Verosimilmente tra il 1526 e il 1527 nel contesto della magnifica produzione delle sue celebri pale d’altare Antonio da Correggio, che viveva stabilmente in Parma dove dirigeva i difficili lavori di ristrutturazione muraria della cupola del Duomo, dipingeva una tavola di circa un metro per ottanta dedicata al tema doloroso dell’“Ecce Homo”, ossia al momento tremendo della passione di Nostro Signore poco prima della sua crocifissione. Un raro quadro del dolore nel contesto della sua produzione sempre vitalissima e ricolma di quella letizia che gli forniva anche la sua firma (laetus) in alcuni dei pochi contratti che conosciamo. Dei soggetti religiosi che hanno comportato compassione e meditazione contrita scrisse a suo tempo un bel saggio Andrea Muzzi che riportiamo in bibliografia. In questa occasione desideriamo semplicemente operare un’osservazione che proponiamo anche ai lettori.
Come hanno rilevato gli esegeti, l’Allegri in questa tavola non rispetta la stretta sequenza evangelica di Giovanni dove Pilato, dopo la flagellazione, ripeté che non trovava in lui nessuna colpa e lo presentò ai Sommi Sacerdoti, coronato di spine, esclamando “Ecco l’Uomo” (Giov. 19,5). Infatti il Correggio raccoglie in questo momento estremamente drammatico la presenza stessa di Maria, certamente impossibile, ed inquadra una somma di sentimenti interiori che fanno di quest’opera un dipinto supremamente mistico. Vi appare tutta la volontà salvifica di Gesù con la consegna di se stesso ad ogni ingiuria, ad ogni tormento e infine al Sacrificio finale della morte in croce. L’anima piissima di Antonio - che il Vasari stesso qualifica come “bonissimo cristiano” - rifiuta l’ovvio verismo di un corpo sanguinante, maciullato dalla tremenda fustigazione romana, e presenta Gesù quale divino innocente, così come lo aveva dichiarato Pilato stesso, ma sceglie il suo corpo intatto, accompagnato dal suo sguardo di vittima offerentesi, e pur coronato dalle terribili spine, e con quelle mani dolcissime che avevano poco prima compiuto la donazione eucaristica. La chiamata teologica che compie il Correggio ponendo la Madre a fianco dello stesso poggiolo dove compare il Figlio è certamente l’espressione di Maria corredentrice: la realtà biblica, sacramentale, che la Chiesa ha sempre proclamato. E le mani di Maria che sviene, abbandonata fra le braccia della consorella, scivolano angosciosamente sul parapetto del Pretorio, accettando il sacrificio del Figlio. Su questo particolare è molto bello l’appunto di David Ekserdjian.
Tutto il dipinto del Correggio non è pertanto un semplice quadro devozionale, ma assurge al ruolo potente di documento teologico, statuito nella iconografia. In questo rimane da decrittare la figura che presenta il Cristo flagellato alla turba agitata del cortile: chi è? e che cosa vuol dire “ecco l’uomo”? La risposta semplicistica si attaglia al testo evangelico: è Pilato! Ma quella figura non corrisponde a un alto ufficiale militare romano, com’era di certo Ponzio Pilato. È un uomo dovizioso, ben ammantato, dalla barba curata e solenne, che porta un ricco turbante impreziosito da una gemma. Sì, è vero che altri pittori hanno rivestito il governatore cesareo dei loro costumi nazionali, come osserva il giovane studioso Gian Paolo Lusetti in un suo intervento orale, ma il Correggio non può aver riportato tale scelta nel contesto di un evento che il pittore vuole mantenere il tutta la sua valenza soteriologica, divina. Il parere di chi scrive è che l’Allegri abbia scambiato i ruoli ed abbia affidato il grido dimostrativo che qui diventa quasi trionfale ad un fariseo.
Il dipinto è mistico ed è dislocato su tre piani: il più vicino a noi comporta il sommo amore che avvolge Gesù-vittima, ed è l’amore della Madre. Il terzo piano, il più distante, è quello della condanna, della consegna alla Croce, ed è il luogo del male, del palazzo romano che cede al tumulto della turba: su questa linea sta la soddisfazione boriosa di un accusatore: “ecco come lo abbiamo ridotto”. In mezzo sta la Vittima sacra, Gesù. Vicino a Lui c’è un volto, del quale parleremo fra poco.
Chi scrive comprende la singolarità della propria proposta, ma desidera esporre alcune considerazioni che escluderebbero Pilato dal ruolo del tronfio presentatore. Intanto ricordiamo che il Correggio conosceva assai bene l’abbigliamento militare romano: lo aveva potuto registrare direttamente nel suo o nei suoi viaggi a Roma. Eppoi dobbiamo sottolineare la ripetuta, intensa opposizione di Pilato stesso alla condanna di Gesù, il suo riconoscimento esplicito della innocenza; anche la “extrema ratio” della flagellazione l’aveva consentita per sottrarre Gesù alla morte (la flagellazione non precedeva mai la crocefissione nel costume giudiziario romano). Il Correggio lo sapeva. E qui varrebbe annotare che la chiesa cristiana copta sin dai primi secoli ha ritenuto e venerato come santi Pilato e la sua consorte Claudia Valeria. Nella indubbia valenza anagogica del dipinto è possibile che l’Allegri abbia scambiato veridicamente i ruoli.
Nel piano centrale della tavola allegriana, di fianco a Gesù, già “patiens” per l’estremo dolore per la sua divina consapevolezza, sta il volto proteso e più oscuro di un militare; questo profilo dallo sguardo intensamente interrogativo e quasi commosso è quello del Centurione che poi, al momento della morte di Gesù in croce, griderà “Veramente quest’uomo era Figlio di Dio” (Mc 15,39).
Note bibliografiche
L'autore di questo articolo: Giuseppe Adani
Membro dell’Accademia Clementina, monografista del Correggio.