Correggio, pittore della naturalezza


Il Correggio (Antonio Allegri; Correggio, 1489 - 1534) è stato uno dei più grandi pittori del Rinascimento: ma quali sono i motivi della sua grandezza, che lo rendono un artista unico e imprescindibile per le epoche successive? Lo vediamo in questo articolo.

Non è facile parlare di Correggio in quest’epoca dove siamo abituati ad emozioni forti, ad azioni concitate, a netti contrasti, apprezziamo solo ciò che ci eccita violentemente. Questa nostra indole, a cui si unisce il fatto che l’Allegri non ha lavorato in un grande centro dell’arte italiana, forse è il motivo per cui l’opera del Correggio non trova così grande fama presso il vasto pubblico. I suoi sentimenti delicati, la sua gioia incondizionata, l’atmosfera di serena pacatezza che invariabilmente permea le sue creazioni fanno fatica a raggiungere il nostro animo, abituato a ben altre energie, accelerazioni, impressioni, e da queste forse in ultima analisi un po’ indurito. Ma il Correggio fu uno dei più grandi geni artistici di tutti i tempi, come ebbe a definirlo Federico Zeri1. La sua carriera inizia in sordina, in provincia, presso la bottega di un modesto pittore, Francesco Bianchi Ferrari, la cui influenza si avverte solo nella espressività del suo primo disegno conosciuto (figg. 1,2 ). In ogni caso i suoi esordî esulano dalla appartenenza alle grandi scuole artistiche del suo tempo, ma in lui cresce via via con urgenza la voglia di apprendere, anche in autonomia, le conquiste pittoriche e gli avanzamenti che gli fiorivano tutt’attorno, nel pieno del Rinascimento.

Nei suoi dipinti giovanili si fanno ben evidenti gli influssi, e di conseguenza lo studio, delle opere dei più grandi artisti contemporanei, prima quelli posti nelle vicinanze, Mantegna, i ferraresi, Leonardo e poi da ultimi Michelangelo e Raffaello, la cui conoscenza deve essere arrivata attraverso l’ ineludibile viaggio a Roma. Uno “studioso corso” di aggiornamento sulle innovazioni pittoriche del suo periodo, che lo accomuna a tanti altri artisti della sua epoca. Ma poi in seguito accadrà qualcosa di inspiegabile: a partire dai tempi del suo soggiorno a Parma, Correggio sviluppa un modello di arte totalmente nuovo, che non si può definire più figlio di nessuno dei maestri precedenti, non è più possibile rintracciare al suo interno l’influsso dell’uno o dell’altro, questa nuovo paradigma fu totalmente proprio e personale, creato solo dal suo genio pittorico : “Un miracol d’arte senza esempio”. Le invenzioni dei grandi maestri che alimentavano i suoi esercizî nei timidi inizi giovanili vengono assorbite, assimilate e poi annichilite, dalla esplosione della prorompente personalità della sua innovazione pittorica , nella cupola del Duomo si realizza quasi un punto zero che fa tabula rasa per ripartire attraverso qualcosa di radicalmente differente da quanto sviluppato in precedenza nel campo dell’arte. Dopo questo fondamentale punto di svolta nessuno degli elementi canonici della composizione pittorica rimarrà più uguale a prima : luce, colore, movimento ed azione, forme ed andamento lineare del disegno, maniera di esprimere i sentimenti, concezione dello spazio, ne verranno completamente trasformati. Ma se ci si limitasse a questo potremmo definire Correggio come uno di quei geni individuali e straordinarî che condussero una carriera isolata e che in molti casi hanno costellato la nostra pittura. Invece tutte le innovazioni di Correggio furono destinate a cambiare il corso dell’arte per almeno i tre secoli successivi, cioè almeno fino a Tiepolo, sebbene gli influssi dei suoi modelli si avvertano perfino in Courbet. Le sue invenzioni alimentarono tutta l’arte barocca: Annibale Carracci, Bernini, Lanfranco, Rubens, attinsero da lui, e da queste gangli fondamentali la linfa di Correggio passò nell’arte di tutti gli altri, tutto il Settecento anche internazionale sarà debitore delle sue conquiste pittoriche2. Non vi fu pittore che in seguito, non prenderà esempio dalla sua pittura “senza esempio”, che nel suo sviluppo non ebbe altri modelli di riferimento che il suo genio individuale, dato che per di più lavorava nel contesto di una piccola città di provincia, slegata dalle tendenze e dalle ricerche delle grandi metropoli. E questo in un certo senso fu anche un bene, la sua condizione lo mise al riparo dal pericolo dell’omologazione, in un estremo lembo, ai margini dell’Italia “che conta”, senza nessuna luce ad illuminargli la strada, lui in solitaria spinge l’acceleratore in una direzione solo a conosciuta : “un uomo solo al comando”, egli così illuminerà il cammino di quelli che verranno dopo di lui.

Francesco Bianchi Ferrari, Crocefissione, dettaglio (olio su tavola, 42 x 27 cm; Cremona, Pinacoteca Civica)
1. Francesco Bianchi Ferrari, Crocefissione, dettaglio (olio su tavola, 42 x 27 cm; Cremona, Pinacoteca Civica)


Correggio, Maddalena, dal cartone per la Deposizione della cappella Mantegna in Sant'Andrea a Mantova (1509-1511 circa; carboncino, gessetto nero e gessetto bianco su due fogli di carta incollata, 321 x 225 mm; New York, The Pierpont Morgan Library)
2. Correggio, Maddalena, dal cartone per la Deposizione della cappella Mantegna in Sant’Andrea a Mantova (1509-1511 circa; carboncino, gessetto nero e gessetto bianco su due fogli di carta incollata, 321 x 225 mm; New York, The Pierpont Morgan Library)

Una nuova idea di spazio

Perché Correggio fu così tanto amato dai pittori? In primo luogo possiamo pensare per la radicale novità della sua idea di spazio: Correggio è il primo pittore che che trasforma compiutamente la prospettiva “bidimensionale” e terrestre dei fiorentini in una prospettiva “tridimensionale” e celeste. Se pensiamo poi a quanto sia già difficile sistemare razionalmente le figure sullo spazio piano di una parete evitando la distorsione per chi guarda dal basso, immaginiamo quanto fu più complesso il calcolo delle dimensioni delle varie parti, per ottenere l’effetto voluto nello spazio curvo di una volta. Considerando inoltre che le cupole che Correggio aveva a disposizione non erano delle semisfere come si può pensare, ma in realtà una (San Giovanni) aveva i lati diseguali e cioè la forma di una vasca, e l’altra (Il Duomo) era ottagonale e cioè fatta a spicchi. In queste opere, così come anche nei dipinti, Correggio per dare l’apparenza dello spazio rifiuta di ricorrere ad espedienti lineari-prospettici, che hanno caratterizzato le prove dei suoi predecessori. Pensiamo a Michelangelo: nel Giudizio si assiste ad una disposizione ordinata ed equilibrata delle masse a cui a cui si sovrappone una suddivisione logica dell’umanità dal basso verso l’alto. Quando dipinge la volta della cappella Sistina poi, organizza lo spazio a disposizione ancora in maniera ordinata e geometrica seguendo un filo che scandisce gli eventi secondo una successione cronologica, le scene sono dipinte come fossero dei riquadri riportati sul soffitto, e questo fa emergere ancora di più come il luogo della sua rappresentazione sia sempre quello della prospettiva terrestre, cioè le figure sono poste su di un piano parallelo alla linea intuitiva dell’orizzonte verso la quale inesorabilmente le loro linee confluiscono.

Lo stesso principio prospettico viene applicato da Raffaello sulle pareti del Vaticano, dove le figure sono sistemate in uno spazio purissimo, perfettamente calcolabile, che il più delle volte fa perno sul classico punto di fuga centrale, e questo non deve affatto stupire dato che Raffaello proviene dalla capitale del rinascimento matematico, e cioè Urbino. La scena più complessa è quella della Disputa, che è ancora una volta organizzata secondo il principio della prospettiva terrestre, che però in questo caso viene suddivisa in più livelli, posti frontalmente rispetto l’osservatore: un’idea che avrà un certo seguito e che ritroviamo nella cupola del Duomo di Firenze, nel Paradiso di Tintoretto e nella Gloria dell’Escorial, dove Luca Cambiaso raggiunge il suo massimo livello di astrazione, solo colore puro, superfici e volumi. Nelle volte si ripete il tipo di impostazione che abbiamo già potuto apprezzare in Michelangelo, mentre nella Farnesina sperimenta il vero e proprio tromp l’oeil, come fossero delle tele riportate. Ad ogni modo per entrambi questi maestri le figure sono appoggiate saldamente sopra il terreno che calcano e sono statiche, proprio in ossequio a quel principio della gravità dal quale la mente dei loro artefici non riesce ad allontanarsi, anche se sono dipinte sul soffitto chi le guarda deve immaginarle come se stesse guardando una parete, altrimenti inesorabilmente le figure cadrebbero sopra l’osservatore.

Da ultimo veniamo a Leonardo, che come sappiamo non ha dipinto molto, l’ultima cena, il suo capolavoro, offre uno spazio rigidamente determinato sulla base del punto di fuga ideale che le pareti lasciano intuire. A lui si deve però la definizione della prospettiva aerea, che a causa dell’interposizione di strati di aria, prevede una progressiva modifica dei toni, e dei colori degli oggetti in funzione dell’allontanarsi dal primo piano.

Questa probabilmente ebbe una certa influenza sull’Allegri, che questo a scopo utilizza una complessa e studiata combinazione di luce, colore, rapporti proporzionali e soprattutto movimento: il cinetismo degli arti delle sue figure frammenta la rigidità geometrica delle linee dello spazio ideale, in una quantità illimitata di punti di fuga, che la mente non riesce più a ricostruire e a ridurre ad una logica di tipo sintetico, come avviene del resto anche in natura. I personaggi di Correggio sono finalmente slegati dalla costrizione della gravità, il legame assolutamente necessario al concetto della prospettiva terrestre, essi sono perfettamente padroni dello spazio tridimensionale in cui vivono e del tutto liberi di volteggiare felici in esso, quasi acrobati, come si vede nella bellissima posa dell’angelo di schiena di sottinsù nella volta del Duomo. Le figure di questo affresco avvolte in un vortice eccentrico, sono state poste secondo un principio di prospettiva celeste, cioè organizzate secondo un punto di fuga perpendicolare all’orizzonte, coerentemente con il loro movimento ascensionale che ora funge da legante in luogo del principio di gravità, inoltre sono aggettanti rispetto al punto di vista di un osservatore dal basso, in altre parole si muovono anche perpendicolarmente rispetto al piano su cui sono dipinte: questo aumenta l’effetto illusionistico di penetrazione nello spazio, a questa maniera le figure si distaccano chiaramente dalla superficie dipinta ed appaiono nella propria completa tridimensionalità, se non fossero state poste in scorcio si sarebbe corso il rischio percettivo di vederle cadere sopra la testa di chi guarda, è un accorgimento straordinario utilizzato da Correggio per neutralizzare il senso di incombenza caratteristico della superficie curva che aveva a disposizione, il suo genio è capace di trasformare anche questo limite in un pregio. Nella cupola del duomo (fig. 3) Correggio arriva a concepire un’idea di spazio di una complessità che non era mai stata prima nemmeno immaginata né tanto meno realizzata: ora possiamo capire quali furono i pensieri di Tiziano, quando disse che nemmeno il volume della cupola riempito d’oro sarebbe stato un prezzo sufficiente a quantificare il suo valore. Lanfranco, che fra tutti in questo senso fu il suo erede più diretto, gli si avvicina nella cupola di Sant’Andrea della Valle a Roma, che riesce sì ad organizzare come un vortice ascensionale, ma le sue figure sono alla fine sedute sulle nubi che le tengono legate, non riescono a staccarsi dalle pareti a cui rimangono incollate, alla fine bisogna concludere che nessuno riesce a liberarsi dai vincoli della gravità,neppure nella mente, solo Correggio sa “volare “.

La forma della cupola è perfettamente percepibile con la sua forma concreta, lo spazio immaginario concepito dal Lanfranco, e le sue idee si devono alla fine adattare al limite strutturale e non viceversa come accade nel Correggio: sparisce quella assoluta libertà di movimento che scioglie le figure da qualsiasi legame e le rende così felici, bisognerà attendere altri cinquant’anni ed arrivare a padre Pozzo per rivedere qualcosa di paragonabile alla ineffabile festa dipinta dall’Allegri. Lo spazio di Correggio non ha l’aspetto di uno spazio razionale bensì naturale, registra e riflette ciò che avviene nella realtà, non ciò che avviene nella perfezione ideale della mente. Quando affronta la descrizione di una scena, non parte da una costruzione immaginaria che prevede secondo logica che tutti gli attori vi siano integralmente inclusi: il Correggio, per dare la massima impressione di verosimiglianza all’azione, non inserisce perfettamente tutti gli elementi, che in parte vengono tagliati, limitando volontariamente ed arbitrariamente il campo della inquadratura, così come è limitato nella realtà il campo visivo dell’uomo, in altre parole compone il riquadro, come se lui stesse riprendendo una scena dal vivo, in una maniera che è assolutamente innovativa. Non si tratta quindi della messa in scena di una rappresentazione, al contrario vuole dare l’ impressione di ritrarre una azione che si sta svolgendo proprio davanti ai suoi occhi, anche se alla nostra mente il quadro complessivo può apparire per certi versi disequilibrato. Questo intento appare con tutta evidenza nel martirio dei quattro santi (fig. 4), dove solo due sono posti al centro della scena, gli altri due si intravedono appena sulla destra, come memoria di una azione appena avvenuta, il cosciente sforzo nella direzione che abbiamo appena descritto si comprende dal confronto con la prima idea del disegno preparatorio (fig. 5), dove tutti e quattro i santi sono posti in maniera canonica e simmetrica al centro. Anche la scala delle figure cambia, ora occupano tutta la scena, il taglio si fa più ravvicinato, diretto, urgente.

Correggio, Assunzione della Vergine (1522-1530; affreschi; Parma, Duomo)
3. Correggio, Assunzione della Vergine (1522-1530; affreschi; Parma, Duomo)


Correggio, Martirio di quattro santi (1523 circa; olio su tela, 157 x 182 cm; Parma, Galleria Nazionale)
4. Correggio, Martirio di quattro santi (1523 circa; olio su tela, 157 x 182 cm; Parma, Galleria Nazionale)


Correggio, Studio preparatorio per il Martirio di quattro santi
5. Correggio, Studio preparatorio per il Martirio di quattro santi (1523 circa; matita rossa e rialzi a bianca, 215 x 305 mm; Parigi, Louvre)

La naturalezza e il sentimento

La naturalezza è il principio cardine che Correggio sceglie di adottare, che lo guida in tutte le decisioni: egli riproduce esattamente quello che vede, anche nello studio della luce, di cui fu uno dei più grandi innovatori,vi ricordate di avere mai visto un cielo completamente bianco come quello della deposizione del museo di Correggio? Eppure se ci fate caso il cielo in inverno è quasi sempre bianco, soprattutto al mattino, come si vede anche nello splendido incresparsi del chiarore nel Noli me tangere. Le tenebre sono invece le protagoniste dell’eclissi nel compianto sul Cristo, così come la luce che adesso è appena scomparsa con la sua morte, risplendeva fra di esse alla sua nascita, nello stupendo notturno crepuscolare della “notte”, uno dei primi esperimenti dell’arte italiana in questa direzione. La luce dorata di un meriggio estivo invade il suo contraltare, “il giorno” (fig. 6), quella stessa luce calda, armoniosa, felice che pervade le sue cupole. Correggio è pienamente padrone di tutte le sfumature dell’atmosfera, di cui riesce a rendere anche l’inafferrabile leggerezza della nebbia, non a caso accoppiata alle morbide carni della ninfa negli amori (fig. 7), ma non è solo l’atmosfera della natura a destare il suo interesse, quanto piuttosto quella che è sprigionata dalla delicatezza dei sentimenti umani. Questo è l’altro campo dove Correggio compie una radicale innovazione, egli affina una capacità mai più raggiunta di esprimere le emozioni, che sono sempre il centro focale della sua narrazione. La serenità, la dolcezza sono la melodia a cui si accordano tutti i protagonisti delle sue opere, che sempre manifestano apertamente la loro sfera affettiva, creando quella sensazione di comprensione e partecipazione reciproca che sfocia nell’armonia generale che contraddistingue ogni suo dipinto. Correggio ancora una volta non sceglie di rappresentare le altezze della mente razionale dell’uomo, ma il sentire del suo cuore, compiendo anche in questo senso una svolta radicale e facendola compiere a tutta la storia dell’arte, tenendo conto di quanto le emozioni ed anche la sensualità furono al centro della scena nell’epoca barocca. L’amore, la dolcezza sono sempre le protagoniste del suo racconto, anche quando l’azione si fa tragica il pathos è composto, sul volto dei suoi martiri non vi è alcun accenno di dolore ma piuttosto di beatitudine, spiegabile solo con la certezza della Speranza per coloro che sono guidati dallo Spirito nella loro corsa verso una meta ultraterrena. Correggio possedeva pienamente il senso del Divino, che dimostra con una gioia incessante, ininterrotta, e slegata dagli accadimenti terreni, “tutto coopera al bene di coloro che amano Dio”.

Il movimento

La rappresentazione del movimento è l’altro grande campo dove Correggio opera una radicale innovazione, non esiste un suo quadro del periodo maturo dove al centro non vi sia l’azione, e questa assieme al sentimento non crei un legame tra i suoi personaggi, così come non esiste in natura una scena dove non vi sia movimento, la realtà è ancora una volta la sua guida. Questo è anche l’espediente che egli utilizza per coordinare le figure all’interno di un dipinto e dare così anche una struttura armonica allo spazio, una cosa che diventa particolarmente evidente nella cupola del Duomo, la più strabiliante concertazione di movimenti che sia mai esistita. I suoi panneggi suddivisi in mille morbide sfaccettature, sfogliati in pieghe sempre più complesse, sono la conseguenza più diretta del movimento continuo che le anima, una perenne attività agente che nelle sue ultime opere si trasformerà sempre di più in vento, svolazzi di panni che preannunciano il gusto barocco che sarà lì a venire. Questa nuova concezione è del tutto inconciliabile con la ricerca dell’equilibrio classico, che sempre vagheggia l’armonia misurata di Policleto, così tipica del rinascimento. Vi è un solo centro culturale che, in epoca rinascimentale, si avventura in una direzione diversa da quella degli altri: si tratta di Ferrara, e questo avviene per l’opera di due artisti fondamentali che sono Niccolò dell’Arca ed Ercole de’ Roberti, il loro genio si rivela pienamente nel Compianto sul Cristo morto, a Bologna, e nella predella del polittico Griffoni, emozioni e movimento sono i due capisaldi della loro arte, che diventeranno anche i capisaldi dell’arte futura. È questa intuizione che probabilmente spinse Roberto Longhi a scrivere: “Per merito di Ercole, Ferrara siede, verso l’ultimo decennio del secolo, più alto che qualunque altro punto d’Italia; e, per forza di Ferrara, Ercole conquista una posizione così personale da non trovare a quei tempi, altro paragone di valore che in Leonardo”3.

Correggio è un pittore che rappresenta più quello che vede che quello che immagina, più quello che sente che quello che pensa, o almeno questa è l’illusione che vuole creare. Infatti, se guardando le qualità dei suoi quadri, a questo punto ci fossimo fatti l’idea di un pittore tutto intuizione e sentimento, saremmo molto lontani dalla verità. Le sue facoltà razionali, le sue conoscenze tecniche, la sua perizia nell’apprendere attraverso uno studio incessante furono di altissimo livello e raffinatissime. A partire dalla sua capacità di analizzare e studiare i problemi prospettici, di effettuare le misurazioni necessarie tramite strumenti tecnici, di disporre le figure delle cupole, in modo da evitare le distorsioni ottiche derivanti dalla visione di una superficie curva, ed in funzione della orientazione astronomica, per la quale Geraldine Wind ha dimostrato che si è servito dell’astrolabio4. Immaginate la difficoltà di trasformare un’idea che forzatamente viene pensata e disegnata su uno spazio piano ed adattarla ad una superficie curva, come la quadrettatura suddivisa per segmenti in funzione dello spazio sferico dimostrano nel disegno conservato a Francoforte (fig. 8). Correggio nella sommità della cupola si propone lo scopo di raffigurare un insieme armonico di masse che deve essere visibile dal basso senza distorsioni, e ancora una volta sceglie di non ricorrere all’utilizzo di disposizioni razionali, geometriche e visibilmente artificiali come i suoi predecessori: a questo scopo egli utilizza l’espediente di organizzare una successione ininterrotta di movimenti che si proiettano verso l’alto in un moto ascensionale ed apparentemente casuale. Partendo da questa idea risolve il problema progettando fin dalle fasi iniziali la teoria delle figure già in una prospettiva adatta per una punto di vista dal basso, ed anche in funzione di uno spazio curvo, come il cerchio sulla parte alta del disegno di Francoforte, ed il disegno di Windsor stanno a dimostrare, ed inoltre non tenendo in nessun conto la ripartizione a spicchi della cupola, come avviene invece nella parte bassa dove appoggiano le figure degli apostoli: le due segmentazioni della quadrettatura del foglio di Francoforte infatti non coincidono con gli spicchi.

In questa maniera risolve il problema di riuscire a dare allo spazio la forma da lui immaginata, nascondendo alla vista le forme della cupola che scompaiono completamente, nascoste dal vortice della sua capacità illusionistica: il suo disegno dello spazio è completamente slegato dalla struttura su cui è dipinto, e su di essa si impone totalmente, liberandosi dalle sue costrizioni. Prima di arrivare a questo apice, a questo punto di svolta, Correggio diede prova di grandissima abilità anche nell’organizzazione della rappresentazione in maniera razionale, come avvenne nel suo primo affresco parmense, quello della camera di San Paolo (fig. 9). Anche questo caso si trova ad affrontare ad una cupola fatta a segmenti triangolari, ma nel suo primo esercizio sul tema il Correggio decide di integrarne la struttura nel suo disegno, mentre per la disposizione logica degli elementi sceglierà di organizzarli secondo la distribuzione prevista dal quadrato dei sillogismi Aristotelico, normalmente utilizzato nelle discipline della logica e retorica. A questo proposito giova segnalare come Lina Bolzoni5 rilevi la singolare coincidenza delle immagini contenute nella camera della badessa, con quelle relative al teatro di Giulio Camillo. Giulio Camillo Delminio fu un erudito molto famoso nella sua epoca, fu insegnante di retorica ed anche uno dei più importanti studiosi di arte combinatoria del rinascimento, come ben documentato da Frances Yates, ed intuito da Gombrich6. Le notizie sulla sua vita sono piuttosto frammentarie, ma sappiamo che fu legato da rapporti di sincera amicizia con Veronica Gambara, la patrona dell’Allegri, da uno scambio di sonetti avvenuto fra i due7.

Nella camera emerge anche tutta l’attenzione che Correggio riponeva nello studio delle iconografie antiche, di cui trascrive i modelli con precisione nelle sue lunette, riprendendo le immagini da monete romane e medaglie. Ma le sue conoscenze dell’antico non si limitano ovviamente solo a questi particolari minuti, che pure evidenziano la accuratezza quasi maniacale della sua mente indagatrice, ma si devono estendere anche ai modelli della statuaria classica come correttamente analizzato nello studio di Marcin Fabianski Le mitologie d’ amore. Lo stesso grado di cura lo si ritrova nella definizione dell’abbigliamento del sacerdote, e negli oggetti presenti nel trionfo di Davide, che riflettono con estrema attenzione le descrizioni contenute nei passi biblici. Molto complesso ed estremamente approfondito è anche il progetto iconologico della abbazia di San Giovanni con quel singolare intreccio tra iconografia cristiana e pagana che allora era considerato usuale. Non possiamo certo pensare che Correggio abbia progettato tutti questi programmi così elaborati, ma sicuramente ebbe modo di assorbire la cultura degli eruditi che li immaginarono, tenendo conto poi di quanto i suoi dipinti nel concreto furono fedeli ai testi. Da tutto questo comprendiamo che Correggio fu un pittore molto attento, molto scrupoloso, e colpisce il fatto che nel pieno del mondo ideale del rinascimento egli si attenga invece al principio della realtà, della rappresentazione della verità, non improvvisa, ma piuttosto studia prima di raffigurare, ed in questo dimostra qualcosa dello spirito scientifico che verrà. Quello stesso spirito che vediamo nell’accurata descrizione dei dettagli botanici presenti nelle sue opere, un tipo di ricerca che si affianca a quella di Leonardo e Raffaello. Ma il suo studio non si limita al campo del “sapere”: si applica anche al campo del “fare”, nella tecnica dei materiali. Correggio lavora in un’epoca di passaggio dal dipinto su tavola a quello su tela, e in un periodo in cui si si assiste alla conseguente trasformazione della struttura del supporto per il colore, “il letto”, che si può distinguere in due strati, la preparazione, che è a contatto con la tela, al di sopra della quale viene stesa l’imprimitura che è contatto col pigmento. Anche in questo campo Correggio fece parte dell’avanguardia, infatti fu uno dei più importanti sperimentatori nella formulazione delle prime preparazioni a base di terre e biacca e nell’utilizzo delle imprimiture colorate a zone, in questo campo l’unico con cui si può fare un confronto fu Raffaello8.

Se poi analizziamo la straordinaria evoluzione della sua maniera di dipingere, non possiamo che rimanere stupiti, i suoi esordi sono caratterizzati da una stesura delicata, sottile ed attenta, quasi da miniaturista, che si ben distingue nella primizia del Matrimonio mistico di santa Caterina di Washington (fig. 10), mentre i suoi approdi giungono ad una pennellata grassa, libera ed impetuosa che sono la particolarità più evidente del Cristo dell’Apocalisse dei musei Vaticani. Un dipinto che non a caso per lungo tempo è stato ritenuto una copia di ambito carraccesco proprio a causa di questa sua maniera di stendere il colore già pienamente seicentesca: solo recentemente le analisi scientifiche e gli studi storici hanno potuto dimostrare che si trattava dell’originale.

Correggio, Madonna di san Girolamo detta Il Giorno (1526-1528; olio su tavola, 205 x 141 cm; Parma, Galleria Nazionale)
6. Correggio, Madonna di san Girolamo detta Il Giorno (1526-1528; olio su tavola, 205 x 141 cm; Parma, Galleria Nazionale)


Correggio, Giove e Io (1531-1532; olio su tela, 163 x 74 cm; Vienna, Kunsthistorisches Museum)
7. Correggio, Giove e Io (1531-1532; olio su tela, 163 x 74 cm; Vienna, Kunsthistorisches Museum)


Correggio, Studio preparatorio per l'Assunzione
8. Correggio, Studio preparatorio per l’Assunzione (matita rossa, 260 x 357 mm; Francoforte, Städelsches Kunsinstitute)


Correggio, Volta della Camera di San Paolo (1518-1519; affreschi; Parma, Camera di San Paolo)
9. Correggio, Volta della Camera di San Paolo (1518-1519; affreschi; Parma, Camera di San Paolo)


Correggio, Matrimonio mistico di santa Caterina (1510-1511; tavola, 27,8 x 21,3 cm; Washington, National Gallery of Art)
10. Correggio, Matrimonio mistico di santa Caterina (1510-1511; tavola, 27,8 x 21,3 cm; Washington, National Gallery of Art)

Alla luce di questa ulteriore testimonianza si deve giungere alla inevitabile conclusione che Correggio, pur mantenendosi saldo a quell’equilibrio che contraddistingue il rinascimento era già barocco, o per meglio dire, il suo genio apre un cammino della pittura che si interrompe con la sua morte e viene da questa ripreso solo cinquant’anni dopo. L’assimilazione delle sue invenzioni da parte dell’epoca barocca accadde in tutti i sensi: nel concetto dello spazio, nella attenzione ai sentimenti, nella sensualità, nella morbidezza delle forme, nella resa delle carni, nella attenzione al movimento, ed anche ora lo sappiamo, nella stesura pittorica.

Questo fu Correggio per la pittura, un innovatore senza pari.

Certo non è facile parlare di Correggio in quest’epoca assetata di emozioni forti, come diceva Bernard Berenson: “Gli uomini non desiderano la felicità, gli uomini desiderano di vivere, aspirano a una certa violenza di sensazioni, ad un misto di dolore e di bene e per questo perdono senza rimorso la pace dell’animo”9. Ma quando le emozioni e l’avventura sono finite di questi fuochi dell’animo cosa rimane? Solo cenere che si perde in un soffio, nessuna maturazione, nessuna profondità, nessun miglioramento. Al contrario, chi di noi in realtà non vorrebbe avere al proprio fianco tutti i giorni persone dotate di quella natura descritta dall’Allegri, dotate di comprensione, gentilezza, umanità, semplicità, e potendo, non vorrebbe vivere immerso in un ambiente permeato da quella atmosfera di serena affettività che egli miracolosamente riesce a rappresentare?

Certo non è facile comprendere Correggio per noi che quel suo mondo non siamo mai riusciti a realizzarlo, e ora vi siamo talmente lontani da non avere più nemmeno la capacità di immaginarlo. Ma solo quell’universo di corrispondenze umane e comprensione che Correggio descrive è in grado di lasciarci un ricordo duraturo ed in un certo senso renderci persone migliori. La nostra memoria non è fatta di brividi ed emozioni effimere, ma di una costellazione di relazioni personali, a cui Correggio per primo seppe prestare attenzione e così bene rappresentare. Non ci rimane che poco da aggiungere per concludere, non ci rimane che esprimere il desiderio che il Correggio sia stato profetico anche in questo.

Note

1 Federico Zeri, Un velo di silenzio, Bur, 2003, pp.102-110
2 Maddalena Spagnolo, Correggio Geografia e storia della Fortuna, Silvana Editoriale, 2005
3 Roberto Longhi, Officina Ferrarese, Firenze, Sansoni, 1975, p. 61
4 Geraldine Wind, Correggio l’eroe della Cupola, Silvana Editoriale, 2002
5 Lina Bolzoni, L’idea del theatro, Adelphi Edizioni, 2015, p. 31
6 Frances Yates, L’arte della memoria, Giulio Einaudi Editore, 1993, pp. XXX, e 121-159
7 Gabriele Cingolani, Su uno uno scambio di sonetti fra Giulio Camillo e Veronica Gambara in Il Petrarchismo. Un modello di poesia per l’Europa, vol. II, Bulzoni Editore, 2007. Gulio Camillo è certamente documentato nei territori tra Reggio e Bologna nel 1521 dove insegnava retorica (Treccani ad vocem)
8 Ringrazio Claudio Rossi De Gasperis che mi ha fornito queste preziose indicazioni tecniche
9 Umberto Morra, Colloqui con Berenson, Garzanti,1963, pag. 149

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