Alla recente mostra su Palma il Vecchio (1480 circa - 1528, vero nome Jacopo Negretti), che si è tenuta alla GAMeC di Bergamo, era esposto, tra gli altri, un importante e interessante dipinto, il cosiddetto Ritratto incompiuto, conservato agli Uffizi. Si tratta di un olio su tavola dipinto su entrambi i lati: sul recto, cioè sul lato anteriore, abbiamo un ritratto femminile, mentre sul verso, ovvero il lato posteriore, figura un ritratto maschile. Entrambi sono incompiuti, ma forse è proprio tale incompiutezza la principale ragione d’interesse di questo dipinto: perché vedere un dipinto incompiuto significa vedere un dipinto nel corso della sua esecuzione, e questa particolarità ci permette di trarre un notevole quantitativo d’informazioni sulla tecnica adoperata dal pittore per realizzare i suoi quadri.
La conoscenza della tecnica di un artista è fondamentale per diversi aspetti: basti dire che conoscere il modo in cui l’artista dipingeva è cruciale per apportare nel miglior modo possibile gli eventuali interventi di restauro che un’opera richiede. Dai materiali e dai colori che il pittore utilizzava possiamo capire a quali ambienti fosse destinata un’opera (pensiamo solo al fatto che certi pigmenti erano costosissimi e dunque potevano essere adoperati in dipinti richiesti esclusivamente da committenti facoltosi), e quindi chi fossero i principali interlocutori dell’artista. E ovviamente possiamo comprende quanto sia impegnativo e difficile il lavoro che richiede un’opera di una finitezza, di una qualità e di una precisione che solo i grandi pittori riescono a raggiungere.
Palma il Vecchio, Ritratto incompiuto femminile (recto) e Ritratto incompiuto maschile (verso); 1514 circa; Firenze, Uffizi |
Vediamo dunque in che modo Palma il Vecchio realizzava i suoi dipinti: si tratta, peraltro, di una tecnica comune a molti altri pittori suoi contemporanei. La primissima fase era, chiaramente, la scelta del supporto: Palma dipingeva soprattutto su tavole di legno di pioppo, ma a volte non disdegnava l’utilizzo della tela. Spesso il lavoro iniziava già dalla scelta del legno: soprattutto quando si trattava di dipingere opere di misure ragguardevoli, non era semplice trovare tavole in ottime condizioni, già pronte e uniformi, e dunque occorreva unire tra loro tavole di diverse dimensioni, cercando di ottenere un risultato che fosse il più equilibrato possibile e preoccupandosi di levigare bene la superficie del supporto onde ottenere la planarità ideale. La scelta del legno di pioppo non era casuale: si tratta infatti di uno dei legni che presentano il minor rischio di imperfezioni (come nodi, fori, deformazioni e quant’altro). Ma capitava comunque di trovarne, ed era dunque necessario sistemarle: i nodi, per esempio, venivano eliminati in quanto maggiormente soggetti al degrado rispetto alle parti “sane” della tavola, e venivano “stuccati” con una mistura a base di segatura di legno e colla, e lo stesso procedimento veniva applicato ai piccoli fori che si potevano trovare sulla superficie della tavola.
Fatto ciò, il pittore iniziava a preparare il supporto affinché potesse ricevere la pittura. Dal momento che dipingere direttamente sul legno sarebbe stato parecchio difficile e che, soprattutto, una pittura data direttamente sulla tavola si sarebbe rovinata molto più rapidamente, l’artista eseguiva la cosiddetta imprimitura, operazione con la quale si disponevano, sulla superficie del supporto, uno o più strati di materiale per creare una base che potesse ricevere la pittura. L’imprimitura eseguita da Palma il Vecchio aveva origini antiche: il pittore faceva aderire al supporto uno o più strati di colla animale e gesso. Il gesso fine serviva per creare, appunto, una base dal colore grigiastro su cui iniziare finalmente a lavorare. Al gesso potevano essere applicati dei coloranti in modo da poter conferire una certa tonalità al risultato finito: non era però questo il caso di Palma il Vecchio, che preferiva lavorare su basi dai toni di grigio.
Il supporto era quindi pronto: Palma il Vecchio cominciava col tracciare, sulla base, i contorni del dipinto che aveva in mente. Questa operazione veniva fatta con l’utilizzo di un pennello. Successivamente, a differenza di molti pittori che prima disponevano sulla base i colori dello sfondo e poi realizzavano i particolari, Palma preferiva concentrarsi su ampie zone del dipinto portandole a termine separatamente. Ce ne accorgiamo bene osservando il suo Ritratto d’uomo incompiuto: possiamo facilmente notare che il volto è già quasi terminato, dato che il pittore ha ormai studiato anche la disposizione di luci e ombre e ha dipinto con eccezionale cura financo i riccioli della barba, mentre invece nelle altre zone sono presenti soltanto le tracce disposte dall’artista sull’ultimo strato di imprimitura.
Palma il Vecchio, Ritratto incompiuto maschile, particolare |
Una volta terminato il dipinto, il pittore ricopriva la sua opera con una mano di vernice protettiva che aveva il duplice compito di rendere più lucidi i colori (accentuando anche, al contempo, i contrasti tra luce e ombra) e di preservare la pittura dal degrado a cui sarebbe andata incontro con il passare del tempo. Sono questi i passaggi, il più delle volte lenti e meticolosi, che hanno permesso a Palma il Vecchio di realizzare i suoi più grandi capolavori: dipinti colorati, luminosi e molto raffinati, ma al contempo anche fragili. Molti di loro, nonostante le accortezze del pittore, hanno mostrato problemi di conservazione che hanno portato a conseguenti interventi di restauro. Ma proprio la conoscenza della tecnica pittorica adoperata dal pittore ha permesso ai tecnici di restituirci colori del tutto simili a quelli che potevano essere quelli che Palma aveva in origine studiato per le sue opere. È il caso dell’ultimo restauro compiuto su un’opera di Palma il Vecchio, la Santa Apollonia del Polittico di Serina, che aveva perso alcuni brani della superficie pittorica, caduti nel corso dei secoli, e aveva conosciuto alcune ridipinture che ne avevano alterato le cromie: l’intervento, possibile grazie anche a una conoscenza profonda dei procedimenti adottati dal pittore, ci ha restituito una Santa Apollonia come doveva essere quando il pittore la dipinse. L’importanza del restauro è stata tale che il dipinto è stato presentato alla mostra bergamasca ed è stato, peraltro, preso come esempio per illustrare ai visitatori la tecnica di Palma il Vecchio.
Palma il Vecchio, Santa Apollonia (particolare), dal Polittico della Presentazione della Vergine; 1515-1517; Serina, Santa Maria Annunciata |
L'autore di questo articolo: Federico Giannini
Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).