A proposito della celeberrima Conversione di san Paolo del Caravaggio (Milano, 1571 - Porto Ercole, 1610) nella Cappella Cerasi, dipinto che rappresenta uno dei capolavori più noti e discussi dell’artista lombardo, si è diffusa un’interpretazione troppo spesso data per scontata: quella secondo cui il pittore realizzò l’opera dopo essersi visto rifiutare una prima versione, quella attualmente di proprietà della famiglia Odescalchi, in quanto non ritenuta decorosa dagli eredi del committente, monsignor Tiberio Cerasi. Il Caravaggio avrebbe dunque dipinto una seconda versione, quella che possiamo ancora oggi ammirare all’interno della cappella, ritenuta ancor più irriverente, in quanto avente come protagonista principale il cavallo (anzi: il suo deretano) al posto del santo.
Roma, la basilica di Santa Maria del Popolo all’interno della quale si trova la Cappella Cerasi |
Moretto, Conversione di san Paolo (1540-1541; olio su tela, 306 x 136 cm; Milano, Santa Maria presso San Celso) |
Per comprendere dunque come andarono davvero le cose, è forse necessario operare un confronto tra i due dipinti. La Conversione Odescalchi, cronologicamente anteriore, ci presenta un movimento vorticoso, di matrice ancora manierista: in questa convulsa scena vediamo Saulo (il futuro san Paolo) gettato a terra e letteralmente accecato dalla luce emanata dall’apparizione di Gesù Cristo, che compare nell’angolo in alto a destra. Una luce che investe Saulo (che, com’è noto, era un ebreo che perseguitava i cristiani) con una forza tale da costringerlo a farsi schermo con le mani, mentre Gesù pronuncia verso di lui le celebri parole “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?”. L’episodio è narrato negli Atti degli Apostoli: subito dopo, Gesù avrebbe ordinato a Saulo di entrare nella città di Damasco, dove poi avrebbe completato la sua conversione al cristianesimo, diventando peraltro uno dei primi evangelizzatori. Nel dipinto, il cavallo, spaventato dall’apparizione divina, è tenuto a freno da un palafreniere che imbraccia una lancia e uno scudo per ripararsi a sua volta dalla luce, e a completare l’elenco dei protagonisti abbiamo un ulteriore soldato, e un angelo che assiste Gesù tenendolo con un braccio.
Caravaggio, Conversione di san Paolo (1600-1601 circa; olio su tavola, 237 x 189 cm; Roma, collezione Odescalchi) |
Un’atmosfera del tutto diversa (e per certi versi opposta) regna nella Conversione della cappella Cerasi. Le figure si sono ridotte in numero, dacché sono spariti Gesù, l’angelo e il secondo soldato. Saulo è sempre a terra, vinto dalla luce, ma non tenta più di opporre resistenza, anzi: spalanca le braccia quasi a voler accogliere la luce divina. Infine, si è ridotta drasticamente la carica di violento pathos che permeava la Conversione Odescalchi: il cavallo adesso pare tranquillo, e anche il palafreniere, che assume un atteggiamento composto e pacato, ha vita molto più facile nel condurlo lontano da Saulo onde evitare che l’uomo venga calpestato dall’animale. Il fatto è che Michelangelo Merisi sceglie di raffigurare, in questo dipinto, il momento immediatamente successivo a quello dell’apparizione: Gesù ha già pronunciato le sue parole, si è ritirato lasciando dietro di sé gli ultimi bagliori luminosi, e ha lasciato a terra Saulo, rimasto come folgorato. È questa l’invenzione veramente più originale del Caravaggio: aver evitato di rappresentare il momento clou dell’episodio ed essersi invece concentrato su quello seguente.
Caravaggio, Conversione di san Paolo (1601-1605 circa; olio su tela, 230 x 175 cm; Roma, Santa Maria del Popolo, Cappella Cerasi) |
Possiamo, pertanto, fare un passo indietro, e interrogarci sul perché il Caravaggio abbia cambiato così drasticamente la sua opera: da un dipinto fortemente drammatico e più affollato a uno più sereno e, soprattutto, caratterizzato dalla novità di cui s’è detto poco sopra. Studiosi come Luigi Spezzaferro e Rossella Vodret hanno avanzato l’ipotesi che sia stato lo stesso Caravaggio a decidere di modificare il dipinto in corso d’opera. Tiberio Cerasi, infatti, non aveva commissionato soltanto i dipinti, ma anche la risistemazione architettonica della cappella, affidata a Carlo Maderno. Come può notare chiunque metta piede nella cappella, Maderno ideò uno spazio stretto e ridotto, forse col fine di rendere l’osservatore emotivamente molto coinvolto: probabilmente il Caravaggio, vedendo come procedevano i lavori di riordino dell’ambiente, ritenne che i suoi dipinti (ricordiamo che, oltre alla Conversione, gli era stata commissionata anche una Crocifissione di san Pietro, la cui prima versione è andata perduta), destinati alle pareti laterali della cappella, mal si adattavano agli spazi previsti da Maderno, ed erano inoltre incapaci di dialogare in modo efficace con la splendida Assunta di Annibale Carracci (Bologna, 1560 - Roma, 1609), grande capolavoro del pittore bolognese che forse era già stato installato sulla parete di fondo. L’artista avrebbe dunque pensato a due nuovi dipinti che, assieme al quadro di Annibale, concorressero a offrire allo spettatore l’illusione di trovarsi dinanzi a uno spazio reale. È infatti palese il fatto che il Caravaggio abbia realizzato il suo dipinto pensando a un osservatore costretto a guardarlo di lato, in uno spazio ristretto: per tal ragione è stato adottato un punto di vista obliquo, suggerito anche dalle diagonali del corpo e della testa del cavallo da una parte, e del braccio destro del santo dall’altra, che convergono verso il centro sul lato destro dell’opera (e, viceversa, sul lato sinistro le diagonali si divaricano). L’ipotesi di un Caravaggio che sceglie autonomamente di eseguire nuove versioni dei suoi dipinti per adattarli alla cappella consentirebbe anche di spostarne in avanti l’esecuzione: probabilmente attorno al 1605 (quindi in coincidenza con l’anno di collocazione sulle pareti, che conosciamo dai documenti), una datazione che spiegherebbe anche il notevole scarto stilistico tra la Conversione Odescalchi e quella della cappella.
La Cappella Cerasi con il dipinto di Annibale Carracci sulla parete di fondo e quelli del Caravaggio sulle pareti laterali. Credit |
Si aggiunga a tutto ciò un’interpretazione offerta da Maurizio Calvesi, che spiegherebbe anche, in chiave allegorica, il perché dell’importanza concessa al cavallo. La Cappella Cerasi si trova all’interno della basilica di Santa Maria del Popolo, sede dell’ordine agostiniano: sappiamo che sant’Agostino fu uno dei principali teorici della Grazia divina, che rappresenta il concetto principale del suo sistema filosofico, in quanto mezzo che consente all’umanità di salvarsi e, ovviamente, di elevarsi al di sopra del peccato, di cui l’uomo fa necessariamente esperienza nel corso della sua esistenza. La luce, nel dipinto, simboleggia la Grazia divina, mentre al cavallo spetta un ruolo centrale in quanto, secondo tale interpretazione, diventerebbe simbolo del peccato e della sua irrazionalità (il cavallo, essendo animale, non è dotato di ragione).
Vista in questo modo, l’opera apparirebbe dunque non più il prodotto di un pittore che intendeva unicamente farsi gioco del pensiero dominante del suo tempo: si tratterebbe, invece, di un’opera profondamente meditata, realizzata con l’approvazione dei committenti. Questa visione contribuisce forse ad affievolire il mito, tanto in voga negli ultimi anni, del pittore maledetto costantemente anticonformista e restio a rispettare le regole? La risposta non può che essere negativa, perché conosciamo bene gli eccessi a cui l’artista lombardo era abituato: ma di sicuro, le ipotesi circa la Conversione di san Paolo contribuiscono a fornire una ricostruzione più realistica e completa delle complesse vicende che il quadro conobbe. Senza intaccare minimamente l’aura che circonda la figura del Caravaggio.
Bibliografia di riferimento
L'autore di questo articolo: Federico Giannini
Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).