Codicillo vinciano. A Leonardo quel che è di Leonardo...


Un articolo di Gigetta Dalli Regoli, grande studiosa del Rinascimento fiorentino, sull'attribuzione della Madonna Dreyfus, che secondo la studiosa è opera di Leonardo da Vinci. Una versione estesa di questo contributo sarà pubblicata sulla rivista scientifica Raccolta Vinciana.

A conclusione dell’anno vinciano (2019), pur se risultano in corso di stampa ulteriori approfondimenti, è opportuno segnalare quello che a tutt’oggi sembra il consuntivo più esauriente: Edoardo Villata, Pubblicazioni leonardesche del 2019: breve rassegna storicoartistica, “Critica d’arte” 5-6, 2020). In attesa dei prossimi contributi, aggiungo ancora una mia voce a quella che è stata suggestivamente definita come “la passion Léonard”. Non per accrescere un corpus che, per la pittura, ha ricevuto alcune aggregazioni problematiche, bensì per denunciare una impropria sottrazione; un problema che ho citato altrove, ma che merita una considerazione specifica.

La tentazione di intervenire sul multiforme lascito vinciano è sempre stata forte, come può dimostrare, in apertura, un esempio tanto circoscritto quanto a mio avviso significativo. Mi riferisco al foglio 8 P degli Uffizi, uno dei disegni più famosi del mondo, tornato alla ribalta ed esposto di recente. Per la complessa vicenda storico critica rinvio a un approfondito e condivisibile saggio di Alessandro Nova (“ADDJ 5 DAGHOSSTO 1473”, in Leonardo da Vinci on Nature, Venezia 2013), e in questa occasione guardo non al Paesaggio del recto, bensì a uno schizzo che compare quasi al centro del verso, una figura atletica nuda che corre aprendo le braccia, e con il capo volto all’indietro. Il disegno 8 P è un documento di rara densità, contestualizzato dall’inconfondibile grafia vinciana e dalla data 1473, eppure nella fittissima bibliografia pertinente è apparsa qualche volta una certa diffidenza nei confronti degli abbozzi tracciati nel verso, soprattutto in rapporto alla figurina dinamicamente espansa, di cui si è messa in dubbio l’autografia (fig. 1). Forse per una diffusa attitudine a creare un certo clamore ribaltando opinioni consolidate: operazione che può essere obiettivamente motivata, ma che talora (e in crescendo ai giorni nostri), sembra artificiosamente costruita per esigenze di visibilità.

Osservo, a conforto di quanto distesamente motivato da Nova, che un metodo di giudizio criticamente flessibile dovrebbe essere in grado di distinguere (a livello alto, e tanto più nel caso di Leonardo) ciò che appartiene a uno scarabocchiare distratto (il giovane in fuga, appunto) e ciò che appartiene ai ‘fogli di studio’: la figuretta trova infatti parziali rispondenze nei tanti schizzi a penna di epoca giovanile, che rivelano la predisposizione di Leonardo a disegnare e dipingere ‘per conoscere’: studi con i quali l’autore analizzava, scomponeva e ricomponeva i suoi inconfondibili “posari”, ovvero atteggiamenti del corpo umano, sia in una situazione di stasi che di moto (figg. 1- 2). Valga un riferimento riassuntivo a uno dei molti interventi di Pietro Cesare Marani, “I moti dell’animo”, da Leon Battista Alberti a Leonardo, in Leonardo. Il disegno del mondo, Catalogo della mostra, Milano 2015, e ad altri saggi pertinenti ivi contenuti (Bambach, Fiorio, Kemp, Clayton).

La testimonianza che vorrei ricondurre al ridottissimo catalogo dei dipinti vinciani è un’altra, una tavoletta minuscola, cioè la Madonna della melagrana conservata nella National Gallery of Art di Washington; opera la cui attribuzione è rimasta a lungo oscillante (Verrocchio, Leonardo, Lorenzo di Credi, altri ancora) e che oggi alcune voci autorevoli tornano a riportare verso Lorenzo di Credi insieme con quello che fu probabilmente un disegno preparatorio, appartenente al Kupferstichkabinett di Dresda (figg. 3-4). Per i dati materiali e per la vicenda storica del dipinto e del disegno rinvio, rispettivamente, alle schede di Andrea De Marchi (Catalogo della mostra Verrocchio. Il maestro di Leonardo, Venezia 2019), e di Lorenza Melli (I Disegni italiani del Quattrocento nel Kupferstichkabinett di Dresda, Firenze 2006): apprezzo il lavoro di entrambi gli studiosi, ma in rapporto alle due opere non condivido l’orientamento attributivo.

Leonardo, Paesaggio, (part). Firenze, Galleria degli Uffizi, Gabinetto Disegni e Stampe, 8 P v Leonardo, Studi di figura per l’Adorazione del Magi (part.). Parigi, Bibliothèque de l’Ecole Superieure des Beaux Arts
1. Leonardo, Paesaggio (part.). Firenze, Galleria degli Uffizi, Gabinetto Disegni e Stampe, 8P, verso 2. Leonardo, Studi di figura per l’Adorazione del Magi (part.). Parigi, Bibliothèque de l’Ecole Superieure des Beaux Arts


Leonardo (attr. a Lorenzo di Credi), Madonna della melagrana, nota anche come Madonna Dreyfus. Washington, National Gallery of Art Leonardo (attr. a Lorenzo di Credi), Studio per la Madonna della melagrana. Dresda, Kupferstich Kabinett
3. Leonardo (attr. a Lorenzo di Credi), Madonna della melagrana, nota anche come Madonna Dreyfus. Washington, National Gallery of Art 4. Leonardo (attr. a Lorenzo di Credi), Studio per la Madonna della melagrana. Dresda, Kupferstich-Kabinett

Nella seconda metà degli anni sessanta del Quattrocento Leonardo è avviato all’attività artistica nella bottega di Andrea del Verrocchio, patrocinato da un padre potente e autorevole che aveva evidentemente intuito le capacità del ragazzo. In quest’ambito, e fino ai primi anni Settanta, Leonardo incontra sicuramente altri giovani già affermati che frequentavano saltuariamente il laboratorio, ma negli scritti vinciani emerge solo un nome, quello di Sandro Botticelli, al quale Leonardo accenna in due passi bonariamente polemici, tali da attestare una considerazione elevata da parte del Vinci, e una frequentazione significativa per entrambi. È invece la Vita vasariana ad accostare a Leonardo i nomi di altri comprimari e soprattutto quello di Lorenzo di Credi, definito compagno di lavoro e imitatore solerte: “a Lorenzo piaceva fuor di modo la maniera di Lionardo…” (edizione giuntina, 1568).

Ho dedicato al Credi molti dei miei studi iniziali, ritornandovi anche più volte in epoca recente; saluto pertanto con favore tutti quegli interventi che aggiungono qualcosa alla personalità e al lavoro di un pittore di buon livello e di personalità non mediocre; ma ritengo che sia improprio riferire a lui la piccola Madonna di Washington. La mia opinione, ipotetica nei dettagli ma credibile in linea di massima, è che il “mirabile e celeste Lionardo” (Vasari) operando a fianco di Lorenzo intorno al 1470, abbia concesso al più giovane amico (li separavano circa cinque anni) un preciso momento di attenzione e di scambio: in pratica una divertita partecipazione del vinciano alla elaborazione di qualche disegno e soprattutto di due dipinti di piccolo formato, una pausa rispetto alle precoci e originalissime ricerche di vario orientamento: quelle che allora apparivano ai più come le insolite stravaganze di un giovane inquieto, e che Vasari, scrivendo nelle Vite a poca distanza di tempo, sinteticamente definiva come un “ghiribizzare”. Sia la Madonna della melagrana, sia l’Annunciazione del Louvre (per esigenze di brevità rimando anche qui alle schede del Catalogo della mostra fiorentina del 2019) sono infatti costruite sulla base di composizioni di taglio tradizionale, ben articolate nello spazio, prive però di quegli slanci innovativi che Leonardo manifesta fin dagli esordi nell’attività pittorica e grafica (figg. 5,6,17). In entrambi i casi l’esecuzione rivela un processo di crescita dell’immagine che, partendo da uno schema di base complessivamente convenzionale, conduce alla delicatissima e raffinata ‘pelle’ del dipinto.

Un confronto, palesemente inascoltato, fra la tavoletta di Washington e le Madonne crediane (Leonardo. Il disegno del mondo, Catalogo della mostra a cura di Marani-Fiorio, Milano 2015), rivelava già una radicale diversità della gamma cromatica, che nei dipinti del giovane Lorenzo di Credi è fondata su un ventaglio limitato di tonalità intermedie (azzurro, giallo, verde, più raro il rosso) che variano con lievi oscillazioni chiaroscurali, mentre la materia, distesa con estrema cura, emula la levigata e statica lucentezza della maiolica (fig. 9); un aperto apprezzamento per il magistero di Lucca della Robbia che avevo citato un tempo, e che vedo opportunamente riproporre in tempi recenti. Niente di tutto ciò nelle due tavolette citate, nei colori che esorbitano dalle gradazioni più frequenti presentando qua e là singolari scoloriture o accensioni, ma che si distinguono soprattutto per una modellazione che evoca sensazioni tattili: ammaccature e rigonfiamenti serbano traccia di una scomposizione/ricomposizione appena ultimata, e tradiscono una impercettibile vitalità delle superfici, che si avverte a visione ravvicinata, come esige la piccola dimensione. Esattamente quella mobilità interna della forma che si manifesta nel tessuto che lievita in sospensione sul corpo della fanciulla raffigurata nel disegno di Dresda, e nel formicolare della capigliatura.

Limitando in questo caso il discorso alla Madonna della melagrana, richiamo la peculiarità delle tipologie e delle varianti contenute non solo nei dipinti di Leonardo, ma anche nei disegni. Un gruppo di figure femminili legate al richiesto soggetto della Vergine col Bambino e all’Annunciata, tradiscono una scelta non convenzionale, solitamente ignorata o mal interpretata da qualche intervento critico: come si evince dalle immagini (figg. 10-12, 16-17), alcune sono madri bambine che partecipano ai giochi del figlio con un gatto o con un ramoscello fiorito sorridendo appena, e che si presentano vestite semplicemente, spettinate, con poche ciocche che spiovono sulle guance ancora infantili, i capelli malamente appuntati sotto la pezzuola che caratterizzava le donne maritate (fig. 16). Non è impossibile che Leonardo guardasse con un filo di pena a quelle giovanette che spesso, appena uscite dalla pubertà, venivano ingravidate a ripetizione da mariti di età matura: uomini facoltosi che esigevano una prole numerosa, procurandosi nel contempo un riconoscimento della propria virilità. Quattro volte si maritò Ser Piero, padre di Leonardo e notaio della Signoria: due delle sue quattro mogli partorirono ben dodici figli, e almeno una di queste andò sposa a quindici anni; non credo che ne avesse molti di più la Caterina che generò Leonardo, prontamente accasata dopo il parto e allontanata dalla casa di Ser Piero...

Confronto tra Leonardo da Vinci e Lorenzo di Credi
In senso orario: 5. Leonardo, part. della fig.3
6. Leonardo, part. della fig. 4
7. Lorenzo di Credi, Studio per una Madonna. Firenze, Galleria degli Uffizi, Gabinetto Disegni e Stampe, 1195 E


Leonardo (attr. a Lorenzo di Credi), Madonna della melagrana, nota anche come Madonna Dreyfus. Washington, National Gallery of Art Lorenzo di Credi, Adorazione del Bambino, collezione privata
8. Leonardo (attr. a Lorenzo di Credi), Madonna della melagrana, nota anche come Madonna Dreyfus. Washington, National Gallery of Art 9. Lorenzo di Credi, Adorazione del Bambino, collezione privata


Confronto tra Leonardo da Vinci e Lorenzo di Credi
Riga sopra, da sinistra:
10. Leonardo, Madonna della melagrana (part. della fig. 3)
11.Leonardo, Madonna col Bambino, nota anche come Madonna Bénois, part. San Pietroburgo, Ermitage
12. Leonardo, part. della fig. 4

Riga sotto, da sinistra:

13.Lorenzo di Credi, part. della fig. 9 (Madonna del latte)
14. Lorenzo di Credi, Adorazione del Bambino (part.). Londra, National Gallery
15. Lorenzo di Credi, Madonna col Bambino (part.). Torino, Galleria sabauda

Di diverso segno la formula della Madonna variamente atteggiata che compare nella vasta produzione pittorica di Lorenzo: nelle testimonianze degli esordi anche la Maria crediana è molto giovane, vestita con cura e senza ricercatezza, ma risponde a una esplicita standardizzazione: uno stesso volto soavemente inespressivo, il capo coperto da un velo o dal mantello, i capelli che scendono in bande regolarmente ondulate, le grandi mani (un po’ goffe a dire il vero) che si congiungono in preghiera o si chiudono sul corpo del Bambino secondo moduli costantemente ripetuti (figg. 13-16, 18-20). Anche per la Venere degli Uffizi, a mio parere un capolavoro con cui il pittore provò a divergere (forse coscientemente, o almeno lo spero) rispetto alla trionfante e splendida formula botticelliana degli anni Ottanta e Novanta: il volto dichiara in prima istanza la coincidenza con le Madonne, il corpo atletico è stabile, una sciarpa lo cinge senza svolazzi, la capigliatura è composta e solo qualche ciocca si solleva nell’aria, rigida nel ricciolo come una lamina di rame.

L’immagine che si conserva nella tavoletta di Washington, benché logorata in qualche tratto (soprattutto nel corpo del Bambino) rivela una lievità che si concentra nella mano protesa, appena flessa al polso dal gesto che porge la melagrana: nelle lunghe dita esposte in sospensione si manifesta una sintesi di esplicita novità, non paragonabile alle articolazioni che contrassegnano la gestualità un po’ leziosa di altre raffinate Madonne della cerchia verrocchiesca, e tanto meno quelle di Lorenzo di Credi; una mano affine a quella che nella grande Annunciazione vinciana degli Uffizi la Vergine punta imperiosamente sul grande codice, manifestamente forzando l’articolazione del polso.

Un’analoga vitalità contrassegna l’Angelo con il quale Leonardo si introduce nella stesura incompiuta di un Battesimo di Cristo commissionato al Verrocchio e realizzato nella bottega con l’apporto di alcuni collaboratori; ultimo, e più invasivo, l’apporto di Leonardo, che, proprio a partire dal bellissimo Angelo, modificherà ciò che era stato iniziato riprendendo l’elaborazione pittorica di buona parte della tavola (fig. 21). Proprio il Battesimo offre l’opportunità di riproporre quel confronto Leonardo-Lorenzo che già in rapporto alle Madonne abbiamo visto sbilanciato in favore del vinciano, non soltanto per un divario di qualità, ma per la spregiudicatezza dell’uno in rapporto al conformismo dell’altro. Se si accosta il Battesimo degli Uffizi alla tavola analoga commissionata a Lorenzo di Credi dalla importante Compagnia fiorentina di S.Giovanni Battista (oggi in San Domenico a Fiesole, figg.21-22), la distinzione fra l’impostazione innovativa del primo e il taglio convenzionale del secondo è esplicita, anche se Lorenzo conferma la coerenza delle sue scelte: a livello compositivo egli tiene conto della soluzione ‘riformata’ dall’antico condiscepolo, ma l’insieme è di stampo tradizionale, fondato su forme stabili e plasticamente definite; proprio in rapporto agli Angeli che assistono all’evento, Lorenzo scarta l’asimmetria e la fluidità della soluzione vinciana, e perfeziona il suo gruppo angelico rinforzandolo nel numero e ribadendo la sua fedeltà alla tradizione con una misurata selezione dei colori e una distribuzione degli stessi altrettanto calcolata.

Confronto tra Leonardo da Vinci e Lorenzo di Credi
Riga sopra, da sinistra:
16. Leonardo, Studio per una Madonna del gatto. Firenze, Galleria degli Uffizi, Gabinetto Disegni e Stampe, 421 E, recto
17. Leonardo (con Lorenzo di Credi), Annunciazione (part.). Parigi, Museo del Louvre

Riga sotto, da sinistra:
18. Lorenzo di Credi, Testa di giovinetta (Studio per la Venere). Vienna, Albertina
19. Lorenzo di Credi, Venere (part.). Firenze, Galleria degli Uffizi
20. Lorenzo di Credi, Testa di giovinetta. Dublino, National Gallery of Ireland


Confronto tra Leonardo da Vinci e Lorenzo di Credi
A sinistra: 21. Bottega di Andrea del Verrocchio, con largo intervento di Leonardo, Battesimo di Cristo (part.). Firenze, Galleria degli Uffizi. A destra: 22. Lorenzo di Credi, Battesimo di Cristo (part.). Fiesole, San Domenico


Confronto tra opere di Leonardo
In senso orario: 23. Leonardo, Madonna del garofano (part.). Monaco, Alte Pinakothek
24. Leonardo (attr. ad Andrea del Verrocchio), Studio per la Madonna del garofano Parigi, Museo del Louvre, Département des Arts Graphiques 25. Leonardo, Studio di testa femminile. Firenze, Galleria degli Uffizi, Gabinetto Disegni e Stampe, 428 E

Torno, per concludere, all’attività giovanile di Leonardo e al tema più richiesto dalla committenza, ovvero l’immagine della Madonna col Bambino. C’è nei documenti una lieve traccia che può tradire una variazione di orientamento : un appunto autografo contenente la data 1478 vede Leonardo segnalare un momento che dovette avere per lui una qualche importanza: l’inizio di due dipinti (“Incominciai le due Vergini Marie... ”)che purtroppo non possiamo identificare. Si trattò forse di due commissioni impegnative che lo portarono a rivedere il suo modo di guardare al personaggio della Vergine e alla nascita di Cristo, e che lo indussero a ideare per l’Adorazione dei Magi, intorno al 1480, un gruppo divino circondato da una corte ossequiente e timorosa insieme. Non possiamo avere certezze, ma indubbiamente la Madonna del garofano (Monaco, Alte Pinakothek, fig. 23), propone una tipologia diversa rispetto a quella che ho raccolto idealmente attorno al foglio con la Madonna del gatto; valorizzando formule di stampo verrocchiesco che nei primi anni del tirocinio aveva forse polemicamente scartato, Leonardo elabora una soluzione ambiziosa, forse alla ricerca di un successo che a Firenze tardava a venire, e che in effetti negli anni giovanili gli fu negato. La protagonista della tavola monacense è una madre lussuosamente abbigliata e acconciata con eleganza, legata al figlio da un rapporto d’impronta dinamica, tanto che l’offerta del garofano dal lungo stelo assume il tono di una piccola cerimonia. Considerata in rapporto a due Studi di Testa femminile, nei quali i volti levigati sono impreziositi da elaborate acconciature (figg. 24, 25), la Madonna di Monaco risulta progettata per una destinazione di livello elevato, ed è forse quella che pervenne alla corte papale, sinteticamente menzionata dal Vasari. I picchi scoscesi che qualificano il paesaggio alle spalle del gruppo divino, e, in primo piano, il panneggio artificiosamente raggrumato e il vaso di vetro con il ciuffo di fiori, sono inequivocabili anticipazioni di ciò che Leonardo farà in seguito allargando il raggio dei suoi pensieri e delle sue sperimentazioni, e che troverà eco, a breve e a lunga distanza, nelle interpretazioni dei suoi tanti estimatori.


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