono, mentre nei Nabis (e in particolare nell’arte di Édouard Vuillard e in quella di Pierre Bonnard) avrebbe trovato il giusto equilibrio tra il ruolo accordato alla percezione del momento (e dunque tra la componente di matrice squisitamente impressionista) e l’idea di trasmettere un’emozione, uno stato d’animo. Si potrebbero citare a esempio i ritratti di Rodin, la sua celebre Danaide, oppure l’autoritratto di Vuillard in cui il pittore si raffigura in maniera non descrittiva e con colori innaturali, animato dall’intento di comunicare piuttosto le sue sensazioni dinnanzi alla natura. Erano, per quei tempi, ricerche estremamente innovative.

Auguste Rodin, Danaide (1889 – 1892; marmo, 36 x 71 x 53 cm; Parigi, Musée Rodin)
Auguste Rodin, Danaide (1889 – 1892; marmo, 36 x 71 x 53 cm; Parigi, Musée Rodin)
Auguste Rodin, Paolo e Francesca tra le nuvole (1904-1905; marmo, 65,5 x 70 x 55 cm; Parigi, Musée Rodin)
Auguste Rodin, Paolo e Francesca tra le nuvole (1904-1905; marmo, 65,5 x 70 x 55 cm; Parigi, Musée Rodin)
Édouard Vuillard, Autoritratto (1890 circa; olio su tavola, 35 x 27 cm; Collezione privata)
Édouard Vuillard, Autoritratto (1890 circa; olio su tavola, 35 x 27 cm; Collezione privata)

Occorre poi soffermarsi sul celebre titolo, dai connotati religiosi, che Medardo Rosso potrebbe aver scelto per la sua opera al fine di sottolinearne il carattere d’apparizione, ma il suo intento potrebbe esser stato anche quello di evidenziarne il carattere metafisico. Il grande studioso Luciano Caramel ha scritto che l’Ecce Puer sembra rimandarci “al campo extrasensibile dell’Idea e dello Spirito”, e che l’ultima scultura di Medardo Rosso è quella “meno riconducibile a intenzionalità di registrazione oggettiva, nonostante debba trattarsi di un ritratto, che si vorrebbe nato dall’impressione tratta da un’improvvisa fugace apparizione del soggetto”. Lo stesso Medardo Rosso, del resto, aveva definito la sua scultura come una vision de pureté: si potrebbe pertanto definire l’Ecce Puer come un’opera in cui il visibile è ridotto ai minimi termini e la forma è più vicina all’idea che alla materia. È noto che la critica, nonostante la fortuna tardiva di Medardo Rosso, il cui ruolo di profondo innovatore stentò a lungo a essere riconosciuto (un po’ perché, italiano a Parigi, faticò a imporsi, un po’ perché anche in Italia era sostanzialmente un artista isolato), abbia dedicato molta attenzione all’Ecce Puer. Paola Mola, per esempio, ha insistito come altri sul dialogo tra forma e materia che si sviluppa nell’opera di Medardo Rosso, che con l’Ecce Puer, nella sua ricerca del “fantasma della forma”, dà luogo a un “incontro diretto con l’immagine, che si fa avanti e preme dall’interno della forma”. Per Francesco Stocchi, l’opera “costituisce indubbiamente uno dei punti di arrivo nella formazione culturale complessa di Rosso: naturalista, impressionista, simbolista”, coi caratteri alla base della sua scultura che tuttavia si mescolano in maniera inedita ponendo le basi per la scultura del XX secolo.

L’estrema modernità dell’Ecce Puer è una delle qualità che, del resto, meglio concorrono a definire il capolavoro di Medardo Rosso. Per Rosalind Krauss, è proprio nel manifestarsi simultaneo di impressioni ed espressioni diverse che occorre trovare i caratteri più innovativi dell’opera di Medardo Rosso: nel breve istante in cui il bambino appare, lo scultore comprende “a cosa assomiglia l’ambivalenza dei sentimenti. Con Ecce Puer Rosso esprime insieme questo sapere e l’atto stesso in cui si cristallizza [...]. Ecce Puer non è nient’altro, inizio e fine, che questa superficie - non c’è niente al di là”. Max Kozloff ha invece proposto un parallelo con la poesia di Stéphane Mallarmé: “La cera vuota, color crema, ha un impatto mallarmeano che anestetizza il senso tattile e vibra più come percezione di emozioni che come oggetto che esiste e ha un peso e una sostanza separati dal proprio corpo. Tiene a distanza, e congela l’istante prima che sia possibile tornare all’esistenza terrena [...] il solo pensare a quest’opera, e figuriamoci dunque farne esperienza, è come una specie di ipnosi”. Tra le posizioni più recenti figura invece quello della storica dell’arte americana Sharon Hecker, secondo la quale la modernità dell’Ecce Puer è da reperire nelle varie modalità in cui Medardo Rosso “destabilizza la continuità tra immagine e idea, tra soggetto e forma”. Non era in effetti la prima volta che l’artista giungeva a esiti d’astrazione altrettanto spinti: basterà dunque rammentare la tenera Aetas aurea, un ritratto della moglie e del figlio risalente al 1886, o ancor di più la Madame X del 1896. Con l’Ecce Puer, tuttavia, l’artista riesce a creare un’opera ancor più sfuggente, deliberatamente irrisolta. “Anche se Medardo Rosso parla del desiderio di smaterializzare la scultura”, ha scritto Hecker, “la superficie dell’Ecce Puer è finemente lavorata e sorprende per la sua materialità”. Una materialità che ha indotto la studiosa a evitare interpretazioni troppo spiritualizzanti o metaforiche, ma che non ha impedito a molti, soprattutto artisti (lei stessa cita Tony Cragg e Giuseppe Penone), a ritenere che la particolare lavorazione di questa scultura potrebbe essere un modo, da parte di Medardo Rosso, di trasformare la pelle in un elemento che sta a metà tra l’aspetto esteriore del bambino e il suo animo. Si potrebbe parlare, dunque, di un’opera che sorprende e dà avvio al XX secolo perché riesce a fondere tutti questi elementi: corpo e anima, forma e materia, spazio e figura, assenza e presenza. Nessun’altra opera di Medardo Rosso ci era riuscita altrettanto bene.

Medardo Rosso, Aurea Aetas (1886 [1904-1908]; cera su gesso, 45 x 45 x 34 cm; Torino, GAM - Galleria Civica d'Arte Moderna e Contemporanea)
Medardo Rosso, Aurea Aetas (1886 [1904-1908]; cera su gesso, 45 x 45 x 34 cm; Torino, GAM - Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea)
Medardo Rosso, Madame X (1896; cera, 30 x 19 x 24 cm; Venezia, Galleria Internazionale d'Arte Moderna a Ca' Pesaro)
Medardo Rosso, Madame X (1896; cera, 30 x 19 x 24 cm; Venezia, Galleria Internazionale d’Arte Moderna a Ca’ Pesaro)

Dell’opera si conoscono diverse redazioni, anche se il modello originale, in gesso patinato, è conservato alla Galleria d’Arte Moderna di Milano, con l’etichetta “1011” di un vecchio inventario. L’opera fu esposta per la prima volta nello stesso anno in cui fu realizzata, il 1906, al Salon d’Automne di Parigi e quindi alla Eugene Cremetti Gallery di Londra, col titolo Portrait de l’enfant Mond: impression, dopodiché, alla mostra dell’impressionismo tenutasi a Firenze nel 1910, figurava già col titolo Ecce Puer. Gli esemplari dell’opera sono conservati presso diversi musei: esemplari in cera su gesso sono alla Galleria Ricci Oddi di Piacenza, alla Peggy Guggenheim Collection di Venezia e alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma. Uno in gesso dipinto è al Museo Medardo Rosso di Barzio, un altro sempre in gesso si trova alle National Galleries of Scotland di Edimburgo, mentre si conservano esemplari in bronzo al Musée d’Orsay di Parigi, al Museum Moderner Kunst di Vienna e al Wallraf-Richartz Museum di Colonia. Una riproduzione in bronzo è collocata anche sul sepolcro dell’artista al Cimitero Monumentale di Milano.

Significativo fu l’ascendente che Medardo Rosso sarebbe stato in grado d’esercitare su molti artisti del Novecento (Hecker cita Umberto Boccioni, Henry Moore, Constantin Brâncuşi, Alberto Giacometti), e un’opera come Ecce Puer è fondamentale per comprendere perché possiamo considerare Rosso stesso come il primo artista moderno. Lo aveva capito bene Giovanni Papini: “Nessuno, oggi, osa negare che l’arte di Rosso significa un cominciamento e non già una continuazione. Rosso è il primo che rompe e interrompe quella tradizione millenaria che va dagli statuari egizi fino ai veristi dell’Ottocento: il primo che fa della scultura un’arte che a qualcuno non sembra più scultura perché travarca quelli che sembrano i caratteri naturali e immutabili della scultura”.


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Gli autori di questo articolo: Federico Giannini e Ilaria Baratta

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