Lorenzo il Magnifico (Firenze, 1449 - Careggi, 1492) è passato alla storia per essere stato uno dei più grandi patroni dell’arte e uno tra i più munifici mecenati di tutti i tempi. Le sue larghissime disponibilità economiche gli consentirono di finanziare una quantità impressionante di imprese culturali (dalle arti alla letteratura, dalla musica all’edilizia pubblica), che gli hanno procurato il soprannome col quale è universalmente noto. E da vero padre-padrone della politica fiorentina di fine Quattrocento (in tal senso, il giudizio che su di lui diede un grande storico, Francesco Guicciardini, non è benevolo), poté permettersi non soltanto di sostenere moltissime committenze, ma anche di orientare il gusto dell’epoca, data anche la sua vasta cultura e date la lunghezza e la stabilità del suo governo de facto (Lorenzo, formalmente, non ebbe incarichi di spicco, come tutti i Medici prima di lui: dev’essere visto come una sorta di primus inter pares), che durò dal 1469 al 1492.
Tutto ciò consentì al Magnifico di dirigere, per più di un ventennio, le sorti della cultura fiorentina, alla quale venne impresso, scrive la storica dell’arte Liana Castelfranchi Vegas, “un carattere fortemente unitario in ogni suo campo”, e l’elemento di coesione era l’antico: “la letteratura, l’arte, la filosofia dell’età classica, conosciute, studiate, vagheggiate costituiscono un patrimonio di pensieri e di immagini che entrano nell’arte e costituiscono, come dice Chastel, un lasciapassare per il ‘moderno’”. A Lorenzo il Magnifico si riconoscono diversi meriti: l’aver, per primo, pensato a un apposito luogo di formazione per gli artisti, ovvero il Giardino di San Marco, dove studiò anche Michelangelo; le rivoluzioni in campo architettonico, quello in cui la sua committenza forse si espresse meglio (Castelfranchi Vegas individua tre linee innovative: l’interesse per l’equilibrio urbanistico delle realizzazioni architettoniche, l’interesse per gli edifici a pianta centrale e la riproposizione della villa all’antica); l’intuizione del ruolo dell’arte come metodo di accrescimento del prestigio personale (anche se, a differenza dei suoi predecessori, dei quali fu molto più colto, Lorenzo non cercava l’ostentazione); l’interesse per i giovani.
Sono molte le opere del Magnifico che oggi si vedono a Firenze (e non solo), nei musei e nelle chiese della città. E ovviamente innumerevoli sono quelle che nacquero grazie al clima culturale da lui promosso. Abbiamo raccolto in questa gallery dieci tra le sue più famose committenze dirette: come criterio, abbiamo scelto di includere soltanto le opere sulle quali abbiamo notizie certe o altamente probabili (quindi sulle quali c’è accordo sostanziale da parte della critica). Non abbiamo pertanto incluso opere commissionate da membri della famiglia che pure risentirono del clima culturale impresso dal Magnifico (a cominciare dalla Venere e dalla Primavera di Botticelli, che si devono semmai a Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici, detto il Popolano, cugino del Magnifico), né quelle per le quali la committenza è dubbia (per esempio la Dama col mazzolino del Verrocchio, da alcuni ritenuta un ritratto di Lucrezia Donati, amante e musa del Magnifico, o ancora la Madonna Medici di Luca Signorelli, o la Pallade e il centauro di Botticelli degli Uffizi e altre: spesso gli interrogativi nascono dal fatto che negli antichi inventari il committente è registrato semplicemente come “Lorenzo de’ Medici” e dunque si è spesso fatta confusione tra il Magnifico e il Popolano). Abbiamo fatto una sola eccezione per l’Incredulità di san Tommaso del Verrocchio, perché seppur non direttamente commissionata dal Magnifico, il suo ruolo fu determinante perché il Verrocchio si aggiudicasse il lavoro. Eccovi dunque dieci opere che oggi possiamo ammirare grazie alla generosità di Lorenzo il Magnifico.
1. Villa Medicea di Poggio a Caiano
Si tratta della più famosa impresa architettonica di Lorenzo il Magnifico: i lavori cominciarono probabilmente negli anni Ottanta e il progetto si deve a Giuliano da Sangallo (Firenze, 1445 - 1516), che si rifece alla lezione albertiana progettando un edificio simmetrico e armonico, sulla cima di una collina. Le logge consentono un perfetto raccordo tra l’interno e l’esterno, il frontone che richiama quello dei templi classici è il più diretto rimando alla classicità, gli ambienti si situano attorno a un salone centrale: sono tutti elementi che altri architetti avrebbero in seguito ripreso. Il Magnifico però non fece in tempo a vederla finita perché morì prima della conclusione dei lavori, che si interruppero quando i Medici furono esiliati da Firenze. Solo tra il 1513 e il 1520, col ritorno dei Medici da Firenze, la villa fu terminata per volere di Giovanni (Firenze, 1475 - Roma, 1521), figlio di Lorenzo, nel frattempo salito al soglio pontificio col nome di Leone X. Oggi la Villa è di proprietà dello Stato ed è uno dei musei che compongono il Polo Museale della Toscana.
Villa Medicea di Poggio a Caiano. Ph. Credit Niccolò Regacci |
2. Basilica di Santa Maria delle Carceri, Prato
La costruzione della basilica di Santa Maria delle Carceri, una delle più belle e note di Prato (che da più di un secolo era posta sotto il dominio di Firenze) fu sostenuta dal Magnifico che per la sua realizzazione chiamò, anche in questo caso, Giuliano da Sangallo, che trasse nuovamente ispirazione dalle teorie albertiane sulla pianta centrale (la basilica presenta un impianto a croce greca). La costruzione cominciò nel 1486 e finì nel 1495, tre anni dopo la scomparsa del Magnifico: i lavori, tuttavia, rimasero incompiuti (e lo sono rimasti fino a oggi: il rivestimento marmoreo della facciata, nella tipica bicromia bianco-verde, in parte non è completo). A decorare l’interno furono chiamati grandi artisti come Domenico del Ghirlandaio e Andrea della Robbia. L’idea di realizzare una chiesa nacque a seguito di fatti ritenuti miracolosi verificatisi nell’estate del 1484 davanti all’effigie di una Madonna col Bambino dipinta sul carcere delle Stinche di Prato, che si trovava sulla piazza su cui sorge la chiesa.
Basilica di Santa Maria delle Carceri, Prato. Ph. Credit Francesco Bini |
3. Sagrestia di Santo Spirito, Firenze
La celebre sagrestia, altro capolavoro di Giuliano da Sangallo, fu aggiunta alla basilica di Santo Spirito per iniziativa di Lorenzo il Magnifico: la realizzazione durò dal 1489 al 1492. In questo caso, l’architetto trasse ispirazione dalle soluzioni di Filippo Brunelleschi, creando un edificio a pianta ottagonale, che richiamava la forma del Battistero di Firenze. Gli interni si caratterizzano per la presenza di elementi decorativi in pietra serena: lesene, cornicioni, trabeazioni contribuiscono all’equilibrio generale di tutta la struttura. La sagrestia è famosa anche perché al suo interno ospita uno dei capolavori di Michelangelo Buonarroti (Caprese, 1475 - Roma, 1564), il Crocifisso di Santo Spirito.
Sagrestia di Santo Spirito, Firenze |
4. Vaso di Lorenzo il Magnifico
Contrariamente a quanto l’immaginario collettivo potrebbe farci pensare, i gusti del Magnifico, più che sulla pittura, si concentrarono sulla scultura e sulle arti applicate. Lorenzo de’ Medici amava molto l’oggettistica, e il cosiddetto “Vaso di Lorenzo il Magnifico”, conservato oggi nel Tesoro dei Granduchi a Palazzo Pitti, è un chiaro esempio. È un oggetto alto poco più di quaranta centimetri, in diaspro rosso con fini decorazioni in argento dorato a fuoco e smalti traslucidi. Si tratta di un vaso a due anse, il cui corpo è da datarsi al XIV secolo: fu invece commissionata da Lorenzo (e precisamente negli anni Sessanta del Quattrocento) la montatura del coperchio. Inoltre, il signore fece apporre al vaso le sue iniziali “·LAV·R·MED·”. Opera di probabile manifattura veneziana (nel Trecento ne venivano prodotti di simili nella città lagunare), conobbe anche qualche tribolazione dopo l’esilio dei Medici da Firenze: ne entrarono in possesso i Tornabuoni, famiglia fedele ai Medici, e finì in seguito a Roma nel 1495, dove fu recuperato da Giulio de’ Medici (Firenze, 1478 - Roma, 1534), futuro papa Clemente VII, che nel 1532 ne fece dono alla basilica di San Lorenzo, altro luogo legato alla famiglia. Fu trasferito presso gli Uffizi nel 1785 e passò al Tesoro dei Granduchi nel 1921.
Manifattura veneziana e artigiani fiorentini, Vaso di Lorenzo il Magnifico (vaso del XIV secolo, montatura del 1463-1465; diaspro rosso, argento dorato a fuoco, smalti traslucidi, altezza 42,5 cm; Firenze, Tesoro dei Granduchi) |
5. Verrocchio, Incredulità di san Tommaso
L’Incredulità di san Tommaso, capolavoro del Verrocchio (Andrea di Michele di Francesco di Cione; Firenze, 1435 - Venezia, 1488), è la prima, importante scultura pubblica la cui realizzazione è da ricondurre al Lorenzo il Magnifico. Ufficialmente il Verrocchio ricevette l’incarico dall’Arte di Calimala (la corporazione dei mercanti), che l’avrebbe destinata alla sua nicchia nella chiesa di Orsanmichele, ma Lorenzo e suo padre Piero il Gottoso (Firenze, 1416 - 1469), in quanto operai della Mercanzia, con tutta probabilità determinarono la scelta dell’artista, che aveva già lavorato per i Medici (peraltro fu Piero a negoziare, nel 1464, l’acquisto del bronzo necessario alla fusione). Dopo la scomparsa di Piero nel 1469, i lavori furono seguiti da Lorenzo, che nel 1483 poté vedere l’opera completata. Tuttavia il Verrocchio ebbe qualche problema a farsi pagare: sappiamo infatti che nell’anno della sua scomparsa doveva ancora riscuotere duecento fiorini dall’Arte di Calimala.
Verrocchio, Incredulità di san Tommaso (1467-1483; bronzo con dorature, 241 x 140 x 150 cm; Firenze, Museo di Orsanmichele) |
6. Verrocchio, Tomba di Piero e Giovanni de’ Medici
Il monumento che accoglie le spoglie di Piero il Gottoso, padre del Magnifico, e di Giovanni di Cosimo de’ Medici (Firenze, 1421 - 1463), figlio minore di Cosimo il Vecchio (e quindi fratello di Piero e zio di Lorenzo), fu commissionato al Verrocchio poco dopo la scomparsa di Piero e venne terminato nel 1472. La tomba, realizzata in marmo, bronzo, porfido e pietra serena, è un monumento funebre ad arcosolio simile a quelli che erano stati realizzati pochi anni prima da Bernardo Rossellino e Desiderio da Settignano, e rappresenta uno dei capolavori dell’ornato verrocchiesco (si notino le decorazioni in bronzo del sarcofago, con i motivi vegetali che lo avviluppano, le zampe leonine simili a quelle scolpite in marmo da Desiderio nel monumento funebre di Carlo Marsuppini, o le particolari tartarughe che sorreggono lo zoccolo in marmo): la tomba, infatti, è opera “tutta forma e materia”, come l’ha descritta lo storico dell’arte Gabriele Fattorini. Sullo zoccolo, compaiono i nomi di Lorenzo e Giuliano, figli di Piero. L’opera si può ammirare nella Basilica di San Lorenzo.
Verrocchio, Tomba di Giovanni e Piero de’ Medici (1469-1472; marmo, bronzo, porfido e pietra serena, 358 x 601 cm; Firenze, Basilica di San Lorenzo). Ph. Credit Francesco Bini |
7. Verrocchio, Spiritello con pesce (putto col delfino)
Secondo Giorgio Vasari, il famosissimo putto col delfino fu commissionato dal Magnifico per la villa medicea di Careggi, mentre oggi si trova a Palazzo Vecchio a Firenze, ed è stato sottoposto a un accurato restauro in vista della grande mostra dedicata al Verrocchio tenutasi a inizio 2019 a Palazzo Strozzi. “Dotato di un’estrema naturalezza”, ha scritto di recente la storica dell’arte Federica Siddi, “il fanciullo di Palazzo Vecchio, nel suo rapido incedere stringendo lo sfuggente animale acquatico, dà la misura della capacità raggiunta da Verrocchio nell’affrontare le sfide connesse alla rappresentazione di una figura libera nello spazio”. Inoltre, la scultura richiamava la statuaria antica dal momento che le figure infantili abbondavano nella classicità, e il Verrocchio riusciva a infondere a questo genere una vivacità inedita. In origine, l’opera decorava una fontana.
Verrocchio, Tomba di Giovanni e Piero de’ Medici (1469-1472; marmo, bronzo, porfido e pietra serena, 358 x 601 cm; Firenze, Basilica di San Lorenzo) |
8. Antonio del Pollaiolo, Ercole e Anteo
Il bronzetto, alto appena 45 centimetri, è un piccolo capolavoro di Antonio del Pollaiolo (Firenze, 1431 circa - 1498) e raffigura una delle dodici fatiche di Ercole, l’uccisione del gigante Anteo nel deserto della Libia. Secondo il mito, Anteo riceveva forza dalla terra (sua madre era Gea, dea della terra), e per avere la meglio su di lui Ercole fu costretto pertanto a lottare tenendolo sollevato dal terreno. Antonio del Pollaiolo raffigura Ercole proprio nel momento in cui tiene Anteo sollevato per aria stringendolo a sé. La scultura incarna bene la visione della classicità secondo il Magnifico: il mito antico viene quindi riletto in virtù del suo significato allegorico (Ercole era diventato una sorta di simbolo della virtù capace di dominare il vizio). Ercole, ha scritto Gioia Mori, “era infatti interpretato come incarnazione dell’ideale positivo della virtù e del coraggio che annienta la bestia, simbolo del male, del vizio e della forza bruta. Secondo l’esegesi cristiana accolta dalle dottrine neoplatoniche Ercole era, inoltre, figura di Cristo”. Dal punto di vista formale, il potentissimo movimento delle due figure era un qualcosa che non s’era mai visto nel Rinascimento.
Antonio del Pollaiolo, Ercole e Anteo (1475 circa; bronzo, altezza 45 cm; Firenze, Museo Nazionale del Bargello) |
9. Michelangelo, Battaglia dei centauri
Capolavoro giovanile eseguito per il Magnifico, nel Giardino di San Marco, da un Michelangelo poco più che quindicenne ma il cui talento era già stato ben intuito da Lorenzo, il rilievo raffigura la lotta tra i centauri e i Lapiti: secondo Ascanio Condivi, primo biografo di Michelangelo, il tema sarebbe stato suggerito da Agnolo Poliziano, poeta della corte laurenziana e grande amico del Magnifico. L’opera raffigura la zuffa che scoppiò tra i centauri e i lapiti nel corso dei festeggiamenti per il matrimonio della principessa Ippodamia, che andava in sposa al figlio del re dei lapiti (che nella zuffa con i centauri, ubriachi, ebbero la meglio). Si tratta di un’opera che esemplifica la battaglia tra la ragione e l’istinto, e trova dunque un’interpretazione allegorica che ben s’accorda alla filosofia neoplatonica che animava la cultura fiorentina del tempo. Il rilievo, originalissimo per il modo in cui Michelangelo tratta lo spazio (le figure si dispongono su piani molteplici) è in uno stato d’incompiutezza: si suppone che Michelangelo abbia interrotto il lavoro quando Lorenzo scomparve nel 1492.
Michelangelo, Battaglia dei centauri (1490-1492; marmo, 80,5 x 88 cm; Firenze, Casa Buonarroti). Ph. Credit Francesco Bini |
10. Sandro Botticelli, Storie di Nastagio degli Onesti
I quattro pannelli che decoravano un cassone nuziale (tre si trovano al Prado di Madrid, mentre uno è a Firenze, a Palazzo Pucci) furono commissionati a Sandro Botticelli (Firenze, 1445 - 1510) con tutta probabilità dal Magnifico che intendeva fare un regalo di matrimonio a Giannozzo Pucci in occasione del suo sposalizio con Lucrezia Bini celebratosi nel 1483. I pannelli sono rimasti tutti assieme a Palazzo Pucci fino a metà Ottocento. L’opera narra la storia di Nastagio degli Onesti raccontata da Giovanni Boccaccio nel Decameron: Nastagio era un nobile di Ravenna che voleva sposare una donna che, al contrario, non intendeva cedergli. Nastagio, deluso per il rifiuto, dopo aver meditato il suicidio decise di lasciare Ravenna: nella pineta di Classe, poco lontano dalla città, gli apparve il fantasma di un cavaliere che inseguiva una donna nuda. Alla fine della corsa, la donna veniva sbranata dai cani del cavaliere: questi, raggiunto Nastagio, gli aveva confessato che quella era la sua pena per essersi suicidato a causa del rifiuto di una donna, e i due erano stati quindi condannati a ripetere tutti i venerdì quella terribile scena. Nastagio decise dunque di organizzare un banchetto per il venerdì successivo, invitando la sua amata, che dopo aver assistito alla condanna del cavaliere e della donna che lo aveva rifiutato, decise di non respingere più Nastagio.
Sandro Botticelli, Nastagio degli Onesti, quarto episodio (1483; tempera su tavola, 83 x 142 cm; Firenze, Palazzo Pucci) |