Travestito, transgender, genderfluid: molti sono stati i tentativi di definire l’identità di Charles-Geneviève-Louis-Auguste-André-Timothée d’Éon de Beaumont, meglio noto come il Chevalier d’Éon (Tonnerre, 1728 - Londra, 1810), noto per essere stato uno dei primi personaggi en travesti della storia e il primo a presentarsi pubblicamente come una donna, benché fece credere di essere nato come persona di sesso femminile. L’unicità della figura del Chevalier d’Éon, ha scritto lo studioso Gary Kates, sta nel fatto che si tratta del primo caso di “figura pubblica che ha assunto con successo un’identità femminile ogni giorno per trent’anni”. Nato da una famiglia francese di nobili origini, il cavaliere (che, come detto, affermava nella sua autobiografia di essere nato femmina e di esser stato cresciuto da maschio, benché in realtà fosse effettivamente un uomo) lavorò per anni nell’amministrazione del regno di Francia per poi diventare nel 1756 una spia al servizio di Luigi XV, e in seguito, nel 1760, capitano dei dragoni dell’esercito francese durante la guerra dei Sette Anni, al servizio del maresciallo de Broglie. Nel 1762 fu inviato in missione diplomatica a Londra per discutere le condizioni del trattato di pace, che fu firmato il 10 febbraio nel 1763 (per il suo ruolo, Charles de Beaumont ricevette un premio in denaro e il cavalierato dell’Ordine di San Luigi, assumendo dunque il nome con cui è oggi universalmente noto).
Nel 1763 divenne ministro plenipotenziario nel Regno Unito (una sorta di ambasciatore ad interim) per poi essere sostituito nel 1763 dal conte di Guerchy, divenuto ambasciatore: a causa dei dissapori con quest’ultimo e in polemica con la madrepatria, decise di disubbidire all’ordine di tornare in Francia. Dopo alterne vicende, la situazione del cavaliere, che in quanto diplomatico era in possesso di documenti segreti (che agirono da deterrente nei confronti di azioni nei suoi confronti), fu definita nel 1766, quando il re Luigi XV gli garantì una cospicua pensione e il cavaliere decise di stabilirsi definitivamente in Gran Bretagna. Fu a partire da quest’epoca che cominciò a vivere da donna. Non è semplice ricostruire la sua vita da donna (ma anche quella precedente) per via delle versioni spesso contrastanti rese dai contemporanei e dai biografi, per le speculazioni che si sono succedute lungo i secoli, e anche per le dichiarazioni rese dallo stesso Chevalier d’Éon, ed è ugualmente difficile usare definizioni corrette e al riparo da discussioni per identificare la figura del cavaliere. Quel che è certo, è che le voci pruriginose sul suo conto lo resero una delle celebrità del suo tempo.
Del Chevalier d’Éon si conservano anche ritratti, stampe, immagini satiriche. L’opera più nota che lo raffigura è un ritratto conservato alla National Portrait Gallery di Londra, che è stato a lungo equivocato come il ritratto di una donna e che fece scalpore quando, nel 2012, fu acquisito dal museo londinese. Si tratta, secondo la National Portait Gallery, di un “documento storico senza precedenti” in quanto precoce testimonianza di una persona che indossava abiti non associati al suo sesso biologico. Quando l’acquisizione venne proposta all’istituto londinese, lo si riteneva il ritratto di una donna del tempo: la vera identità del soggetto fu scoperta quando il proprietario del dipinto del francese Jean-Laurent Mosnier da cui è stato tratta l’opera della National Portrait Gallery, che si deve invece alla mano dell’inglese Thomas Stewart (1766 - 1801 circa), si mise in contatto col museo per condividere le informazioni in suo possesso. Il dipinto di Mosnier era stato esposto alla Royal Academy nel 1791, e fu acquistato l’anno dopo da un ufficiale irlandese, Francis Hastings Rawdon, marchese di Hastings e conte di Moira. Lo stesso personaggio probabilmente commissionò a Stewart (di cui si legge la firma sul ritratto della National Portait Gallery) una copia dell’originale di Mosnier per un amico, sir John MacNamara Hayes. Alla morte di quest’ultimo, il ritrattò passò di mano in mano fino a essere messo in vendita all’asta nel novembre del 2011, con titolo Donna con cappello di piume e attribuzione a Gilbert Stuart (la firma fu scoperta dopo una pulitura).
Nel dipinto, il Chevalier d’Éon è ritratto da cinquantenne, con un elegante abito nero a collo bianco finemente ricamato, indossa un parrucca grigia e un cappello piumato con una coccarda coi colori francesi, e la croce dell’Ordine di San Luigi orgogliosamente appuntata al petto non lascia dubbi sulla sua identità, ulteriormente rimarcata dal velo grigio dei peli della barba che, benché perfettamente rasati, si palesano sotto l’epidermide evidentemente non coperta di cipria per dissimulare la mascolinità. “Il dipinto”, dichiarò al Guardian, all’epoca dell’acquisizione, la storica dell’arte Lucy Peltz, curatrice dei ritratti del XVIII secolo alla National Portrait Gallery, “getta una luce affascinante sulle tematiche di genere nella storia e uno dei motivi per cui la galleria era così desiderosa di acquisire il ritratto è che D’Éon è una figura incredibilmente ispiratrice, nonché una delle pochissime figure storiche di modello positivo per il pubblico LGBT moderno che la galleria può rappresentare”. La società londinese del tempo, scriveva il giornalista Mark Brown nello stesso articolo, non era particolarmente aperta e poté accettare il cavaliere semplicemente perché si presentava come donna, malgrado “non fosse il più femminile dei travestiti: al di là della barba ispida, quando saliva le scale si sganciava la gonna ed era piuttosto rude e sgraziato. Niente di ciò, tuttavia, ha impedito a scrittrici pioniere del femminismo come Mary Robinson e Mary Wollstonecraft di salutare il Chevalier d’Éon come un fulgido esempio di forza d’animo femminile, qualcuno a cui le donne dovrebbero guardare e a cui aspirare”.
In effetti, il cavaliere, che si presentava come “Mademoiselle de Beaumont”, era davvero visto da molti come un esempio (ricordiamo che tutti all’epoca pensavano che fosse una donna). Già nel 1777, il letterato inglese George Keate poteva scrivere, in una lettera a Voltaire datata 15 agosto, che “ogni donna d’Europa dovrebbe innalzare un altare a d’Éon per aver fatto così tanto in onore del loro sesso”. Per Keate, d’Éon era la prova che una donna può “coltivare tutte le arti politiche, acquisire gloria militare e sostenere le virtù anche nel mezzo delle più grandi tentazioni”. Naturalmente non mancavano i suoi avversari (il nobile James Boswell lo considerava un “mostro”: “non avevo mai visto prima d’ora”, scriveva nel 1780, “una donna dalle maniere così assurde, mascoline, inadatte al suo sesso”). Fu uno shock scoprire, alla sua morte nel 1810, che il Chevalier d’Éon era effettivamente un uomo. E di conseguenza cambiò anche l’atteggiamento nei suoi confronti. “Gli scrittori del XIX secolo”, spiega Gary Kates, “lo consideravano un imbroglione, un artista della truffa, autore di una delle più grandi frodi della storia europea. Al contrario, a partire dagli anni Trenta del Novecento, gli studiosi hanno cominciato ad affermare che D’Éon era vittima di una particolare condizione psicologica radicata nel suo carattere fin dall’infanzia, e sulla quale aveva poco controllo”. Uno dei pionieri della sessuologia moderna, lo psicologo britannico Havelock Ellis, coniò addirittura il termine “eonismo” per identificare l’atteggiamento degli uomini che intendono imitare le donne, finendo per identificarsi con una persona di sesso femminile. Successivamente, al posto di “eonismo” avrebbe cominciato a diffondersi il termine “travestitismo”.
Il sesso del cavaliere era diventato argomento d’interesse di tutti almeno a partire dal 1771, epoca in cui cominciarono anche a diffondersi suoi ritratti. Ci sono anche stampe in cui viene raffigurato mentre tira di scherma: dopo la rivoluzione francese e la caduta della monarchia, infatti, la pensione che gli veniva erogata dalla Francia fu sospesa e il Chevalier d’Éon fu costretto a inventarsi qualcosa per rimpinguare le sue entrate. Così cominciò a esibirsi in incontri di scherma, sempre in abiti femminili (del resto, fin dal 1777, anno della pubblicazione della sua autobiografia, aveva cominciato a presentarsi pubblicamente come una donna), circostanza che lo rese ulteriormente popolare, dato che all’epoca era cosa estremamente rara vedere una donna tirare di scherma. Malgrado la fama, le entrate non erano però sufficienti e il cavaliere trascorse nelle ristrettezze l’ultima parte della sua vita: abitava assieme a una vedova, la signora Coles, in condizioni del tutto modeste e morì in povertà nel 1810 all’età di ottantuno anni.
A oggi non sappiamo con certezza perché il Chevalier d’Éon decise di trascorrere da donna metà della sua vita. L’unica sicurezza che abbiamo è che i suoi contemporanei credevano alla storia da lui fornita con l’autobiografia del 1777, dove diceva di essere una donna che era stata educata come un maschio. Quando in realtà era l’esatto contrario: era un uomo che si presentava come una donna. Così, per spiegare il suo comportamento, molti studiosi hanno avanzato le ipotesi più disparate. C’è chi ha avanzato ragioni di ordine psicologico o medico, che però sono state poi scartate. Altri hanno pensato che il travestitismo del cavaliere fosse la risposta a una carriera politica ambita ma fallita. Kates, nel suo saggio del 1995, avanzava per primo l’ipotesi che il cavaliere fosse un pensatore, un teorico, piuttosto che un personaggio che era rimasto vittima di un disordine scoperto solo dopo la sua morte, e che la sua transizione verso un’identità femminile fosse dovuta a una crisi interiore. Nella sua libreria, composta da circa seimila volumi (una raccolta enorme per il tempo), figuravano diversi libri che potremmo classificare come femministi, a cominciare dal Discours sur les femmes pubblicato nel 1768, e trattati che dedicavano ampio spazio alle donne, come la storia delle donne francesi in sei volumi pubblicata da Aublet de Maubuy negli anni Sessanta, e addirittura il manoscritto del Champion des dames di Martin Le Franc, un trattato proto-femminista del 1440 circa.
E poi, dopo la sua morte, si scoprì che il cavaliere aveva lasciato più di duemila pagine manoscritte, e in alcune di queste viene affrontato il problema delle differenze di genere dal punto di vista di una persona che aveva peraltro deciso di incamminarsi su di un sentiero spirituale cristiano. “Agli occhi degli uomini”, si legge in una di queste pagine, “io sono come un feto abortito. Ma nella grazia di Dio io sono quello che sono e la grazia che mi è stata data non è stata vana. Dio dona a tutti un corpo come meglio crede. Se è inghiottito dalla corruzione, rinascerà incorruttibile. Se è inghiottito dalla debolezza, rinascerà forte. Se è inghiottito dall’orrore, rinascerà nella gloria”. Secondo il cavaliere, non c’è niente che un cristiano possa fare dinnanzi al corpo che gli è stato concesso, eccetto pregare per la grazia di Dio, e per fortuna “ogni differenza sparirà al momento del giudizio finale”. E secondo il cavaliere, agli occhi di Dio non importa se qualcuno ha vissuto da uomo o da donna. “Le differenze di sesso sono irrilevanti per la salvezza. È scritto che ’Dio non si fa problemi per l’aspetto delle persone’”. Secondo Kates, in breve il cavaliere leggeva san Paolo filtrato attraverso l’ideologia della querelle des femmes che all’epoca animava i dibattiti filosofici. E poiché il Chevalier d’Éon riteneva che il genere non avesse alcun significato per Dio, allo stesso modo non avrebbe dovuto averlo per i cristiani, che spinti a imitare Cristo dovrebbero pertanto ignorare le differenze anche nel corpo. Alla luce di ciò, non ci sarebbe alcun problema se un uomo decide di vivere da donna, o viceversa. Per Kates, il percorso del cavaliere sarebbe dunque quello di un uomo che rinasce nella fede cristiana nelle vesti di una donna, poiché il Chevalier d’Éon riteneva che le persone di sesso femminile, peraltro, fossero meno inclini al peccato rispetto ai maschi (questo perché, secondo la mentalità del cavaliere, gli uomini, nella loro corsa al potere politico, all’autorità militari e all’accumulo di beni materiali, avevano più occasioni di farsi tentare). I caratteri di unicità del suo pensiero sono dunque dovuti, ha scritto Kates, a questa particolare compresenza di fervente ardore cristiano e femminismo militante. E la sua trasformazione “dev’essere vista come parte di una crisi morale e spirituale di mezza età causata dal suo status politico di esiliato a Londra [...]. In breve, d’Éon diventò una donna per rigenerare la sua virtù perduta”.
Infine, in uno degli studi più recenti, la storica Marilyn Morris, nel saggio The Chevalière d’Eon, Transgender Autobiography and Identity del 2018, riferendosi al personaggio col sostantivo “chevalière” (dunque al femminile), ha sottolineato come ci siano evidenze del fatto che il cavaliere si fosse travestito da donna anche prima del 1777, e che quella fosse diventata effettivamente la sua condizione. In realtà, secondo Morris, sappiamo troppo poco dell’identità di genere del Chevalier d’Éon per trarre conclusioni: “non sapremo mai con certezza se la chevalière credesse veramente di essere una donna o si fosse persuasa che i suoi genitori avevano allevato una ragazza da ragazzo”, scrive Morris. “Sappiamo che è riuscita a scrivere una narrativa transgender che almeno rivela il modo in cui voleva essere ricordata. Tuttavia, alcuni temono che la designazione di transgender, così come quella di queer, rischi di diventare così ampia e onnicomprensiva da correre il rischio di diventare priva di significato. Ritengo utile, tuttavia, gettare la rete in modo ampio e catturare l’intera gamma di identità di genere al fine di apprezzare le forze culturali mutevoli che le persone con varianti di genere hanno dovuto negoziare nel corso della storia”.
Oggi, comunque, il Chevalier d’Éon è visto come un precursore della comunità transgender, tanto che una delle principali risorse britanniche di supporto alle persone che appartengono a questa comunità si chiama Beaumont Society in suo onore. Il Chevalier d’Éon, ha scritto Anna Clark, “potrebbe essere visto come una persona che rivelò il suo vero sé femminile dopo essersi visto intrappolato in un corpo nato biologicamente maschile”. Ma è anche vero che il cavaliere non intendeva apparire come una donna dai modi femminili e non si comportava secondo le convenzioni che il XVIII secolo attribuiva alle donne, tant’è che addirittura ha continuato per tutta la vita a indossare le sue decorazioni militari e a portare con sé la sua spada. Più che una trasformazione da un genere all’altro, la vicenda del cavaliere può essere dunque etichettata come uno dei primi casi di gender fluidity noti? La personalità di questa singolare figura del Settecento ha ancora molti lati da indagare.