Le Stanze Segrete di Vittorio Sgarbi hanno ormai ben poco di segreto; soltanto lo sguardo furtivo della sorella Elisabetta, con il cortometraggio Belle di Notte, ci aveva permesso di sbirciare tra gli ambienti, e intravedere le opere, della collezione privata di Sgarbi, ma se è vero, come dice egli stesso, che “il senso del collezionismo è legato alla vanità della vita”, questo segreto non poteva rimanere tale a lungo.
I tesori della Collezione Cavallini Sgarbi, accumulati negli anni grazie a una assidua collaborazione madre-figlio, sono esposti dal 2016 in una mostra continua, nata nelle Marche e diventata poi itinerante, quasi una lunga tournée teatrale, che si sposta all’incirca ogni sei mesi.Lotto Artemisia Guercino, Le Stanze Segrete di Vittorio Sgarbi ha cominciato il suo peregrinare dalle sale di Palazzo Campana, ad Osimo, nel marzo 2016, per poi approdare a Cortina d’Ampezzo in dicembre, giusto in tempo per l’inizio della stagione invernale. Nella primavera del 2017 la collezione è arrivata a Trieste, andando a occupare il suggestivo “Salone degli Incanti”, ex mercato del pesce cittadino; proprio alcuni giorni fa, con il titolo appena mutato in Dal Rinascimento al Neoclassico, Le Stanze Segrete di Vittorio Sgarbi, la mostra ha poi inaugurato al Castello di Novara, fresco di un lungo e recentissimo restauro. Nel 2018 è già in programma una tappa a Ferrara, che per l’occasione aprirà al popolare concittadino le porte del Castello Estense, sede futura della Pinacoteca Comunale, per il 2019 si mormora di una discesa a Matera, nell’anno in cui la città sarà Capitale Europea della Cultura, e si guarda già oltre, pensando a una sede espositiva permanente per le opere.
Preso atto della notevole consistenza del materiale (si parla di un corpus di almeno 3000 oggetti d’arte), non dovrebbero mancare gli argomenti per questi eventi continui, ma chi si aspetta una rotazione vedrà disattese le proprie speranze; le differenze tra un’esposizione e l’altra sono fino ad oggi state minime se non nulle, e l’unico catalogo disponibile (se riuscite a trovarne uno) rimane quello stampato in occasione della mostra di Osimo. Nessun vero segreto quindi sul contenuto della collezione, per lo meno per quanto riguarda quel centinaio di opere, tra le quali veri e propri capolavori, esibite e presentate, commentate, fotografate, e ben studiate nel relativo catalogo.
Il mondo dell’arte invece, non manca mai di riservare qualche sorpresa, e un paio di questi preziosi manufatti conservano un “segreto” di cui lo stesso Sgarbi è rimasto all’oscuro, almeno fino ad oggi. A fianco ai vari Guercino, Lorenzo Lotto, Pietro Liberi e Artemisia Gentileschi, tra i protagonisti fissi di queste esposizioni ci sono due busti in marmo, particolarmente cari al loro proprietario, a catalogo come “Ritratti dei fratelli Masetti da Bagnano”, e attribuiti ad uno scultore tanto noto in vita quanto dimenticato oggi: Giovanni Antonio Cybei (Carrara, 1706 - 1784).
Giovanni Antonio Cybei, i due busti marmorei della Collezione Cavallini Sgarbi (dettagli dei singoli busti nelle foto seguenti) |
Vittorio Sgarbi si è più volte dichiarato “fan” di questo artista trascurato dalla critica, protagonista della scultura nel pieno Settecento e primo direttore dell’Accademia di Belle Arti di Carrara, sua città natale; non sono poche le occasioni in cui il noto critico ha speso elogi per il Cybei, definendolo di volta in volta: “lo scultore che adoro” (2002), “grandissimo, eccezionale, ma totalmente sconosciuto” (2002), “artista straordinario totalmente dimenticato, escluso” (2015) – elogiandone l’abilità – “è incredibile la qualità di questo artista” (2001) e, senza risparmiare paragoni davvero impegnativi,“lo ritengo grande come Canova” (2016).
Durante una visita a Carrara, nel 2002, Sgarbi annunciò pure di voler dedicare una monografia all’artista che tanto ammira: “Ho intenzione di scrivere un libro sul Cybei, certo non sarà di cassetta ma ai carraresi piacerà”. Il volume risultava ancora in lavorazione nel 2008: “Sono uno dei maggiori conoscitori del Cybei, posseggo anche alcune sue sculture, e sto preparando un volume dedicato proprio alla sua produzione artistica”, purtroppo però, stiamo ancora aspettando. Sintomatica anche la collocazione che Sgarbi aveva riservato ai due Cybei, nella sua sontuosa dimora romana a Palazzo Pamphili in Via dell’Anima, conservati nell’ambiente più prestigioso della casa, “il luogo più monumentale, ma insieme anche più protetto, che è la camera da letto di Innocenzo X”, dove custodiva “le cose, non so se più preziose, ma certo di qualità assoluta più alta”.
A ulteriore riprova della considerazione di Sgarbi per questi due pregevoli ritratti, anche le lunghe sequenze dedicate nel già citato cortometraggio Belle di Notte. Con sottofondo di Gustav Mahler e seducenti scelte di illuminazione e regia di Elisabetta Sgarbi, miranti ad esaltarne la preziosità, le due opere del Cybei venivano ampiamente evidenziate, mentre il più noto fratello ne tesseva le lodi: “In questa stanza, in cui ho messo queste cose così selezionate, ci sono queste due formidabili sculture […] questo volto straordinariamente realistico e questo formidabile panneggio, anche con elementi realistici come i bottoni, le asole, questa coccarda formidabile, la croce dell’ordine di Lorena...”. Eppure era proprio lì, nella sua stanza più segreta, nelle opere di uno dei suoi artisti preferiti, nei marmi tra i più raffinati della sua collezione, che qualcosa sfuggiva allo stesso Sgarbi.
Torniamo all’inizio della vicenda: l’acquisto dei due busti non è consequenziale alla passione per Cybei, ma ne costituisce anzi la premessa. Sgarbi non conosceva autore e soggetto dei marmi quando ne entrò in possesso, e l’averli ricondotti alla mano del carrarese, si deve a una sua felice intuizione, ricordata con dovizia di particolari nel 2001: “Sono stato poi a Modena dove, nella Biblioteca Estense, ho trovato all’entrata, due sculture che mi sono sembrate della stessa mano. Sono salito con la scala: ho visto le stesse asole, gli stessi bottoni. Ho chiesto al direttore, il professor Milano, notizie di quei busti, e mi ha detto: ‘Ah ma si conoscono: sono opere di Antonio Cybei’. Antonio Cybei era uno scultore illustre che ha lavorato per gli Estensi a Modena...e che è stato il primo direttore dell’Accademia di Carrara. E quindi da lì ho capito, avendo anche la stessa base […] che erano proprio opera di Cybei”.
I due busti ritratto notati dal critico a Modena sono in effetti opere documentate del Cybei, che le eseguì nel 1774. Nei depositi della Galleria Estense se ne conservano anche le versioni in terracotta, esposte nel 1996 nella mostra Sculture a Corte presso la Rocca di Vignola. Rappresentano due personaggi di grande importanza per la cultura modenese, Ludovico Antonio Muratori e Carlo Sigonio, e come vedremo più avanti, sono stati eseguiti solo un paio di anni dopo i busti della collezione Cavallini Sgarbi, ai quali sono evidentemente affini.
Giovanni Antonio Cybei, Ritratto di Carlo Sigonio (1774; marmo; Modena, Biblioteca Estense) |
Giovanni Antonio Cybei, Ritratto di Ludovico Muratori (1774; marmo; Modena, Biblioteca Estense) |
Limpida dunque l’intuizione di Sgarbi nel riconoscere la mano del Cybei, meno chiari i meccanismi che lo hanno portato a identificare nei ritrattati questi fantomatici Fratelli Masetti da Bagnano. Chi erano costoro? E come mai il Cybei, che pure ci ha lasciato un elenco abbastanza completo delle sue opere non ne parla? Così raccontava Sgarbi nel 2001: “...risalendo alla famiglia dove erano state in Toscana, che aveva un collegamento con la famiglia modenese. Ho capito anche chi erano i personaggi: Masetti da Bagnano, due fratelli, probabilmente, di questa ricca famiglia di mercanti che poi diventano aristocratici, conti, in Toscana”. La strada sembra interessante, lascia intendere che ci siano documenti comprovanti queste relazioni, ma la prima scheda di catalogo dedicata ai due Cybei, a cura di Vittorio Sgarbi con la collaborazione di Pietro di Natale, poco ha da aggiungere: “Ripercorrendo la vicenda collezionistica dei busti, Sgarbi ha inoltre proposto di identificarvi i ritratti di due aristocratici, forse fratelli, del casato Masetti da Bagnano, ricca famiglia originaria di Modena che diede origine a un ramo stabilitosi a Firenze” (2008).
Nulla ci è dato di sapere sui dettagli di questa “vicenda collezionistica”, e l’unica bibliografia fornita a supporto dell’ipotesi è il riferimento alla vetusta (e gloriosa) Enciclopedia storico-nobiliare italiana del Marchese Vittorio Spreti. Logico (e doveroso) aspettarsi qualcosa di più dalla scheda dedicata nel recentissimo catalogo de Le Stanze Segrete; nulla di nuovo invece, ancora il generico riferimento alla storia collezionistica grazie alla quale “Sgarbi ha riconosciuto i ritratti di due aristocratici, forse fratelli, del casato Masetti da Bagnano” (2016).
Chi sono dunque questi fratelli Masetti di cui non si indicano neppure i nomi? Sono personaggi così importanti da avere dei ritratti in marmo tanto sontuosi, scolpiti da un autore di chiara fama, e di rango tale da esibire la Croce dell’Ordine di Santo Stefano d’Ungheria?
Gli scritti e le conferenze di Sgarbi non rispondono in maniera esauriente a queste domande, e il dubbio che qualcosa non torni, che si sia imboccata una strada del tutto sbagliata diventa molto forte. Non è senza esitazione che si contesta chi ebbe a dichiarare:“Intanto sia chiaro, per me ragione significa che io ho ragione” (2005), ma questa volta Sgarbi ha proprio preso un granchio, e bello grosso.
Nel 1776 Cybei stese un breve riassunto della propria carriera, un “memoriale” con l’elenco dei principali lavori eseguiti, dei committenti più illustri, e dei compensi ricevuti; questo prezioso documento, fondamentale per la ricostruzione della vicenda artistica del Cybei, si conserva presso l’Archivio di Stato di Modena, ed era inedito fino alla pubblicazione di un saggio a mia firma, Dal Choro alla Bottega. Nuove acquisizioni su Giovanni Antonio Cybei (Commentari d’arte 14, Anno V – 1999, Roma 2003), nel quale veniva interamente trascritto. Certo non si tratta di una rivista che si trova in edicola, ma Commentari d’Arte è sicuramente una delle principali pubblicazioni specifiche del settore, e dispiace che un personaggio come Sgarbi, così interessato al Cybei, non l’abbia mai letto.
In questo memoriale si cita una serie di importanti busti eseguiti dal Cybei negli anni immediatamente precedenti alla stesura dello stesso, all’incirca dal 1770 al 1776; alcune di queste opere sono ben note, come il ritratto del Granduca Pietro Leopoldo di Lorena (nel Palazzo Reale di Pisa e al Victoria & Albert Museum di Londra) o dell’Imperatrice Caterina II (Peterhof) e della Duchessa Maria Teresa (Reggio Emilia, Basilica della Ghiara), altri, a dire il vero ben pochi, mancano ancora all’appello. Esclusi alcuni mezzi busti, tra i quali sicuramente non possono rientrare i due presunti Masetti, rimangono inediti solo il ritratto della Granduchessa di Toscana Maria Luisa di Borbone (che non ci sentiamo di prendere in considerazione...) e i busti dei due più importanti giuristi della toscana settecentesca: Giovanni Bonaventura Neri Badia (giudice, autore e fondatore della cattedra di diritto internazionale dell’Università di Pisa) e il figlio Pompeo Neri, quello che oggi definiremo un politico di primo piano, con una carriera ultradecennale nell’amministrazione granducale, culminata con la nomina nel 1770 a Presidente del Consiglio di Stato, più o meno l’equivalente di un Primo Ministro attuale, secondo solo allo stesso Granduca Pietro Leopoldo.
“Ad onorarlo [il Cybei] concorse pure Sua Eccellenza il Signor Presidente Pompeo Neri, volendo di sua mano il proprio Ritratto, e quello del lui Padre per li quali, oltre l’averlo colmato di mille attenzioni gli fece un regalo in zecchini gigliati n°100, scusandosi col dire, che no era il Gran Duca” (1776). Il cerchio si stringe, la possibilità che i due busti siano proprio quelli citati dal Cybei deve essere presa in considerazione, e basta un veloce e intuitivo confronto tra la fisionomia del volto di un ritratto di Pompeo Neri (ad esempio quello a stampa di Francesco Sabatelli e Benedetto Bordiga, o quello ad olio passato recentemente sul mercato antiquario a Firenze) con i busti dei “Masetti” per passare dalle ipotesi alle certezze: non serve un occhio esperto per riconoscere in uno dei due marmi l’esatta corrispondenza con le fattezze del Neri: l’ultimo “segreto” delle stanze di Sgarbi è svelato.
Giovanni Antonio Cybei, Ritratto di Giovanni Bonaventura Neri Badia (1772; marmo, 74 x 70 x 30 cm; Ro Ferrarese, Collezione Cavallini Sgarbi) |
Giovanni Antonio Cybei, Ritratto di Pompeo Neri (1772; marmo, 79 x 70 x 35 cm; Ro Ferrarese, Collezione Cavallini Sgarbi) |
Scuola senese del XVIII secolo, Ritratto di Pompeo Neri (seconda metà del XVIII secolo; olio su tela, 58,8 x 48,5 cm; Collezione privata) |
Francesco Sabatelli, Benedetto Bordiga, Ritratto di Pompeo Neri (post 1768 - ante 1829; stampa all’acquaforte, 7,1 x 8,6 cm; Monza, Civica Raccolta di Incisioni Serrone Villa Reale) |
La lapide di Castelfiorentino |
E quella tanto ostentata Croce di Santo Stefano di Ungheria sul busto che oggi sappiamo essere di Pompeo Neri? Non è cosa propriamente comune: l’ordine era stato istituito nel 1764 dall’Imperatrice Maria Teresa d’Austria, ed era riservato a personalità di particolare spicco del Sacro Romano Impero. Dalla sua fondazione al 1792, furono solo otto gli stranieri insigniti della croce di cavaliere. Non doveva suonare come un campanello d’allarme il fatto che uno di questi oscuri fratelli Masetti avesse avuto accesso a sì alto onore? Nel dubbio, esistono anche elenchi a stampa dei cavalieri insigniti dell’ordine, e guarda caso, chi troviamo tra questi? Proprio il nostro Pompeo Neri.
La notizia non era di quelle che passassero inosservate al tempo, questo ad esempio scriveva la Gazzetta Toscana, del 25 novembre 1769: “L’Imperadore ha nei passati giorni elevato alla dignità di Gran Croce dell’Ordine Reale di Santo Stefano il Conte di Coblenz [Karl Von Coblenz], Cavalier del Toson d’Oro, e Ministro Plenipotenziario ne’ Paesi Bassi: ed ha parimente la Maestà Sovrana nominato Cavaliere dell’Ordine suddetto il Signor Abate Pompeo Neri, primo Segretario di Stato dell’Arciduca, Granduca di Toscana”.
Il nostro buon Pompeo, evidentemente assai orgoglioso dell’onore, non mancava di sfoggiarne in bella vista il simbolo, e nel settecento queste erano cose di cui si scriveva sui “giornali”: Pisa, 6 dicembre, 1769 - Sua Eccellenza il Signor Presidente Pompeo Neri essendo stato decorato da Sua Maestà l’Imperatrice Regina, della Croce di Cavaliere dell’Ordine di Santo Stefano d’Ungheria, cominciò fin dalla scorsa settimana a portarne la divisa, quale ricevè per mano del nostro Real Gran-Duca...".
Tutto torna insomma, dalla Croce di Santo Stefano alla vicenda collezionistica, dalla testimonianza diretta del Cybei alla piena identità con i tratti del volto di Pompeo Neri, ed è assai suggestivo leggere la descrizione dello stesso lasciataci da Angelo Ridolfi nel suo “Elogio di Pompeo Neri” osservandone il ritratto: “Egli era di carattere soavissimo: grave ed eloquente nel suo parlare: sempre uguale a se stesso: fermo e costante ne’ ben meditati divisamenti […] La giocondità dell’animo trasparivagli dagli occhi vivacissimi”.
Al momento non si conosce invece alcun ritratto di Giovanni Bonaventura Neri Badia, il padre di Pompeo, anche se già la comune vicenda dovrebbe avvalorare il riconoscimento. Salta però agli occhi una grande differenza nelle acconciature e nell’abbigliamento dei due ritrattati: per il primo dei due busti si possono fare parallelismi con la moda dei tempi di Gian Gastone de’ Medici, come appare ad esempio nel ritratto di Franz Ferdinand Richter a Palazzo Pitti, nel quale il Granduca presenta un sontuoso jabot di merletto e un’acconciatura imponente fatta di lunghi boccoli con spartitura centrale, elementi che riscontriamo esattamente nel ritratto del Neri Badia. Il ritratto di Pompeo Neri lo presenta invece con una parrucca in stile Luigi XV, raccolta e probabilmente incipriata, simile a quella che indossa il granduca Francesco Stefano di Lorena nel ritratto (come imperatore Francesco I) di Pompeo Batoni conservato a Schönbrunn.
Dettaglio dello jabot di Giovanni Bonaventura Neri Badia |
Questo breve excursus nella moda del settecento giusto per sottolineare come i due personaggi appartengano a generazioni diverse, come un padre e un figlio ad esempio, certo non come due fratelli, altro particolare che non doveva sfuggire alla critica.
Svelato ormai ogni “segreto” sfuggito all’occhio di Sgarbi, non rimane che chiudere con la datazione delle due opere, che la cronologia del Cybei lascia intendere come eseguite nel 1772, all’apice della carriera “politica” di Pompeo Neri, e di quella artistica dell’autore. Usciamo di soppiatto dalle Stanze Segrete, divertiti per aver svelato un segreto che era sfuggito allo stesso Sgarbi, nonostante lo avesse proprio sotto il naso, tra le sue cose più care, e chiudiamo augurandoci che prossimamente, magari nella prossima tappa del “tour”, i due busti del Cybei siano presentati con i cartellini aggiornati. Se lo meritano.