Poche figure della Sardegna antica sono note come quella di Eleonora d’Arborea (Molins de Rei, 1347 circa - Sardegna, 1403), che fu giudicessa reggente di Arborea dal 1383 all’anno della sua scomparsa: figlia di Mariano IV, a sua volta una delle più importanti personalità della Sardegna del Trecento (il giudicato di Arborea, sotto il suo governo, si espanse fino a coprire quasi tutto il territorio sardo), è nota soprattutto per aver emanato la Carta de Logu (“Carta del territorio”), codice legislativo la cui validità fu riconosciuta ed estesa dagli aragonesi, nel 1421, all’intera Sardegna, e che rimase in vigore fino al 1827, anno in cui fu emanato il Codice feliciano, che la andava a sostituire. Le norme giuridiche e amministrative contenute nella Carta de Logu (il suo manoscritto, incompleto, è conservato alla Biblioteca Universitaria di Cagliari, ma esistono anche nove opere a stampa e una traduzione pisana: la biblioteca cagliaritana conserva uno dei due incunaboli esistenti, l’altro si trova alla Biblioteca Reale di Torino) sono ereditate dalla giurisprudenza romana e bizantina, e fissano leggi derivanti dagli ordinamenti emanati dai giudici isolani precedenti.
In particolare, il nucleo primitivo delle leggi che compone la Carta de Logu fu promulgato già da Mariano IV, che emanò un Codice rurale nel 1337, rinnovato poi successivamente: si tratta di un codice di ventisette capitoli con regolamenti sulle attività agricole (le vigne in particolare) e sull’allevamento. Qualche decennio più tardi, tra il 1365 e il 1376, lo stesso Mariano IV fece approntare il Codice civile e penale del giudicato, un insieme di norme in 132 capitoli (compilati probabilmente dal giurista Filippo Mameli) che costituisce la parte più consistente della Carta de Logu. Fu tuttavia solamente con Eleonora, tra il 1388 e il 1392, che i due nuclei legislativi di Mariano vennero riuniti in una sola Carta de Logu, aggiornati, e promulgati.
Il manoscritto conservato alla Biblioteca Universitaria di Cagliari sarebbe opera di almeno due copisti, e prima di passare alla Biblioteca Universitaria di Cagliari era conservato presso il Capitolo della Cattedrale di Iglesias. Non conosciamo il codice originario, né si sono conservate copie coeve, benché lo studioso Eduardo Blasco Ferrer abbia ipotizzato che il codice di Cagliari sia stato redatto tra il 1376, anno al quale risale la conclusione del Codice rurale, e il 1392, data dell’ultima promulgazione del testo. “Le due mani che si succedono nel testimone”, ha scritto il filologo Eduardo Blasco Ferrer, “corrisponderanno a due scribani, funzionari del Comune sulcitano incaricati d’approntare una copia dell’imminente legislazione arborense, forse da confrontare con le norme pisane già vigenti nel luogo [...], o precedentemente applicate nell’estinto Giudicato di Cagliari”. Secondo un più recente studio di Giovanni Lupinu, il codice della Biblioteca Universitaria di Cagliari sarebbe stato in realtà copiato all’inizio del XV secolo.
La Carta de Logu ha tuttavia una tradizione plurima, dal momento che è noto da un lato attraverso il manoscritto e dall’altro dalle stampe basate sulla editio princeps (la prima edizione a stampa). Il codice conserva infatti, scrive Lupinu, “una redazione anteriore rispetto a quella data nelle stampe, che prese forma solo in séguito, integrando, senza peraltro armonizzarle pienamente, delle sezioni normative, preesistenti, connesse specialmente alla vita dei campi, ché altrimenti si dovrebbe ammettere che il codice tramandi una redazione posteriore e scorciata della Carta de Logu”. Il codice infatti non include il Codice rurale, circostanza probabilmente imputabile al fatto che Eleonora d’Arborea non volle inserirlo interamente nella Carta de Logu.
L’emanazione di un codice generale si era resa necessaria per superare alcuni problemi che caratterizzavano il sistema giudiziario del giudicato di Arborea: l’applicazione del diritto spesso incerta e arbitraria, l’eccessiva frammentazione legislativa a causa del carattere episodico con cui certi settori venivano normati (e laddove non c’era una legge si procedeva seguendo gli usi abituali), la necessità di garantire la certezza della pena, l’esigenza dotare il giudicato di leggi facili da capire, tanto che la Carta de Logu viene emanata non in latino, ma in sardo arborense, onde permettere la più vasta comprensione possibile. Tanto che il codice comincia subito con la dichiarazione di Eleonora che, ricordando come la prima versione della Carta era stata emanata da suo padre Mariano V, scopo delle leggi contenute nella carta era quello di “mantenere la giustizia” (“pro servari sa iusticia”) invista dell’“accrescimento” e dell’“innalzamento delle province, dei regni e delle terre”. Pertanto, ha osservato lo studioso Giampaolo Mele, “sin dall’incipit della Carta de Logu d’Arborea, promana il senso nobile del ‘bene pubblico’ che si respirava nella corte giudicale”.
Quali sono alcuni dei contenuti legislativi della Carta de Logu? Il codice regola, per esempio, i momenti di pausa dal lavoro elencando i periodi di ferie e le feste comandate, giorni durante i quali anche le sedute pubbliche andavano sospese (esistevano un periodo di ferie dal 15 giugno al 15 luglio, uno dall’8 settembre al 1° di ottobre, e poi tutte le festività religiose, inclusi i giorni dei santi patroni). Vengono poi elencate le pene per i diversi reati: in particolare, era prevista la pena capitale per i reati di offesa alla Signoria, omicidio, avvelenamento, grassazione, furto di case, incendio di case. Inoltre, era prevista pena di morte per i casi di recidiva. Per altri crimini minori erano previste anche mutilazioni (le parti del corpo interessate erano la mano destra, il piede, la lingua, l’occhio e l’orecchio): per esempio, si comminava il taglio dell’orecchio a chi rubava cavalli o buoi, mentre si cavava un occhio a coloro ai quali veniva comminata una pena pecuniaria per furto in chiesa e non potevano pagare. Per chi bestemmiava Dio o la Madonna e non poteva pagare la relativa multa di 50 lire, era previsto il taglio della lingua (più tenue invece la pena per chi non poteva corrispondere la sanzione di 25 lire per bestemmie contro i santi: fustigazione e uncino conficcato nella lingua). Giampaolo Mele ha osservato come “la durezza delle pene” sia “ben presente nel Codice di Eleonora anche a tutela della donna e del suo patrimonio”: lo stupro, nel caso venisse violentata una donna sposata o promessa, oppure nel caso in cui lo stupro comportasse la perdita della verginità, era punito con multa di 500 lire e, in caso d’insolvenza, con il taglio del piede, mentre invece per lo stupro contro una donna nubile era prevista una multa di 200 lire con obbligo di sposare la donna, ma solo nel caso in cui la donna acconsentisse, e in caso contrario il reo era tenuto a provvedere al matrimonio secondo le sue possibilità (in caso di inadempimento, era sempre previsto il taglio del piede).
Dal momento che la Carta de Logu è uno dei codici legislativi più interessanti e ampi del Trecento, l’attenzione nei suoi confronti è sempre stata molto viva, anche per la sua capacità di testimoniare com’era la vita nella Sardegna del XIV secolo, di offrirci un’immagine della personalità di Eleonora d’Arborea, e di essere materia per chi studia la lingua sarda.
Le origini della Biblioteca Universitaria di Cagliari risalgono al 1764, quando fu istituita nel 1764 con le Costituzioni per la riforma dell’Università e sistemata, per volere del re Carlo Emanuele III di Savoia, nell’edificio sopra il Bastione del Balice: progettato dall’ingegnere militare Saverio Belgrano di Famolasco, il palazzo era stato immaginato per ospitare l’Università, il Teatro ed il Seminario Tridentino. Alla Biblioteca fu riservato un apposito salone di conservazione e di lettura chiamato “Sala Grande”, detto oggi “Sala Settecentesca”, arredato con una elegante scaffalatura laccata e dorata. Risale invece al 1792 l’apertura al pubblico. Negli anni successivi alla Biblioteca furono concessi nuovi spazi, tra cui la Cappella, dotata di botte e riccamente affrescata e oggi adibita a sala di conservazione e consultazione del materiale raro.
Il nucleo originario della Biblioteca Universitaria di Cagliari era costituito dalla biblioteca privata del sovrano, da fondi appartenenti al soppresso Ordine dei Gesuiti e dalle copie delle opere che i docenti erano tenuti a fornire. Oggi, la Biblioteca possiede oltre 600.000 unità bibliografiche tra cui 6.103 manoscritti e autografi di cui 568 codici, 238 incunaboli, 5.318 cinquecentine, 5.227 testate di giornali e riviste, 6.500 disegni, stampe, carte geografiche e cartoline, oltre 15.000 documenti su supporto non cartaceo, inclusi i microfilm di tutti i manoscritti e i giornali sardi dell’Ottocento, la più vasta e completa raccolta di materiale bibliografico sardo e sulla Sardegna, e una raccolta ampia ed organica di grande interesse di materiale antico spagnolo.
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