Cen Long, un outsider dissidente dell'arte cinese contemporanea


Cen Long è uno dei più singolari artisti del panorama cinese contemporaneo: disinteressato al business (non vende le sue opere), refrattario a ogni ingerenza politica, si sta facendo conoscere in Europa con una serie di mostre in cui propone la sua arte fortemente debitrice della sua vasta cultura in materia di storia dell’arte europea.

Zeng Fanzhi, Zhuang Hui, Chen Zhen, Liu Wei, Liu Bolin, Sun Yuan e Peng You, Ai Weiwei, Xu Bing, Cai Guoqiang, Chen Zhen, Huang Yongping: questi sono probabilmente i primi nomi di artisti che il pubblico occidentale degli appassionati d’arte considera come i più rappresentativi esponenti della scena cinese contemporanea, complice il fatto che quasi la metà di loro ha scelto di proseguire la carriera in Europa o in America. Se si cerca di rintracciare un minimo comune denominatore tra queste poetiche eterogenee ed espresse con linguaggi così differenti, si potrebbe forse osservare come esse condividano la vocazione per la dimensione ambientale, un’attrazione di stampo post Pop per l’oggetto e la ricerca di una comunicazione immediata che rifiuta sofisticate mediazioni concettuali. Ripensando alle opere viste nelle principali fiere e manifestazioni, l’attitudine artistica nazionale appare estremamente compatta e autosufficiente nell’ibridare con la tradizione locale suggerimenti stilistici desunti in modo sincretico dalle principali correnti artistiche occidentali, come Impressionismo, Surrealismo, Informale e Iperrealismo, che solo negli anni Ottanta vennero sdoganate in Cina dopo quasi un trentennio di embargo. Dal punto di vista tematico, l’arte cinese appare variamente impegnata nel rielaborare le conseguenze della crescita urbana rapida e incontrollabile, collegata all’occidentalizzazione che succedette alla Rivoluzione del 1966-1976, nel denunciare le sacche rurali di arretratezza delle zone non interessate da questo sviluppo e nel riproporre in modo didascalico le vestigia di una millenaria cultura sotto forma di raffinati souvenir a uso e consumo dei “profani”. Tuttavia, nonostante l’apparente allineamento delle produzioni artistiche, l’impressione è che ci sia qualcosa che sfugge e che il substrato culturale ed esperienziale che ne costituisce la matrice sia molto più complesso e contraddittorio.

La Cina è una realtà variegata e a noi ancora largamente sconosciuta, a partire dalle reali ripercussioni delle politiche culturali governative sulla creazione artistica sia per quanto riguarda la circolazione interna delle opere, sia per la loro esportazione, ambiti entrambi a diverso titolo connessi al tema della costruzione dell’immagine ufficiale del Paese. Se durante il governo di Deng Xiaoping (leader dal 1978 al 1992) il lancio del programma “Boluan Fanzheng (拨乱反正)” finalizzato a correggere i portati della rivoluzione maoista coincise con una rinnovata apertura economica e un’inedita libertà di iniziativa individuale, violenti furono i disordini sociali e le oppressioni governative, culminate nel massacro di piazza Tienanmen. In quegli anni si vide una significativa introduzione di suggestioni esistenzialiste collegate all’introspezione emotiva, aspetti a lungo preclusi alla ricerca artistica in quanto considerati espressione di un’attitudine borghese e, per la prima volta nella storia della Repubblica Popolare, l’arte non ufficiale comparve come fenomeno coeso, impegnato a scalfire l’uniformità imposta dalla cultura maoista. Il successivo crollo degli ideali liberali portò, negli anni Novanta, un’ondata di pragmatismo disilluso, a cui seguì a partire dagli anni Duemila un deciso orientamento al mercato, in seguito all’importazione del meccanismo gerarchico di vendite, aste, mostre, grandi collezioni e festival (il più noto, la Biennale di Gwangju) su cui si regge il sistema dell’arte occidentale, che le politiche artistiche cinesi iniziarono ad affiancare alle commissioni pubbliche.

Negli ultimi anni, parallelamente al moltiplicarsi di spazi pubblici e privati dedicati all’arte contemporanea e all’assurgere di artisti cinesi al rango di star sulla scena internazionale, il paese ha sperimentato un acuirsi dell’ingerenza statale nelle vite private dei cittadini, che si esprime in controlli capillari nei luoghi pubblici e nei mezzi di trasporto, nell’incoraggiamento alla delazione dei dissidenti rispetto al pensiero ufficiale, fino ad arrivare alla censura di termini culturalmente fondamentali come quello di “critica”, anche applicato nella sua accezione artistica. Molte sono le domande suscitate da tale capillare intersezione di pubblico e privato e dal suo innesto in un contesto di partenza assai diversificato e già connotato da una cultura millenaria, di cui è molto arduo all’esterno avere le corrette chiavi di lettura in relazione a una produzione artistica contemporanea a prima vista tanto improntata a una sincronica e decontestualizzata assunzione di linguaggi elaborati altrove. Terminata l’epoca del Realismo Socialista, c’è oggi un’arte che si possa definire di stato? Quali tattiche di resistenza adottano gli artisti e i movimenti che prendono le distanze sia dalle tentazioni del business e sia dalle ingerenze governative? Quali ripercussioni hanno sugli immaginari degli artisti le contraddizioni del presente e le altrettanto discordanti eredità del passato?

Questo sommario excursus storico e gli interrogativi che ne derivano sono il presupposto per provare a contestualizzare il lavoro di Cen Long (Guangzhou, 1957), pittore cinese dissidente attualmente al centro di uno strutturato tour promozionale in Europa da parte della Crux Art Fundation, fondazione taiwanese costituita ad hoc dalla curatrice Metra Lin, che da quindici anni ha assunto come propria missione quella di farne conoscere l’operato al di fuori dei confini della Cina. Quest’operazione è estremamente interessante per molti aspetti: da un lato rivela in maniera più evidente di altre situazioni ciò che sta dietro alla “costruzione” del posizionamento nel sistema dell’arte di un artista che, per scelta, ne è sempre stato estraneo, e dall’altro, essendo Cen Long un outsider rispetto alla sua cultura di appartenenza, i suoi lavori permettono di scandagliare “in negativo” le tematiche di cui sopra, evidenziandone le logiche interne. È esemplare a questo riguardo, anzitutto, la biografia del pittore: nato nel 1957 a Guangzhou, la più grande città costiera del sud della Cina, l’artista è figlio di Cen Jia Wu (1912-1966), celebre antropologo e storico perseguitato durante la Rivoluzione Culturale, che in giovane età lo indirizza verso una formazione culturale di respiro internazionale stimolandolo a studiare arte, filosofia e tradizioni occidentali. Fondamentale strumento è per l’artista la ricchissima biblioteca del padre, affollata di libri in cinese, inglese, giapponese, francese, russo e tedesco, gran parte della quale venne poi confiscata o distrutta. In giovane età viene affidato a un tutore a Lione, in Francia, per proteggerlo dalle turbolenze che infiammavano la Cina e lì si avvicina alla cultura visiva europea visitando i musei locali. Al suo ritorno in patria si dedica alla tecnica dell’acquerello e da ragazzo, come tanti giovani intellettuali dell’epoca, viene inviato nella campagna di Tianmen inizialmente per svolgere lavori fisici obbligatori, poi come insegnante della scuola media locale. In seguito, si abilita per diventare membro della Divisione Artistica dell’esercito e gli viene assegnato l’incarico di aiutare i partecipanti alle mostre d’arte militare nell’esecuzione delle loro opere e di realizzare spettacoli per alleviare i soldati dal peso della guerra. Le truppe a cui è assegnato controllano le province di Henan, Hubei e Hunan, regioni aride dominate da una natura selvaggia dove entra in un profondo contatto empatico con la vita dura degli abitanti.

Cen Long
Cen Long
Cen Long, Cielo stellato (2014; olio su tela, 70 x 120 cm)
Cen Long, Cielo stellato (2014; olio su tela, 70 x 120 cm)
Cen Long, Montagne in lontananza (2015; olio su tela, 120 x 160 cm)
Cen Long, Montagne in lontananza (2015; olio su tela, 120 x 160 cm)
Cen Long, Il Poeta Cieco (2016; olio su tela, 120 x 200 cm)
Cen Long, Il Poeta Cieco (2016; olio su tela, 120 x 200 cm)
Cen Long, L’agnello smarrito (2016; olio su tela, 80 x 100 cm)
Cen Long, L’agnello smarrito (2016; olio su tela, 80 x 100 cm)
Cen Long, La pastorella (2017; olio su tela, 120 x 60 cm)
Cen Long, La pastorella (2017; olio su tela, 120 x 60 cm)
Cen Long, Seminare speranza (2017; olio su tela, 200 x 120 cm)
Cen Long, Seminare speranza (2017; olio su tela, 200 x 120 cm)
Cen Long, Ciò che appassisce fiorirà di nuovo (2018; olio su tela, 120 x 100 cm)
Cen Long, Ciò che appassisce fiorirà di nuovo (2018; olio su tela, 120 x 100 cm)
Cen Long, Il Cammino verso Casa (2018; olio su tela, 200 x 120 cm)
Cen Long, Il Cammino verso Casa (2018; olio su tela, 200 x 120 cm)
Cen Long, Luce stellare (2018; olio su tela, 80 x 100 cm)
Cen Long, Luce stellare (2018; olio su tela, 80 x 100 cm)
Cen Long, Un vangelo (2018; stampa su Carta, 126 x 111,8 cm)
Cen Long, Un vangelo (2018; stampa su Carta, 126 x 111,8 cm)
Cen Long, I giorni del vento (2019; olio su tela, 200 x 120 cm)
Cen Long, I giorni del vento (2019; olio su tela, 200 x 120 cm)
Cen Long, Il rito delle pescatrici di perle (2019; olio su tela, 200 x 360 cm)
Cen Long, Il rito delle pescatrici di perle (2019; olio su tela, 200 x 360 cm)
Cen Long, Ode alla vita (2019; olio su tela, 200 x 120 cm)
Cen Long, Ode alla vita (2019; olio su tela, 200 x 120 cm)
Cen Long, Il passaggio (2020; olio su tela, 120 x 200 cm)
Cen Long, Il passaggio (2020; olio su tela, 120 x 200 cm)

Nel 1979, Cen Long lascia l’esercito per iscriversi all’Accademia di Belle Arti di Xi’an e negli anni Ottanta partecipa al movimento New Wave, inizialmente animato dall’impegno nel combattere le strutture di potere e i loro condizionamenti sull’espressione artistica (retaggio della Rivoluzione Culturale), poi sfociato in uno smantellamento della cultura tradizionale mediante linguaggi e metodi estetici occidentali. Poi Cen Long prende le distanze anche da questa corrente e inizia a lavorare come pittore professionista all’Accademia di Belle Arti di Wuhan. Dopo un temporaneo trasferimento in Giappone, fingendo di essere uno studente all’Università di Nagoya, in realtà lavorando come docente nel dipartimento di arte, torna in Cina dove riprende a insegnare presso l’Istituto di Belle Arti di Hubei e, come artista, si astrae dal circuito nazionale, a suo avviso viziato da corruzione e faziosità. Si precisa in questa fase, risalente agli inizi degli anni Duemila, il suo stile maturo, contraddistinto dall’integrazione di tecniche occidentali e della tradizione cinese e, da un punto di vista tematico e compositivo, dall’abbandono della rappresentazione di folle di personaggi con connotati realistici benché stilizzati a favore di figure solitarie, emblemi atemporali di un’umanità eroicamente militante nell’epopea della vita. Nonostante la stima a lui riservata dai colleghi artisti e dagli allievi per la sua levatura intellettuale e per il rivoluzionario insegnamento dei valori materici della pittura a olio in aperta controtendenza rispetto ai tradizionali caratteri cinesi legati alla bidimensionalità e al predominio del segno grafico, in anni recenti ha scelto di lasciare la carriera accademica per proseguire la propria ricerca con maggior libertà.

I dipinti di Cen Long rifiutano ogni allusione politica per una ricerca spirituale svincolata da un preciso credo religioso e ritraggono un’umanità senza luogo e senza tempo, i cui rappresentanti sono personaggi umili monumentalizzati dalla pittura. Seminudi, parzialmente paludati da panneggi classici, si stagliano su fondi astrattamente notturni mentre compiono lavori di fatica come arare, seminare o pescare. I loro volti non hanno alcuna denotazione somatica precisa e spesso si risolvono in abbozzi di stesure velate. Anche quando sono più dettagliati, non aspirano a una riconoscibilità etnica o all’individualizzazione, ma alla sublimazione di un ascetismo che esprime la loro purezza d’animo e la sintonia con la bellezza del creato, condizioni che l’artista auspica possano coincidere con l’essenza dell’umanità tout court. Le anatomie, soprattutto quelle maschili, sono evocate da pennellate compendiarie, che da un lato sono precise nell’indicare la posizione di muscoli, ossa e tendini, ma dall’altro sembrano evocare la provvisorietà dell’involucro corporeo umano, destinato a dissolversi in una natura fatta della medesima sostanza. Nei corpi femminili, perlopiù prosperosi e materni, ciò che viene esaltato è il candore della carne a tratti resa violacea e livida dalle intemperie, come nel caso delle pescatrici che si immergono in acque gelide in cerca di ostriche, molluschi e crostacei. Molto importanti nelle sue composizioni sono anche gli animali, personificazioni di innocenza e docilità, spesso dotati di un’accentuazione psicologica ed emotiva superiore a quella degli esseri umani, che come abbiamo visto sono trattati come paradigmi universali. Gli sfondi su cui campeggiano le figure e anche le superfici più estese dei panneggi sono invece potenti brani di pittura astratta, dominati dal piacere del colore e della materia.

La cifra espressiva di Cen Long tenta un difficile equilibrio tra le diverse suggestioni degli autori della storia dell’arte occidentale da lui più studiati, come Gustave Courbet, Eugène Delacroix, Giuseppe Pellizza da Volpedo, Lucian Freud e i grandi maestri del XVII secolo, come Frans Hals, Diego Velázquez, Antoon van Dyck e Rembrandt, che appaiono amalgamate in un coerente distillato stilistico. Da un punto di vista tematico, i soggetti da lui prediletti sono conseguenza sia degli insegnamenti del padre antropologo, che lo incoraggiava a esplorare le tradizioni delle minoranze etniche cinesi, sia delle sue esperienze giovanili nelle province rurali al seguito dell’esercito. Ma, a ben vedere, quest’insieme, di primo acchito così deliberatamente avulso da istanze legate all’attualità, si può anche interpretare come una radicale opposizione politica cifrata da parte di un autore da anni in esilio volontario nel suo studio, che arriva a scrivere anche il suo diario personale in lingua russa. L’intento di onorare i lavoratori catturando l’essenza della loro vita quotidiana per rappresentarne lo spirito e la forza, infatti, corrisponde in modo uguale e contrario a quello del Realismo Socialista, in cui la letizia degli operai e contadini nel contribuire all’avverarsi dell’utopia comunista veniva espressa mediante l’eliminazione dalla rappresentazione di ogni traccia di fatica attraverso una figurazione dettagliata e improntata a una gamma cromatica ottimisticamente squillante. Tutto l’opposto, dunque, di quello che avviene nelle tele di Cen Long, dove il disegno cede il passo a una stesura cromatica alla prima e dove predomina un’intonazione pacata, tutta giocata su una raffinata sinfonia di neri, bruni e bianchi. Gli elementi simbolici ricorrenti (come la croce o la pecora) sono desunti dall’iconografia cristiana, anche se svincolati dal referente originario e anche la gioia dei personaggi è esemplare perché nasce da una sofferenza che non viene né occultata né edulcorata. Inoltre, tra le fonti artistiche occidentali di riferimento di Cen Long notiamo la deliberata assenza delle correnti normalmente prese a riferimento dai pittori cinesi a lui contemporanei di cui si parlava all’inizio, più orientate all’impatto immediato dell’immagine che al suo sommesso rivelarsi a un’osservazione prolungata.

Cen Long, Scritto nelle stelle (2020; olio su tela, 200 x 120 cm)
Cen Long, Scritto nelle stelle (2020; olio su tela, 200 x 120 cm)
Cen Long, Alla ricerca della luce (2021; olio su tela, 200 x 240 cm)
Cen Long, Alla ricerca della luce (2021; olio su tela, 200 x 240 cm)
Cen Long, Le costellazioni-II (2021; olio su tela, 200 x 120 cm)
Cen Long, Le costellazioni-II (2021; olio su tela, 200 x 120 cm)
Cen Long, Vita (2023; olio su tela, 120 x 120 cm)
Cen Long, Vita (2023; olio su tela, 120 x 120 cm)
Mostra di Cen Long a Bologna, Palazzo Cavazza Isolani. Foto: Michele Crosera
Mostra di Cen Long a Bologna, Palazzo Cavazza Isolani. Foto: Michele Crosera
Mostra di Cen Long a Bologna, Palazzo Cavazza Isolani. Foto: Michele Crosera
Mostra di Cen Long a Bologna, Palazzo Cavazza Isolani. Foto: Michele Crosera
Mostra di Cen Long a Bologna, Palazzo Cavazza Isolani. Foto: Michele Crosera
Mostra di Cen Long a Bologna, Palazzo Cavazza Isolani. Foto: Michele Crosera
Mostra di Cen Long a Bologna, Palazzo Cavazza Isolani. Foto: Michele Crosera
Mostra di Cen Long a Bologna, Palazzo Cavazza Isolani. Foto: Michele Crosera
Mostra di Cen Long a Bologna, Palazzo Cavazza Isolani. Foto: Michele Crosera
Mostra di Cen Long a Bologna, Palazzo Cavazza Isolani. Foto: Michele Crosera
Mostra di Cen Long a Bologna, Palazzo Cavazza Isolani. Foto: Michele Crosera
Mostra di Cen Long a Bologna, Palazzo Cavazza Isolani. Foto: Michele Crosera

Per concludere, molto interessante è anche la vicenda di Crux Art Fundation e la sua sfida di creare attenzione internazionale attorno a un pittore che da sempre ha rifiutato di collaborare con realtà commerciali e che non è interessato a vendere i propri dipinti. Il progetto, come già accennato, nasce dalla ventennale amicizia della presidentessa Metra Lin con l’artista, conosciuto quando per conto di una casa editrice giapponese venne inviata in Cina in qualità di interprete in occasione dell’edizione delle sue illustrazioni appartenenti alla serie grafica The Old Charcoal Seller, da lui realizzata alla fine degli anni Ottanta. Affascinata dal suo talento e dalla sua personalità la curatrice, senza precedente esperienza in materia di commercio d’arte, decide di diventare custode dell’intero corpus della sua opera e inizia a farsi mandare ogni dipinto non appena finito.

Da quando si è ritirato dall’insegnamento, infatti, Cen Long dipinge in segreto perché non vuole mostrare il suo lavoro in Cina, dove se esponesse in un museo dovrebbe cedere al governo la proprietà delle opere, come ci racconta Metra. Il primo passo, dunque, è stato quello di trovare dei sostenitori taiwanesi per costituire la fondazione, risultato già di per sé arduo a causa della nota tensione tra le due nazioni. Quello successivo, il tour triennale attualmente in corso, che ha visto l’artista protagonista di prestigiose mostre monografiche a Firenze presso l’Accademia delle Arti del Disegno (8 - 30 marzo 2024), a Venezia a Palazzo Querini (20 aprile – 24 novembre 2024) in concomitanza con la 60esima edizione della Biennale Arte, a Bologna presso Palazzo Cavazza Isolani (12 dicembre 2024 - 12 gennaio 2025) e che proseguirà a Roma per poi toccare altre città europee e concludersi negli Stai Uniti. Attualmente non c’è ancora l’intenzione di vendere (finora è stato alienato da parte della fondazione solo qualche pezzo minore e Cen Long non ha ancora una quotazione ufficiale), ma la scommessa di far riconoscere il pittore come maestro di rilevanza internazionale prescindendo dai consolidati schemi di alleanza tra galleristi, istituzioni e collezionisti che normalmente presiedono al successo di un artista. Molti ingredienti depongono a favore della riuscita dell’operazione, come la biografia avvincente dell’artista, la cifra trasversale ma al tempo stesso riconoscibile della sua pittura (che per certi versi, nonostante le ovvie differenze di contesto, sembra avere molti punti in comune con quella di Lynette Yiadom-Boakye, la cui carriera già prestigiosa è decollata dopo la partecipazione alla Biennale Arte nel 2019) e l’universalità delle emozioni che suscita senza necessità di elaborati apparati esegetici di supporto.


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