L’Italia è ricca di eccellenze poco note, eccellenze spesso nate da intuizioni del momento, a volte dal caso, a volte dall’opportunità. Una di queste è il museo della Centrale Montemartini, quartiere Ostiense, Roma: gioiello, tanto curato quanto oscuro, tanto eccezionale quanto troppo poco noto.
Quello che è definito come il “secondo polo museale” dei Musei Capitolini è in realtà molto di più, è un museo unico in Italia e con pochi paragoni nel mondo, che intreccia, magistralmente, due storie diverse che il destino volle intrecciare. La prima è quella della Centrale Montemartini, la centrale termoelettrica di Roma, gioiello dell’azienda Aem (Azienda Elettrica Municipale) inaugurata nel 1912. Intitolata all’assessore che più di ogni altro la volle, Giovanni Montemartini, doveva servire la capitale, ma doveva essere anche bella, imponente, come azienda pubblica al servizio della città. Le turbine a vapore e i motori della Franco Tosi di Legnano, maestosi e in grado di raccontare una storia cittadina pur notevole, sarebbero stati però forse condannati al dimenticatoio dopo la dismissione dell’impianto nel 1963, quando era ormai divenuto obsoleto. La seconda è quella degli scavi di fine XIX secolo avvenuti in Roma all’indomani della trasformazione in capitale d’Italia, scavi sistematici e confusi, in un momento in cui il volto della città viene stravolto, che riempiono i magazzini e gli spazi espositivi dei Musei Capitolini e della Soprintendenza, senza trovare una dimensione in grado di valorizzare reperti unici e specifici, che non raccontano solo la storia della Roma antica ma anche della furia urbanistica tardo ottocentesca.
Queste due storie si incontrano nel 1995: era tempo di una grande mostra, voluta dalla Sovrintendenza Capitolina ai Beni culturali, che avrebbe permesso di procedere ai lavori di ristrutturazione di ampi settori dei Musei Capitolini, senza sottrarre al pubblico le opere, e anzi esponendone di poco note. Scattò l’idea: i monumentali spazi della Centrale Montemartini, scanditi dai giganteschi macchinari superstiti, furono considerati, con coraggio, adatti a ospitare i reperti e a sperimentare nuove soluzioni museografiche. Acea, l’erede di Aem e proprietaria dell’impianto, che aveva già deciso di trasformare lo spazio in luogo di cultura, accettò di realizzare la trasformazione della sede a Museo, adeguando gli spazi alla nuova destinazione d’uso individuata e restaurando le macchine. I Musei Capitolini, da parte loro curarono la mostra archeologica. I due diversi interventi furono realizzati contemporaneamente, “con grande entusiasmo e in piena sintonia” secondo il sito del museo. Ma fu all’apertura della mostra, nel 1997, felicemente intitolata Le Macchine e gli dei, che ci si rese conto che era nata non una mostra, ma un gioiello: macchine e statuaria antica dialogavano creando scorci e sensazioni, capaci di catturare l’interesse e le suggestioni del pubblico molto più di quanto avrebbero fatto, separate, le turbine Franco Tosi e i capolavori degli scultori antichi. L’esperimento avrebbe dovuto restare tra noi, e così è stato, trasformando la Centrale Montemartini in sede museale permanente, come avvenuto nel 2001.
Il museo è di una bellezza e una capacità di coinvolgimento anomala, per un museo in generale e per un museo archeologico ancor di più, data la difficoltà strutturale di rendere interessanti per i non addetti ai lavori successioni di reperti antichi. Il dialogo tra “macchine” e “dei”, di per sé cacofonico, risulta essere, alla Centrale Montemartini, sorprendentemente armonioso, finendo per portare il visitatore a voler scoprire sia chi fosse quell’imperatore di cui mai aveva sentito parlare, sia come funzionasse quell’enorme macchina a vapore che si trova alle sue spalle. E permettendo diverse chiavi di lettura e di visita: l’archeologo e lo storico o l’appassionato di arte antica troverà alcune opere di straordinario interesse, romane e anche preromane, coerentemente esposte in base ai contesti in cui sono state rinvenute (cosa non scontata nei musei archeologici), il museologo troverà scelte espositive audaci e come tali analizzabili e discutibili, il visitatore avulso dal settore passerà una o due ore di visita in un contesto molto diverso dal solito, molto meno oppressivo di tanti musei di settore, circondato da arte antica e macchine primonovecentesche, finendo per trarre spunti e curiosità per ciascuno diversi.
Il percorso espositivo merita un breve cenno. Nelle sale d’ingresso si trovano mostre temporanee, di norma a tema e volte a valorizzare frammenti specifici delle collezioni capitoline. A seguire, la “sala colonne” dedicata alla Roma repubblicana. Si tratta della parte più “normale” dell’esposizione, nel senso di contenuta in sale con pareti monocrome in linea con le tendenze della museografia contemporanea. Ma solo le due sale successive, la Sala Macchine e la Sala Caldaie, ad essere la parte caratterizzante del museo. La Sala Macchine è la più suggestiva e unica: una serie di statue, busti e teste si dispongono lungo i due enormi macchinari (due motori diesel Franco Tosi), restaurati e intatti, instaurando un gioco di magnificenti scambi, volutamente incentrato sulla reciproca monumentalità. Sul fondo, le statue che componevano il frontone del tempio di Apollo Sosiano, originali greci del V secolo a.C. (a differenza del grosso della collezione, datata tra il II secolo a.C. e il III d.C.) riutilizzati a Roma in seguito a una spoliazione. Nella Sala Caldaie, dedicata alle residenze private di età imperiale, il confronto tra macchine novecentesche e antichità è meno serrato per via di alcuni pannelli monocromi che hanno circondato la parte inferiore della sala. Qui trovano spazio mosaici, magistrati, divinità e, sul fondo, una turbina a vapore (dotata di due caldaie Tosi-Steinmüller) acquistata sul finire degli anni Trenta, e che rese necessaria la realizzazione della nuova sala. Ci sono tante storie in queste sale per chi vorrà scoprirle, perché molti dei reperti, tutti con didascalia adeguata, sono unici o rari nel mondo romano: statue di magistrati anonimi eroizzati, di fanciulle, di imperatori e di divinità, di fauni e satiri. Ma anche monumenti funerari e il corredo di una bambina, Creperia Tryphaena, capace di portare dolore alla famiglia al momento del decesso, avvenuto intorno al 150 d.C., così come stupore nel quartiere Prati al tempo della scoperta, nel 1889: la defunta era in straordinario stato di conservazione, secondo gli scritti del tempo, e ancora possiamo vedere la sua bambola lignea. Una volta in più, passato remoto e passato recente dialogano nel museo. Molte di queste storie sono raccontate nel catalogo online del museo, per chi vorrà prepararsi alla visita. Ma per tanti visitatori basterà perdersi tra macchine e dei.
Magnifico intruso nell’esposizione, ma in realtà coerente in questo dialogo tra due passati diversi, il sontuoso treno realizzato dal papa Pio IX nel 1846, finito accantonato dopo l’unità d’Italia, ma conservatosi e restaurato insieme agli arredi. Trova spazio, insieme a un dettagliato racconto delle sue vicende, nella seconda Sala Caldaie.
La Centrale Montemartini non è un museo meta di ampi flussi turistici, e raramente troverete una calca: un peccato, da una parte, data la sua straordinarietà poco valorizzata, una fortuna dall’altra per chi deciderà di visitarlo. Eppure nell’ombra continua a splendere, e merita una visita, cinque, dieci, perché ha qualcosa che nessun altro luogo espositivo potrà darvi, e che le fotografie non rendono fino in fondo: l’unicità degli esperimenti perfettamente riusciti.
L'autore di questo articolo: Leonardo Bison
Dottore di ricerca in archeologia all'Università di Bristol (Regno Unito), collabora con Il Fatto Quotidiano ed è attivista dell'associazione Mi Riconosci.