C’è tutta l’essenza del Natale, inteso come nascita, nella Madonna in adorazione del Bambino di Antonio Allegri, detto il Correggio (Correggio, 1489 circa – 1534) dal suo paese d’origine nella bassa reggiana. Una scena intima e raccolta ma allo stesso tempo straordinariamente viva e comunicativa che diventa simbolo universale di tutti i luoghi e di tutti i tempi: bastano gli sguardi e i gesti tra i due soli protagonisti del dipinto per comprendere l’amore reciproco che scorre tra loro. Quello di una mamma che ha appena dato alla luce il suo bambino, e quello di un bambino che dopo aver sentito solo la voce della sua mamma la può finalmente vedere con i suoi occhietti e sentire il calore di un suo abbraccio. Non occorrono parole perché l’intenso sguardo che si scambiano parla da sé; c’è una magia silenziosa che pervade l’intera opera. Un dialogo muto e tenero che sembra espandersi oltre i confini della tela. E così l’osservatore diventa parte di quel momento: il miracolo della Natività non è più distante nel tempo, ma accade qui, davanti ai suoi occhi.
Il pittore sceglie di mettere al centro della scena solo la Madonna inginocchiata di fronte al Bambino; nessun altro personaggio intorno a loro, né angeli né pastori, neanche san Giuseppe. Tutta l’attenzione è focalizzata unicamente sul rapporto tra madre e figlio, sui loro primi momenti insieme, sul miracolo della vita che si compie ogni volta che nasce un bambino, sulla gioia del lieto evento.
È un dipinto che pulsa di intimità e di spiritualità, ma anche di immensa umanità. È una scena sacra che rappresenta tuttavia ciò che di più umano non può esistere e che perciò si può accostare a tutte le madri del mondo. La bellezza di questa Adorazione sta nella capacità del Correggio di aver saputo fondere l’umano e il trascendente, con una delicatezza che solo i grandi maestri possiedono. Nell’atmosfera rarefatta di un’alba, la Madonna giovane e radiosa si inginocchia davanti al figlio appena nato, contemplandolo con infinita tenerezza. Il suo volto dolce e assorto abbozza un leggero sorriso, e anche gli occhi, di cui si vedono solo le palpebre, sorridono. I capelli raccolti sotto il lungo mantello. Le mani aperte davanti al suo viso in posizione adorante indicano stupore e meraviglia. Il Bambino nudo, adagiato su un panno bianco che gli fa da lettino con paglia dorata distesa su un lembo del manto blu di Maria, guarda con occhietti ben aperti la sua mamma e intanto solleva la manina in un gesto tipico dei neonati, per cercare di afferrare la veste materna. Un semplice dettaglio, tenero e quotidiano, che rivela ancora una volta l’intimo legame tra i due. La figura della Madonna è quella di una madre terrena che, in un’atmosfera di sospensione, come se il tempo stesso si fosse fermato, diventa emblema dello stupore del mondo di fronte a questa nascita miracolosa. Ed è per questo che il pittore riesce con due sole figure e con pochi gesti essenziali a racchiudere l’essenza di un momento sacro ma contemporaneamente tangibile e umano, nonché a coinvolgere l’osservatore nell’Adorazione del Bambino. La pittura del Correggio si basa infatti sulla rappresentazione della tenerezza degli affetti, come è ben visibile in questo dipinto, ma anche sui modi spontanei con cui questi vengono rappresentati.
A colpire l’osservatore sono inoltre i colori vivi e brillanti della veste e del mantello di Maria, in particolare il blu del manto, simbolo di purezza e di regalità, che contrasta con il candore della pelle sia della Madonna che del Bambino. La vividezza è ulteriormente accentuata dalla luce che si espande dall’alto sui due personaggi: una luce che non solo pervade il centro della composizione, ma che conduce anche lo sguardo dell’osservatore dal viso sereno della Madonna al piccolo corpo del Bambino. Ma in realtà le fonti di luce sono due: quella divina e quella dell’alba che illumina il paesaggio sullo sfondo. Si crea dunque un’analogia tra il sacro e il temporale: la nascita di Gesù è divina, voluta dal Padre per portare il Verbo sulla Terra, e avviene per mezzo di Maria che dà vita umana al Bambino nel principio dell’era della salvezza, rappresentata dall’alba.
Particolare il paesaggio in cui sono immersi la Madonna e il Bambino, costituito da edifici in rovina. È infatti sui gradini quasi di un altare, sotto la base di una grande colonna marmorea, che la Madre ha posto sul giaciglio di paglia Gesù. Le rovine, in mezzo alle quali cresce l’erba e la natura prende il sopravvento, sono state lette come la caduta del paganesimo e il suo superamento con la diffusione del cristianesimo, che si impone come una nuova civiltà spirituale e morale. Ma non sono gli unici elementi che rimanderebbero a diversi possibili significati simbolici, arricchendo così la lettura del dipinto. La scala che si vede dietro la figura della Madonna richiamerebbe la biblica scala del sogno di Giacobbe che congiungeva terra e cielo, qui però in rovina a causa del peccato dell’umanità. Accanto alla scala si può notare una pianta di fico, l’albero del giardino dell’Eden, legato al peccato di Adamo ed Eva. L’associazione del fico con le rovine potrebbe tuttavia suggerire un tema fondamentale della teologia cristiana: il sacrificio di Cristo come atto che redime la prima disobbedienza di Adamo. L’albero, che sorge dalle rovine, diventa quindi un segno di speranza e rigenerazione, evidenziando il superamento del peccato originale. Sullo sfondo appare invece la palma, che nella tradizione cristiana rappresenta il martirio ed è simbolo finale della redenzione.
In primo piano sulla destra vi è invece una sella che alluderebbe alla fuga in Egitto; un dettaglio che potrebbe passare inosservato, ma che invece richiama il momento in cui la Sacra Famiglia si rifugia in Egitto per sfuggire alla strage degli innocenti ordinata da Erode. Infine, il panno bianco su cui è adagiato il Bambino è un altro dettaglio carico di significati simbolici. Spesso interpretato in chiave eucaristica, può essere letto anche come un’allusione al sudario che avvolgerà Cristo al momento della sepoltura, anticipando così il tema della Passione e del sacrificio redentore.
Quest’opera, databile tra il 1525 e il 1526 e oggi conservata agli Uffizi, si colloca nella piena maturità stilistica del pittore, un momento particolarmente fecondo della sua carriera, compreso tra la realizzazione degli affreschi della cupola di San Giovanni Evangelista a Parma e quelli della cupola con l’Assunzione della Vergine nel Duomo nella stessa città. Si pensi che è tra il 1523 e il 1525 che Correggio realizza le due tele della cappella Del Bono in San Giovanni a Parma, raffiguranti il Compianto e il Martirio di quattro santi, dove la gamma cromatica diventa da questo momento in poi ricchissima e vibrante, soprattutto nelle vesti dei personaggi, facendo risaltare in maniera decisamente luministica gli incarnati, come accade nella nostra Adorazione, e dove è ben presente la partecipazione emotiva sia tra le figure rappresentate che tra queste e l’osservatore. È tra il 1526 e il 1528 che realizza inoltre la grande pala de Il Giorno, dove anche in questo caso il riguardante è invitato a partecipare alla gaiezza del momento (da notare come qui tutti i personaggi stiano sorridendo), ed è tra il 1522 e il 1530 che compie la sua famosissima Notte, una delle più belle, commoventi e coinvolgenti Natività di tutta la storia dell’arte. E proprio del 1525 - 1526 sono infine le due tele eseguite per il conte Maffei di Mantova che vedono protagoniste Venere: nell’Educazione di Cupido insieme ad Amore e Mercurio, e insieme a Cupido e un satiro nel dipinto oggi conservato al Louvre.
La Madonna in adorazione del Bambino condivide inoltre con altri dipinti della produzione del Correggio la propensione da parte dell’artista di raffigurare tenere Madonne, che si distinguono per la loro toccante umanità, per la loro intensità emotiva ma soprattutto per il loro pacato intimismo, come la Madonna della cesta (1525-26), oggi alla National Gallery di Londra, il Matrimonio mistico di santa Caterina (1520-21) e La zingarella (1516-17) entrambi del Museo di Capodimonte, la Madonna col Bambino e san Giovannino (1517-1518) del Prado, la Madonna col Bambino (1513) del Kunsthistorisches Museum di Vienna, e la Madonna Barrymore (1506 circa) della National Gallery of Art di Washington.
Destinata alla devozione privata, le origini di questa Madonna in adorazione non sono note: ci sfuggono tuttora l’originale provenienza e committenza; compare tuttavia dal Seicento nell’inventario dei Medici. Sembra infatti che l’opera sia stata donata dal duca di Mantova Ferdinando Gonzaga al granduca Cosimo II de’ Medici: un dono di altissimo prestigio tra due delle più influenti corti italiane del Rinascimento. Giunse quindi agli Uffizi nel 1617 e fu collocata il 6 novembre dello stesso anno nell’ambiente riservato esclusivamente ai tesori più significativi della collezione medicea, la Tribuna, dove rimase fino al 1848. Venne dunque qui ammirata da generazioni di visitatori, tra cui anche pittori, come il tedesco Johann Zoffany (Francoforte sul Meno, 1733 – Chiswick, 1810), attivo principalmente in Inghilterra.
L’artista raffigurò la Tribuna degli Uffizi, popolata da gentiluomini intenti ad ammirare celebri dipinti e sculture, in un suo famoso dipinto terminato nel 1777, commissionato dalla regina Carlotta di Meclemburgo-Strelitz, consorte di re Giorgio III, e oggi custodito nella Royal Collection, nel quale si riconosce nella parete sinistra, tra la Madonna della Seggiola di Raffaello e il Ritratto di Galileo Galilei di Justus Sustermans, proprio la Madonna in adorazione del Bambino del Correggio. Ma non è tuttavia certo che questa fosse la reale disposizione delle opere all’interno della Tribuna quando Zoffany la vide.
Non vi è dubbio comunque che la Madonna del Correggio sia un’opera tenera e intima e ricca di simboli che oggi, come nel passato, è ancora capace di toccare il cuore di chi la osserva.
L'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta
Giornalista, è co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. È nata a Carrara nel 1987 e si è laureata a Pisa. È responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.