di
Federico Giannini, Ilaria Baratta
, scritto il 15/03/2020
Categorie: Opere e artisti / Argomenti: Leonardo da Vinci - Rinascimento - Cinquecento - Arte antica
Di Gioconda ne esiste una sola, quella di Leonardo da Vinci al Louvre? In realtà ce ne sono decine di copie e varianti in tutto il mondo, anche se nessuna è del grande genio. Vediamo quelle più interessanti.
Quale amante dell’arte non ha mai nutrito, anche in segreto, il sogno di rivedere, anche solo temporaneamente, la Gioconda in Italia? Ovviamente sappiamo che sarà molto difficile, se non impossibile, rivedere dalle nostre parti il celeberrimo dipinto di Leonardo da Vinci (Vinci, 1452 - Amboise, 1519): l’opera è, intanto, estremamente delicata, e poi è indissolubilmente associata al museo che la ospita, il Louvre, ed essendo il capolavoro che tutti i visitatori dell’istituto francese si aspettano di vedere quando lo visitano, sarà molto improbabile che venga concessa in prestito. L’ultima “uscita” della Gioconda risale al 1974, quando fu dapprima esposta a Tokyo (tra le mille proteste di chi non voleva far partire l’opera, e in effetti non fu una trasferta facile: l’opera, infatti, fu oggetto di un’aggressione ad opera di un’attivista che, per protestare contro l’assenza di accessi per i diversamente abili al Museo Nazionale di Tokyo, dove la Gioconda era esposta, il 20 aprile di quell’anno, giorno dell’inaugurazione della mostra che la esponeva, imbrattò l’opera con un vernice rossa spray), e poi a Mosca. Il direttore del Louvre, Jean-Luc Martinez, ha poi ribadito il concetto in occasione delle celebrazioni per i cinquecento anni dalla scomparsa di Leonardo da Vinci: la Gioconda è troppo fragile per affrontare dei viaggi, e spostarla potrebbe causarle dei danni irreparabili. Parafrasando, possiamo ritenerlo un “no” definitivo.
I musei di tutto il mondo, dunque, devono accontentarsi, ma c’è chi può farlo meglio di altri, perché la fortuna della Gioconda, già in antico, è stata tale che oggi, sparse in ogni angolo del globo, ne esistano decine di copie e varianti antiche, alcune anche di alta qualità: proprio il cinquecentenario della scomparsa di Leonardo ha dato vita a un rinnovato interesse per questa lunga lista di “sorelle minori” della famosissima Monna Lisa, alcune delle quali presenti anche in Italia. La fama mondiale della Gioconda è nata solo nel XX secolo, ma già al tempo di Leonardo il suo ritratto di Lisa Gherardini (Firenze, 1479 - Firenze, 1542), detta anche Lisa del Giocondo dal nome di suo marito Francesco di Bartolomeo di Zanobi del Giocondo (Firenze, 1465 - 1542), committente dell’opera, godette di una certa fortuna. Già l’artista e storiografo Giorgio Vasari (Arezzo, 1511 - Firenze, 1574) elencava le qualità della Gioconda: “prese Lionardo a fare per Francesco del Giocondo”, si legge nell’edizione torrentiniana delle Vite, del 1550, “il ritratto di Monna Lisa sua moglie; et quattro anni penatovi lo lasciò imperfetto, la quale opera oggi è appresso il re Francesco di Francia in Fontanableo. Nella qual testa chi voleva veder quanto l’arte potesse imitar la natura, agevolmente si poteva comprendere, perché quivi erano contrafatte tutte le minuzie che si possono con sottigliezza dipignere. [...] Et nel vero si può dire che questa fussi dipinta d’una maniera da far tremare et temere ogni gagliardo artefice, et sia qual si vuole. [...] Et in questo di Lionardo vi era un ghigno tanto piacevole che era cosa più divina che umana a vederlo, et era tenuta cosa maravigliosa, per non essere il vivo altrimenti”. La descrizione di Vasari (che, per la cronaca, nutriva una forte ammirazione per Leonardo, quasi ai limiti del culto) indugia anche su molti dettagli del dipinto, e dal momento che il giudizio del grande aretino era tenuto in alta considerazione presso molti dei suoi contemporanei, possiamo attribuire a lui parte del successo (almeno in antico) della Gioconda. Ma, all’incirca nella stessa epoca, si registrarono anche pareri contrarî: lapidario il commento di Federico Zuccari, che avendo visto nel 1574 l’opera in Francia, a Fontainebleau, la definì “secha e di poco gusto e da fugirla e non dar fine mai a cosa alcuna come fece il ditto Lionardo che consumò la vita in sustanzie di parole e ghiribizzi sufistichi di poca utilità a se stesso e al arte”.
Ad accrescere la fama dell’opera contribuirono, dunque, le opinioni dei grandi artisti che la videro, ma dobbiamo immaginare che l’eco della Gioconda dovette cominciare a farsi sentire molto prima, forse anche in contemporanea alla sua realizzazione (i primi del Cinquecento: il Louvre fissa una datazione che si colloca all’incirca tra il 1503 e il 1506). Il primo artista a subire il fascino della Gioconda fu uno dei più grandi, Raffaello Sanzio (Urbino, 1483 - Roma, 1520), anch’egli fortemente attratto dalle opere di Leonardo da Vinci, ed è ancora lo stesso Vasari ad attestarlo: lo storiografo ci fa sapere, infatti, che l’Urbinate si misurò con le opere di Leonardo, “ma per diligenza o studio che facesse, in alcune difficoltà non potè mai passare Lionardo, e sebbene pare a molti che egli lo passasse nella dolcezza ed in una certa facilità naturale, egli nondimeno non gli fu punto superiore in un certo fondamento terribile di concetti e grandezza d’arte”. Molti hanno notato come un disegno di Raffaello oggi conservato al Louvre, uno schizzo per un ritratto femminile (Roberto Longhi lo ha associato alla Dama col liocorno oggi alla Galleria Borghese, separandolo invece dal Ritratto di Maddalena Strozzi degli Uffizi al quale invece lo avevano accostato altri storici dell’arte prima di lui), sia basato direttamente sulla Gioconda, dalla quale deriva l’idea della mano che afferra il polso, la leggera torsione del collo, l’impaginazione col paesaggio retrosante, lo sguardo. E in effetti, è probabile che Raffaello stesse cercando di apprendere da Leonardo lo studio dell’espressione, la postura delle mani, la capacità di comunicare un sentimento attraverso un atteggiamento, e di conseguenza tutte le potenzialità del movimento. Non abbiamo la certezza che Raffaello si sia ispirato direttamente alla Gioconda, ma le similarità sono evidenti e non dovrebbero esserci molti dubbî in merito.
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Leonardo da Vinci, La Gioconda (1503-1506; olio su tavola, 77 x 53 cm; Parigi, Louvre) |
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Raffaello, Ritratto femminile (1505-1507 circa; penna, inchiostro marrone e tracce di gessetto nero su carta, 222 x 159 mm; Parigi, Louvre, Département des Arts Graphiques) |
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Raffaello, Dama col liocorno (1505-1507 circa; olio su tavola, 65 x 51 cm; Roma, Galleria Borghese) |
Per rimanere nell’ambito delle derivazioni e senza sconfinare ancora in quello delle copie o delle varianti, la più nota è sicuramente la cosiddetta Gioconda nuda, nota anche come Monna Vanna, un disegno della scuola di Leonardo da Vinci, conservato al Musée Condé di Chantilly, e dal quale derivano omologhi dipinti più famosi: quella del Museo Ideale Leonardo da Vinci, che si vorrebbe attribuire a Gian Giacomo Caprotti detto il Salaì (Oreno, 1480 - Milano, 1524), quella della cerchia di Joos van Cleve (Joos van der Beke; Kleve, 1485 - Anversa, 1540), e la Flora di Carlo Antonio Procaccini (Bologna, 1571 - 1630). La Gioconda nuda replica in maniera quasi pedissequa la posa delle mani della Gioconda ma, al contrario di monna Lisa, monna Vanna è nuda, presenta il seno scoperto al riguardante, e il suo sguardo è nettamente più frontale rispetto a quello del più celebre dipinto del Louvre. L’opera è strettamente legata a Leonardo, che con tutta probabilità ne eseguì il prototipo. Sappiamo infatti che il 10 ottobre del 1517, il cardinale Luigi d’Aragona visitò il genio toscano nella sua residenza francese, il castello di Clos-Lucé nei pressi di Amboise, e il segretario del prelato, Antonio de Beatis, annotò che i due avevano osservato tre quadri, tra cui un ritratto di una “certa dona fiorentina facta di naturale ad istantia del quondam magnifico Juliano de’ Medici”. Il “magnifico Juliano de’ Medici” è Giuliano di Lorenzo de’ Medici (Firenze, 1479 - 1516), signore di Firenze dal 1513 e duca di Nemours dal 1515: Leonardo lavorò effettivamente per lui dal 1513 fino al 1516 (ma non ci sono collegamenti tra la Gioconda del Louvre e il signore fiorentino, ragion per cui molti hanno escluso che la “dona” sia la Monna Lisa, a meno di non voler chiamare in causa un’improbabile relazione tra Lisa Gherardini e Giuliano di Lorenzo de’ Medici, non documentata da alcuna fonte), e se supponiamo che la “Gioconda nuda” sia la “dona fiorentina facta di naturale” (dove per “fatta di naturale” si potrebbe intendere “nuda”), allora è probabile che Antonio de Beatis si riferisse a un dipinto di Leonardo che a oggi deve ancora essere rintracciato, ma che evidentemente dovette fornire idee e spunti ai suoi allievi. C’è poi un atto notarile del 21 aprile del 1525 in cui si elencano alcuni beni in possesso del Salaì, e dove compare per la prima volta il termine “Joconda”, ma è citato anche un “quadro cum una meza nuda” che potrebbe essere la monna Vanna. La citazione non si riferisce al cartone di Chantilly, dal momento che l’inventario elenca solamente dipinti e che il termine “quadro” non può indicare un disegno, ma probabilmente l’opera (ammesso che si trattasse di un lavoro di mano di Leonardo e non del Salaì) doveva essere più piccola o di minor qualità rispetto alla “Joconda”, che nell’elenco è valutata 100 scudi, contro i 25 della “meza nuda”.
In uno studio del 2016, uno dei più accreditati leonardisti, Martin Kemp, ha messo in relazione il cartone di Chantilly con il dipinto che più gli è vicino, una Gioconda nuda conservata all’Ermitage di San Pietroburgo e databile all’incirca al 1515. Un’analisi delle dimensioni, del tutto compatibili (sebbene il cartone, peraltro danneggiato da chiazze di umidità e abrasioni, sia stato resecato sia in altezza che in larghezza), indica che probabilmente l’opera di San Pietroburgo è stata tratta dal cartone di Chantilly, segno che il disegno, con tutta probabilità, veniva utilizzato nella bottega di Leonardo. Kemp ha poi ravvisato alcuni elementi (i pentimenti nelle dita della mano, alcuni tratti che sembrano essere stati eseguiti dalla mano di un ottimo disegnatore, mancino come Leonardo, alcune modifiche nelle perforazioni dei contorni) che farebbero pensare al fatto che Leonardo stesso sia intervenuto nel cartone, realizzato magari da un suo assistente e poi corretto dal maestro. In più, la Gioconda nuda introduce elementi diversi, come s’è visto, rispetto alla Gioconda, segno che si tratta, secondo Kemp, di un’invenzione indipendente dalla monna Lisa, e non di una sua derivazione. Ci si può dunque interrogare, a questo punto, sui motivi che spinsero Leonardo a immaginare un’opera simile (per un’invenzione che, secondo Kemp, è stata sempre sottovalutata dagli storici dell’arte, perché non si conserva il dipinto realizzato da Leonardo, ammesso che sia mai esistito, e perché non sappiamo se sia davvero lui l’autore del cartone di Chantilly): un soggetto non convenzionale che, scrive Kemp, “è semplicemente quello che è: un’immagine provocante di una donna che rivela, senza averne vergogna, il suo corpo all’osservatore, e che guarda davanti a sé in maniera diretta e risoluta, con un sorriso ambiguo. Ha un’ovvia dimensione pornografica, o almeno ce l’aveva quando l’opera fu realizzata”. Non si tratterebbe, pertanto, di un ritratto, come farebbe pensare il nome con cui l’opera è universalmente nota (“monna Vanna” è il nome convenzionale dato al dipinto in base all’ipotesi secondo cui raffigurerebbe un’amante di Giuliano de’ Medici che così si chiamava), né di uno studio per meglio analizzare la posa della Gioconda, come ipotizzava Kenneth Clark.
Della stessa Gioconda nuda esistono una ventina di versioni, tra copie e varianti. In effetti l’opera, come ha dimostrato l’esposizione La Joconde nue, che si è tenuta proprio al Castello di Chantilly dal 1° giugno al 6 ottobre del 2019 (e si trattava della prima mostra dedicata all’opera), godette di una certa popolarità tra gli artisti del Cinquecento, e avrebbe finito per dar vita a un vero genere, quello delle dame al bagno: celeberrimo è il Ritratto di Gabrielle d’Estrées e sua sorella la duchessa di Villars, di autore sconosciuto, e lo stesso si può dire di un dipinto cronologicamente più vicino a Leonardo, la Dame au bain di François Clouet (Tours, 1515 - 1572), che a sua volta deriva dalla versione di Joos van Cleve. La diffusione del soggetto si deve probabilmente all’interesse di Francesco I per il nudo (nella sua collezione erano presenti diversi nudi, antichi e moderni, sia in pittura che in scultura), e forse per assecondare il gusto corrente numerosi artisti si adeguarono. A cominciare da quello che ha dipinto la più famosa Gioconda nuda dipinta, quella dell’Ermitage di San Pietroburgo, in passato attribuita allo stesso Leonardo e anche a Salaì: oggi però si tende a non dare un nome al suo autore, anche se tutti sono concordi nel ritenerla un prodotto dell’atelier di Leonardo, e di un artista ovviamente meno talentuoso del grande toscano (basti vedere la chioma, troppo piatta, i passaggi chiaroscurali più bruschi e il paesaggio semplificato rispetto a quello della Gioconda). Anche l’Italia ha la sua Gioconda nuda: è quella, citata sopra, in deposito al Museo Ideale Leonardo da Vinci di Vinci, anch’essa realizzata dalla cerchia di Leonardo (forse, come detto, da Salaì, ma non ci sono certezze in merito), e opera di notevole importanza dal momento che gli studî scientifici realizzati poco prima della mostra di cui sopra hanno accertato che è stata realizzata a partire dal cartone di Chantilly.
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Cerchia di Leonardo da Vinci, Gioconda nuda (1514-1516 circa; carboncino e biacca su carta, 724 x 540 mm; Chantilly, Musée Condé) |
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Gian Giacomo Caprotti detto il Salaì (?), Gioconda nuda (1515-1525?; olio su tavola trasportato su tela; Collezione privata, in deposito a Vinci, Museo Ideale Leonardo da Vinci) |
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Cerchia di Leonardo da Vinci (?), Gioconda nuda (1515-1525?; olio su tavola trasportato su tela; San Pietroburgo, Ermitage) |
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Cerchia di Joos van Cleve, Ritratto femminile (XVI secolo; olio su tavola; Praga, Národní Galerie V Praze) |
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Carlo Antonio Procaccini (attribuito a), Flora (1600 circa; olio su tela; Bergamo, Accademia Carrara) |
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Scuola di Fontainebleau, Ritratto presunto di Gabrielle d’Estrées e di sua sorella la duchessa di Villars (1600 circa; olio su tavola, 96 x 125 cm; Parigi, Louvre) |
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François Clouet, Dame au bain (1571; olio su tavola, 92,3 x 81,2 cm; Washington, National Gallery of Art) |
Tra le varianti, la più famosa è probabilmente la Gioconda del Prado, utile anche perché, delle tante versioni della Monna Lisa, è quella che ha i colori più vicini a quelli che un osservatore del Cinquecento poteva vedere poco dopo che il dipinto era stato concluso: dobbiamo immaginarci anche l’archetipo del Louvre con colori simili. Oggi vediamo la Gioconda ingiallita a causa dell’azione del tempo: tuttavia, per le ragioni che il professor Dal Pozzolo ha eloquentemente spiegato su queste pagine, difficilmente si procederà con un intervento che restituirà al capolavoro di Leonardo le sue cromie cinquecentesche. Tornando alla tavola del Prado, quest’ultima ha una datazione contemporanea a quella della Gioconda del Louvre (la critica la colloca tra il 1503 e il 1519: questa datazione fa di questo quadro la più antica variante della Gioconda che si conosca), ma non sappiamo chi l’abbia dipinta: non è di Leonardo da Vinci, perché non raggiunge la qualità delle opere del maestro (per esempio, si può facilmente notare come nella Gioconda del Prado manchi del tutto lo sfumato, dettaglio che rivela una sensibilità lontana da quella di Leonardo), ma è sicuramente opera di un artista della sua cerchia, anche se non è ancora stato possibile stabilire con certezza un nome, benché siano stati proposti quelli del Salaì e di Francesco Melzi (Milano, 1491 - Vaprio d’Adda, 1570). Si ritiene che la Gioconda del Prado sia registrata per la prima volta nel 1666, in un inventario della Galería del Mediodía dell’Alcázar di Madrid come una “mujer de mano de Leonardo Abince” (“donna di mano di Leonardo da Vinci”), e all’epoca era già proprietà dei reali di Spagna. Al Prado sarebbe arrivata nel 1819, ed è interessante notare come dell’opera parlò anche il celebre scrittore francese Prosper Mérimée, in una lettera inviata nel 1830 dalla Spagna (dove l’autore si trovava al tempo), al direttore della Revue de Paris, dove si dice che “tra le opere di Leonardo da Vinci, sono stato impressionato da una Gioconda che sembra essere una variante, con alcune modifiche, di quella che abbiamo al Louvre. Al posto di quel paesaggio fantastico, pieno di quelle rocce appuntite così care a Leonardo da Vinci, il fondo è cupo e piatto”.
C’è infatti da sottolineare che la Gioconda del Prado, fino al 2012, si presentava ingiallita e su fondo scuro, tanto che, prima d’allora, in molti non la ritenevano neppure un’opera dell’ambito di Leonardo. Solo un restauro condotto quell’anno aveva permesso di scoprire quale fosse il suo aspetto originario: i tecnici del museo madrileno si erano resi conto, attraverso una riflettografia a raggi infrarossi, che sotto la coltre nera alle spalle della dama effigiata si celava un paesaggio del tutto simile a quello della Gioconda del Louvre, e le analisi avevano appurato che il fondo scuro era frutto di una ridipintura posteriore al 1750. Il restauro condotto da Almudena Sánchez Martín, che ha rimosso ridipinture e sovrapposizioni restituendo la leggibilità dell’opera grazie al recupero dei colori e delle trasparenze (e, ripetiamo, facendoci comprendere anche come doveva presentarsi in origine la Gioconda originale), ha rivelato anche che l’autore del dipinto ha utilizzato materiali di alta qualità, come quelli che si utilizzavano nella bottega di Leonardo. È stato dunque scoperto che la tavola in legno di noce è simile a quella adoperata per capolavori come la Dama dell’ermellino o la Belle Ferronnière, e che l’imprimitura in biacca e olio di lino è identica a quella che si riscontra in diverse opere di Leonardo e della sua cerchia, ma non solo: la scoperta più interessante riguarda il disegno preparatorio, che è identico (anch’esso è stato analizzato mediante riflettografia infrarossa), e soprattutto nella versione del Prado presenta le stesse correzioni che si sono riscontrate nella Gioconda (il contorno della vita e della testa, la posizione delle mani), segno che l’autore del dipinto di Madrid seguì Leonardo mentre questi dipingeva il quadro del Louvre. Non si tratta quindi di una semplice copia, perché il copista lavora a opera finita, ed è pertanto molto difficile che apporti delle correzioni: con la Gioconda di Madrid siamo in presenza di un artista che lavorò a stretto contatto col maestro.
Altro caso interessante è quello della Gioconda di Isleworth, chiamata così perché a inizio Novecento era proprietà del mercante inglese Hugh Blaker, residente nella città inglese di Isleworth. È un’opera molto particolare perché sembra una versione “giovane”, quasi adolescente, della Monna Lisa: incompiuta (il paesaggio alle spalle della dama è appena abbozzato), più larga della Gioconda del Louvre e con due colonne alle estremità, simili a quelle che si riscontrano nel disegno di Raffaello di cui si è parlato sopra. Proprio le colonne sono un elemento importante del dibattito sulla paternità della Gioconda di Isleworth: in passato si riteneva che anche la Monna Lisa del Louvre presentasse colonne sui lati (e che quindi sia il disegno di Raffaello, sia la versione di Isleworth fossero due derivazioni dirette dall’opera parigina), ma nel 1993 un’analisi dello studioso Frank Zöllner ha appurato che la Gioconda non è stata tagliata ai lati, e questo ha fatto supporre, a molti storici dell’arte, l’esistenza di un’altra versione della Monna Lisa cui dovette ispirarsi anche Raffaello. Anche perché un noto pittore e trattatista del Cinquecento, Giovanni Paolo Lomazzo (Milano, 1538 - 1592), nel suo Trattato dell’arte della pittura del 1584, parla di ritratti “di mano di Leonardo, ornati a guisa di primavera, come il ritratto della Gioconda e di Monna Lisa, ne’ quali ha espresso tra l’altre parti meravigliosamente la bocca in atto di ridere”. La frase di Lomazzo farebbe dunque supporre che la Gioconda e la Monna Lisa siano due quadri distinti. Tuttavia, al momento, questa Earlier Mona Lisa (con questo nome è nota in Inghilterra e nei paesi anglofoni), oggi conservata in una collezione privata svizzera (la prima attestazione di questo dipinto, in Inghilterra, risale al 1778: acquistata dal succitato Blaker nel 1914, l’opera passò nel 1962 al collezionista Henry Pulitzer che la lasciò in eredita alla moglie Elizabeth Meyer, e dopo la scomparsa di quest’ultima, nel 2008, fu acquistata da un consorzio internazionale di privati per iniziativa della The Mona Lisa Foundation), non ha ancora trovato un nome. Non si tratterebbe di Leonardo, come ritiene Martin Kemp, tra i più accesi contestatori della paternità leonardiana di quest’opera, secondo il quale nessuno tra gli specialisti “seri” di Leonardo si sarebbe pronunciato in favore di un’attribuzione all’artista di Vinci: eseguita su tela (supporto che non è stato riscontrato in nessun’opera nota di Leonardo), più piatta delle dame leonardiane, priva della loro profondità psicologica, abbigliata con una veste condotta in maniera più schematica rispetto a quella della Gioconda del Louvre e dai panneggi più rigidi, la Gioconda di Isleworth è probabilmente opera di un imitatore o di un artista della cerchia.
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Cerchia di Leonardo da Vinci, Gioconda (1503-1519; olio su tavola, 76,3 x 57 cm; Madrid, Museo del Prado) |
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Cerchia di Leonardo da Vinci, Gioconda del Prado, prima del restauro |
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Cerchia di Leonardo da Vinci, Gioconda del Prado, riflettografia a raggi infrarossi |
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Cerchia di Leonardo da Vinci (?), Gioconda di Isleworth (XVI secolo; olio su tela, 86 x 64,5 cm; Collezione privata) |
Quanto alle copie, ne esistono diverse in tutto il mondo, come s’è detto in apertura. Per alcune di esse ci sono stati in passato anche tentativi d’attribuzione a Leonardo da Vinci, sempre però scartati dalla critica, perché nessuna delle copie raggiunge la qualità della Monna Lisa del Louvre. Uno degli errori che si riscontrano in maniera più frequente nelle copie, soprattutto quelle più antiche, è la linea della balaustra alle spalle della dama: in molte copie, la porzione sulla destra appare leggermente ribassata rispetto a quella di sinistra (già Adolfo Venturi era convinto che si tratterebbe di un errore che Leonardo non avrebbe commesso, e secondo il grande studioso questo è un elemento dirimente nello sfavorire un’attribuzione al genio di Vinci). In generale, comunque, tutte le copie note appaiono opere più scolastiche rispetto alla vera Gioconda, più rigide, meno espressive, prive della profondità dell’originale, spesso incapaci di pareggiare lo sfumato del maestro. Inoltre, per le copie è anche molto difficile stabilire il nome dell’autore. Ne esiste una, conservata alla Galleria Nazionale di Oslo in Norvegia, che è firmata Bernardino Luini, ma lo stile è incompatibile con quello dell’artista leonardesco, e si pensa che si tratti piuttosto di una versione realizzata nel Seicento da Philippe de Champaigne (Bruxelles, 1602 - Parigi, 1674), pittore noto soprattutto per la sua attività da ritrattista. Una delle copie più interessanti è la cosiddetta Gioconda Vernon, dal nome del collezionista (William H. Vernon) che la possedeva nel XVIII secolo: è ritenuta opera cinquecentesca e, al contrario di molte altre copie successive, conserva le colonne ai lati. In passato, la famiglia Vernon ha cercato più volte di far autenticare la sua Monna Lisa come originale leonardiano (ci erano andati vicini negli anni Sessanta, quando in una mostra passò come “attribuita a Leonardo”... e c’è stato anche qualcuno che si è spinto a dire che la Gioconda Vernon sia l’originale e quella del Louvre la copia!), ma siamo comunque lontani dall’estro del genio, e oggi la si considera opera di un anonimo cinquecentesco.
Tra le copie di miglior qualità, come è emerso da un’indagine realizzata nel 2005 sul dipinto, figura poi la cosiddetta Gioconda Reynolds, così detta in quanto in passato fu nella collezione del grande pittore inglese Joshua Reynolds (Plympton, 1723 - Londra, 1792): l’artista la acquisì nel 1790 da Francis Osborne, quinto duca di Leeds, probabilmente in cambio di un ritratto. La Monna Lisa di Reynolds dovrebbe essere di un secolo più giovane rispetto all’originale del Louvre (malgrado Reynolds fosse convinto di avere tra le mani un’opera di Leonardo), è attribuita a un anonimo artista francese (si ritiene infatti che provenga dalla Francia, o comunque dal nord Europa: secondo gli esami del 2005, i materiali utilizzati dall’anonimo copista sono quelli che si adoperavano nell’Europa settentrionale tra la fine del XVI secolo e gli inizi del XVII), e si presenta in uno stato di conservazione migliore rispetto alla Gioconda del Louvre: i colori nei quali si presenta possono dunque darci un’ulteriore idea di come fosse in origine la Monna Lisa custodita a Parigi. Si presenta invece offuscata una Gioconda di collezione privata passata in asta da Sotheby’s nel 2019, aggiudicata con straordinario risultato: un milione e 695mila dollari (una cifra eccezionale per un artista anonimo!), contro un’iniziale stima di 80-120mila dollari. Al contrario della Gioconda di Vernon e di quella di Reynolds, in questa non compaiono le colonne, ma nel volto e nel paesaggio si avvicina di più all’originale, tanto da esser considerata una delle copie di più alta qualità: inoltre, potrebbe essere una copia di provenienza italiana, dal momento che si ritiene che un tempo appartenesse alla nobile famiglia pistoiese dei Pistoj. Non della stessa qualità è invece la copia del Walters Art Museum di Baltimora, comparsa sul mercato a inizio Novecento, e nella quale tornano le colonne, e dove il copista, un altro anonimo del Seicento, tenta ancora una volta d’imitare lo sfumato leonardesco, ma con scarsi risultati, e il volto della Monna Lisa sembra quasi invecchiato. Compaiono colonne anche nella copia di San Pietroburgo, altra versione seicentesca.
Una copia dalla storia curiosa è quella conservata al Musée des Beaux-Arts di Quimper, città costiera della Bretagna: opera del Cinquecento di un copista italiano, è molto simile alla Gioconda del Louvre (anche se più stretta sui lati, presenta gli stessi segni del tempo sulla superficie e lo sfumato imita bene quello del maestro), e per tale ragione le autorità francesi pensarono di esporla nel 1911 al Louvre subito dopo il furto della Gioconda originale da parte dell’imbianchino italiano Vincenzo Peruggia. Il fine era quello di nascondere il fatto al pubblico, ma l’ipotesi tramontò immediatamente perché i giornali diedero subito notizia del furto. Per rimanere in Italia, ha fatto discutere, nel 2019 delle celebrazioni leonardiane, la cosiddetta Gioconda Torlonia, nota con questo nome in quanto un tempo appartenente alle collezioni della nobile famiglia romana: di proprietà delle Gallerie Nazionali di Arte Antica, era stata concessa in deposito dal 1925 alla Camera dei Deputati e tutti si erano dimenticati di lei, finché, in occasione del cinquecentenario, il senatore Stefano Candiani non si è accorto della tavola e, dopo averla fatta analizzare e restaurare, ha voluto farla esporre in una mostra, che si è tenuta alla Villa Farnesina dal 3 ottobre 2019 al 13 gennaio 2020, e dove erano esposti altri prodotti di ambito leonardesco. In occasione della rassegna della Farnesina, all’opera è stata attribuita una datazione cinquecentesca ed è stata assegnata a un ignoto pittore della cerchia di Leonardo da Vinci (nel catalogo di Palazzo Barberini pubblicato nel 2008 era attribuita, seppur in via dubitativa, a Bernardino Luini, sulla scorta di una notizia ottocentesca che però non avrebbe più trovato riscontro negli inventari Torlonia). Altre copie di buon livello sono quelle conservate al Walker Art Museum di Liverpool e alla Alte Pinakothek di Monaco di Baviera.
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Philippe de Champaigne (?), Gioconda (XVII secolo; Oslo, Nasjonalmuseet) |
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Anonimo cinquecentesco, Gioconda (XVI secolo; Collezione Vernon) |
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Anonimo francese cinquecentenesco, Gioconda nota come Gioconda Reynolds (XVI secolo; Collezione privata) |
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Anonimo seicentesco, Gioconda (XVII secolo; olio su tavola, 73,5 x 53,3 cm; Collezione privata). Venduta in asta da Sotheby’s nel 2019 |
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Anonimo seicentesco, Gioconda (1635-1660 circa; olio su tela, 79,3 x 63,5 cm; Baltimora, Walters Museum of Art) |
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Anonimo seicentesco, Gioconda (XVII secolo; olio su tavola; San Pietroburgo, Collezione privata) |
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Anonimo seicentesco, Gioconda (XVI secolo; olio su tela, 73 x 58 cm; Quimper, Musée des Beaux-Arts) |
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Cerchia di Leonardo da Vinci, Gioconda nota come Gioconda Torlonia (XVI secolo; olio su tavola; Roma, Gallerie Nazionali d’Arte Antica, Palazzo Barberini) |
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Anonimo seicentesco o settecentesco, Gioconda (XVII-XVIII secolo; olio su tela, 80,2 x 58,6 cm; Monaco di Baviera, Alte Pinakothek) |
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Anonimo seicentesco, Gioconda (XVII secolo; olio su tavola, 82 x 56,5 cm; Liverpool, Walker Art Gallery) |
Per concludere, è necessario sottolineare come, malgrado tentativi d’attribuzione a Leonardo da Vinci siano stati avanzati per diverse copie, al momento nessuna di esse è ascritta con convinzione alla sua mano, e in quei pochi casi in cui ancora s’insiste ad attribuire una certa copia al maestro, si tratta sempre di posizioni per lo più isolate e che comunque non godono del sostegno della maggior parte della comunità scientifica. Tutte le copie in circolazione e tutte le varianti della Gioconda che al momento conosciamo sono dunque opere o di artisti della cerchia di Leonardo (ma anche in questo caso, stabilire i nomi degli autori è spesso impresa molto ardua), oppure di copisti di cui non conosciamo l’identità. Dunque, se visitando un museo che non sia il Louvre, ci s’imbatte in una Gioconda... si può star certi che non sia opera di Leonardo da Vinci. Poi, come s’è visto, dai documenti sembrerebbe aperta l’ipotesi che lo stesso Leonardo abbia dipinto almeno due “Gioconde”... ma al momento si tratta di teorie non ancora suffragate da evidenze. Perciò, è altamente probabile che la Gioconda del Louvre rimarrà ancora per lungo tempo l’unica dove si può veramente riconoscere il genio di Leonardo.
Bibliografia essenziale
- Costance Moffatt, Sara Taglialagamba (a cura di), Illuminating Leonardo, Brill, 2016
- Laure Fagnart, Léonard de Vinci en France: collections et collectionneurs, L’Erma di Bretschneider, 2009
- Pietro C. Marani, La Gioconda, Giunti, 2003
- AA.VV., Dessins italiens du musée Condé à Chantilly, Reunion des Musées Nationaux, 1997
- Maria Teresa Fiorio, Pietro C. Marani, I Leonardeschi a Milano: fortuna e collezionismo, Electa, 1991
- Paul Joannides, The Drawings of Raphael with a Complete Catalogue, University of California Press, 1983
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Gli autori di questo articolo: Federico Giannini e Ilaria Baratta
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