È la più antica riproduzione dell’oratorio di San Lorenzo a Palermo. Una bella riscoperta se, risalente a metà Ottocento, se n’era persa memoria. E a ragione, tenendo conto che fu pubblicata in un’opera bibliografica di fatto oggi irreperibile: si tratta della serie L’Italie Monumentale & Artistique. Vues et Monuments Dessinés d’après nature par Ph. Benoist et lithographiés aux deux crayons par Bachelier, Ph. Benoist, et Jacottet. Essa uscì a dispense tra 1845 e 1852, per gli editori parigini Bulla e Delarue, e volumi come questi prima o poi venivano smembrati per venderne le singole immagini impresse su ogni pagina. Ecco dunque che la Chiesa della Compagnia di San Lorenzo, così denominata nell’imprecisa didascalia bilingue, è stata appena acquisita sul mercato antiquario messinese per poi ora tornare felicemente in esposizione nel luogo dove fu concepita.
Dell’autore Philippe Benoist, che si dedicò con esiti brillanti alla tecnica litografica illustrando “dal vero” monumenti e vedute nei suoi numerosi viaggi, è significativo sapere che fu allievo del padre della fotografia Daguerre. E meticolose appaiono appunto le sue riproduzioni, come si vede bene dall’interno dell’oratorio palermitano. Una scena, questa, che permette di tornare indietro nel tempo, nell’ambiente rimasto sì pressoché immutato da allora, ma vivacizzato dalla presenza in abiti dell’epoca di popolani e degli stessi artisti intenti a copiare. Per quanto inconcepibile oggi, fa persino sorridere sul lato destro il cagnolino in riposo sulle preziose panche intarsiate con avorio e madreperla. Dalla parte opposta, addossato alla base dell’arco trionfale, un vecchio modello di confessionale.
La litografia Eglise de la Compagnie de St. Laurent/Chiesa della Compagnia di San Lorenzo, di Philippe Benoist (part.) |
L’oratorio di San Lorenzo oggi |
Estratta dalla sezione “Royaume de Naples” de L’Italie Monumentale, la litografia fu esposta nel 1848 allo storico Salon de Paris e risulta registrata al deposito legale nel maggio 1847. Già assente pertanto l’affresco della volta dei fratelli Giacinto e Domenico Calandrucci (1706-1707), crollato nel 1823 per un terremoto. Sono invece documentate alcune delle statuine, vandalicamente asportate anni fa, dei “teatrini” in stucco di Giacomo Serpotta con le storie dei santi Lorenzo e Francesco (1700-1705).
La Tentazione di san Francesco di Giacomo Serpotta, prima e dopo la sparizione della figura della meretrice |
Per di più, cronologicamente successiva alle sue due copie antiche note (una a Catania e l’altra già in collezione Federzoni), Benoist ci restituisce una sorprendente riproduzione della Natività che Caravaggio dipinse nel 1600. Benché, nelle sue dimensioni ridotte e nella penombra del presbiterio, essa sia necessariamente stilizzata e con qualche ‘licenza’: forse mal interpretando lo sfondo scuro o comunque per questioni legate alla leggibilità dell’opera, il soffitto della capanna diventa un cielo con nubi.
Su questa tenue immaginetta, tutto converge prospetticamente e si concentra l’attenzione dei tanti cultori del grande lombardo. Con l’auspicio che, ora che si è tornati a investigare sul furto avvenuto nel 1969, come questa litografia anche la Natività un giorno possa fare rientro a casa.
La Natività di Caravaggio a confronto con la sua riproduzione nella litografia di Philippe Benoist |
Appendice
Dal 1847, bisognerà attendere almeno il 1902 perché un primo scatto della Natività sia divulgato attraverso un’opera a stampa, anche questa di non facile reperibilità e rimasta sconosciuta ai più: si tratta del “Kunsthistorische Gesellschaft für Photographische Publikationen”, collana tedesca a uscite annuali di illustrazioni in grande formato (nel fascicolo specifico, il quadro è attribuito a Merisi “per tradizione”). L’immagine, color seppia, apparentemente non identica per quanto molto simile a quella – di fonte e data non specificate – conservata presso la Fototeca Longhi (n. 0970128), documenterebbe peraltro il quadro anteriormente a un intervento conservativo del primo Novecento. L’iconografia caravaggesca comunque si farà conoscere a un più vasto pubblico attraverso la fotografia (del palermitano studio Incorpora) pubblicata nel 1922 ne Il Caravaggio di Matteo Marangoni. Essa tuttavia appare “una illustrazione pallida e incerta”, come la descrisse in un articolo del 1925 Filippo Meli, che contestualmente ne pubblicava una di migliore qualità (probabilmente di provenienza Anderson/Alinari).
Tutta la curiosità crescente da parte degli studiosi, attorno a quegli anni, per il ’lontano’ capolavoro isolano, emerge in una lettera di Giulio Bariola del 25 luglio 1918, su carta intestata della Regia Galleria Estense di Modena, conservata presso l’Archivio Storico della Soprintendenza BB.CC.AA. di Palermo. Bariola chiede se sia stato realizzato e possa ricevere copia di uno scatto del dipinto, che per lui avrebbe “interesse grandissimo” – tanto da proporre di “concorrere alla spesa” attraverso la Galleria, nel caso vada eseguita appositamente una foto (specificando: “la migliore possibile”). Ma l’esito della richiesta, laconico e apposto con matita rossa sulla stessa con data 16 agosto, non è quello sperato: “la fotografia non si è potuta eseguire”. Evidentemente, con la prima guerra mondiale in corso e i limitati mezzi disponibili, lo sfortunato Caravaggio di Palermo non era una priorità.
La richiesta inviata da Giulio Bariola alla Soprintendenza a Palermo |
Bibliografia