In un possibile elenco dei maggiori e più importanti punti di riferimento per studiare la storia delle arti a Sarzana, un posto di rilievo potrebbe esser sicuramente occupato da un’opera dello storico Bonaventura de’ Rossi (Sarzana, 1666 - Genova, 1741), la Collettanea copiosissima di memorie e notizie storiche, una grande raccolta che l’autore mise a punto con l’obiettivo di tracciare un’approfondita storia della Lunigiana e, in particolare, di Sarzana, e che, malgrado la sua mole e la sua importanza, non ottenne mai quel successo che forse avrebbe meritato: e che non si trattasse d’un bolso testo di mera erudizione locale è dimostrato dal fatto che l’interesse per la Collettanea copiosissima, nel corso del Settecento, travalicò i confini della Lunigiana. A riprova di ciò, si pensi che per Ludovico Antonio Muratori (Vignola, 1672 - Modena, 1750), Bonaventura è “persona studiosissima delle antichità della Lunigiana, e del Genovesato, siccome apparirà anche un giorno dalle Storie da lui composte”, e per Giovanni Targioni Tozzetti (Firenze, 1712 - 1783) la Collettanea copiosissima rappresentò una fonte estremamente significativa per la stesura delle Relazioni d’alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana, come l’autore stesso dichiarò nel suo volume (“da tutto questo primo assai voluminoso Libro [della Collettanea copiosissima, nda], ne ho estratto le Notizie più importanti e sicure, le quali pubblicherò a suo luogo, insieme colla descrizione delle moderne rovine di Luni”).
La considerevole importanza della Collettanea copiosissima per la storia dell’arte lunense è stata di recente sottolineata dallo storico dell’arte Piero Donati in un suo contributo, La Collettanea copiosissima di Bonaventura Rossi come fonte per la storia delle arti a Sarzana, pubblicato sul numero LXV (2018) del Giornale storico della Lunigiana e del territorio lunense: un saggio oltremodo interessante perché, da un lato, rimarca la rilevanza della Collettanea copiosissima per gli studiosi, sia in termini generali sia per certi specifici argomenti (per esempio, Donati evidenzia che “le testimonianze contenute nella Collettanea sulla caccia alle anticaglie praticata assiduamente fra Sei e Settecento” vanno “attentamente vagliate dagli specialisti e riproposte all’attenzione di un pubblico vasto”), e dall’altro adopera con pregio alcune delle notizie contenute nell’abbondante raccolta di Bonaventura de’ Rossi onde avvalorare alcune recentissime e notevoli scoperte. Il tutto sempre comunque tenendo presente che l’interesse di Bonaventura per le opere d’arte è esclusivamente storico (“cioè come manifestazioni tangibili della gloria di Sarzana”, spiega Donati): tuttavia, tale considerazione non rende meno degne di note le notizie che il lettore può reperire nella Collettanea copiosissima. Altro merito di Piero Donati è poi quello d’aver redatto il saggio sotto forma di “viaggio” attraverso la Sarzana del Settecento, seguendo il testo di Bonaventura de’ Rossi: ne risulta quindi una lettura fresca e piacevole.
Bonaventura de’ Rossi, Collettanea copiosissima di memorie, e notizie storiche, con gran tempo e fatica autenticamente desunte per me Bonaventura de’ Rossi di Sarzana (1789-1790; manoscritto cartaceo in 5 volumi in-quarto; Collezione privata) |
La Cattedrale di Sarzana. Ph. Credit Finestre sull’Arte |
Sarzana, il Palazzo del Comune in piazza Matteotti |
Questo viaggio comincia dall’odierna piazza Matteotti, la “piazza del Comune” per gli abitanti, e anticamente “piazza della Calcandola” dal nome del piccolo torrente che scorre a Sarzana. Bonaventura de’ Rossi attesta che qui si trovava, un tempo, “una Colonna di Marmo con la statua di S. Giorgio a cavallo [...] in atto di ferire il serpente”: Donati sottolinea che si trattava “della più importante fra le raffigurazioni dell’emblema del Banco di San Giorgio collocate a Sarzana ed in quei borghi della Riviera di Levante che il Banco aveva amministrato per conto della Repubblica”, ed era opera di uno dei più grandi scultori del Rinascimento toscano fuori da Firenze, Matteo Civitali (Lucca, 1436 - 1501), che eseguì l’opera a Carrara nel 1499. La colonna fu abbattuta nel 1797, anno del rovesciamento del governo genovese guidato dal doge Giacomo Maria Brignole e della susseguente caduta della Repubblica di Genova, evento a seguito del quale la città di Sarzana passò alla neocostituita Repubblica Ligure, dapprima repubblica autonoma seppur strettamente dipendente dai francesi, e poi, dal 1805, territorio direttamente inglobato dal Primo Impero francese. La colonna, perdita di estrema gravità in quanto scultura di gran valore e dacché rappresentava l’unica opera in città di Civitali, è oggi nota solo da un disegno vergato dalla mano dello stesso scultore lucchese, e conservato presso l’Archivio di Stato di Genova.
Proseguendo l’itinerario lasciando la piazza del Comune ed entrando nell’attuale via Mazzini, il tratto urbano della via Francigena, nonché strada principale e più frequentata del centro storico sarzanese, dopo poco s’arriva alla pieve di Sant’Andrea, una delle più antiche chiese cittadine: riguardo le opere contenute in questo edificio di culto, le notizie fornite da Bonaventura de’ Rossi si sono rivelate fondamentali per ricostruire un’ipotesi convincente sulla paternità di quella ch’era un tempo l’ancona marmorea dell’“Altar grande” della pieve di Sant’Andrea. In particolare, Bonaventura riporta l’esistenza d’una “memoria” redatta dagli operai di Sant’Andrea in data 10 maggio 1540, nella quale si menziona il ritrovamento d’un vaso di cristallo pieno di reliquie, nel corso dei lavori di sistemazione dell’altare che precedettero la realizzazione della pala marmorea. L’atto è stato trascritto dallo storico dell’arte Lorenzo Principi nell’ambito d’un suo contributo del 2014, pubblicato sulla rivista scientifica Nuovi studi, e riguardante due sculture inedite di Silvio Cosini (Fiesole, fine XV secolo - Milano?, dopo il 1549), raffiguranti san Pietro e san Lorenzo, conservate presso la chiesa di San Lorenzo di Portovenere, e per la loro tipologia messe in relazione con due rilievi segnalati da Donati nel 1999, custoditi presso una collezione privata sarzanese, e raffiguranti san Pietro e san Bartolomeo.
I due rilievi della collezione privata, “caratterizzati”, specifica Donati, “da un’energia dirompente che si pone agli antipodi rispetto al palpitante linguaggio cosiniano”, potrebbero essere riferiti a una “personalità di rilevante caratura”, capace di aggiornarsi sugli esiti della contemporanea scultura di Michelangelo (Caprese, 1475 - Roma, 1564) e Baccio Bandinelli (Firenze, 1488 - 1560): l’artista, per Donati, potrebbe essere Prospero Sogari Spani (Reggio Emilia, 1516 - 1584), noto anche come Prospero Clemente o Clemente da Reggio, artista emiliano, tra i maggiori scultori del Cinquecento nelle sue terre natali, presente più volte a Carrara, e al quale si possono riferire due sculture ancora presenti all’interno della pieve di Sant’Andrea (ma un tempo sul portale), raffiguranti un sant’Andrea e un san Paolo, quest’ultimo abbinato a un san Pietro che, tuttavia, appare di una qualità di gran lunga inferiore per essere ascritto allo stesso autore. L’idea che lo scultore reggiano possa esser stato presente a Sarzana nel 1540, ventiquattrenne, per attendere alla realizzazione delle statue dell’ancona marmorea di Sant’Andrea, è sicuramente affascinante anche per il fatto che arricchirebbe il catalogo di Prospero Clemente con due ulteriori opere di grande qualità, il san Pietro e il san Bartolomeo, inserite nel contesto dello schema d’un trittico che tuttavia “non impedisce alla personalità dello scultore di emergere”, afferma Donati: “se nelle teste barbate dei due santi, e in particolare in quella del San Bartolomeo, compare per la prima volta una tipologia virile alla quale Prospero resterà costantemente fedele, il protendersi prepotente delle ginocchia fasciate della veste trova un puntuale riscontro nelle figure femminili che piangono il defunto nel monumento Del Prato, mentre le stupende mani del San Bernardo degli Uberti trovano un precedente in quelle del già ricordato Bartolomeo”. I riferimenti sono pertanto due importanti capolavori giovanili noti di Prospero, ovvero il monumento funebre di Bartolomeo del Prato e il monumento a san Bernardo degli Uberti, entrambi eseguiti, rispettivamente nel 1543 e nel 1544, per il Duomo di Parma.
Matteo Civitali, Progetto per la colonna di San Giorgio di Sarzana (1499; Genova, Archivio di Stato). Ph. Credit Archivio Piero Donati |
Silvio Cosini, San Pietro e San Lorenzo (Portovenere, San Lorenzo). Ph. Credit Archivio Lorenzo Principi |
Prospero Clemente, San Pietro e San Bartolomeo (Sarzana, Collezione privata). Ph. Credit Archivio Lorenzo Principi |
Da sinistra a destra: Prospero Clemente, Sant’Andrea; Prospero Clemente, San Paolo; Ignoto scultore cinquecentesco, San Pietro (Sarzana, Pieve di Sant’Andrea). Ph. Credit Archivio Piero Donati |
Proseguendo il cammino nel centro di Sarzana, si giunge, percorsa qualche decina di metri, alla Cattedrale di Santa Maria Assunta, dov’è conservata una delle opere capitali della storia dell’arte italiana, ovvero la cosiddetta croce di Guglielmo: nella Collettanea copiosissima si trovano informazioni alquanto interessanti, che arricchiscono la storia di questo caposaldo dell’arte. In primo luogo, Bonaventura mette a confronto i tratti fisici del corpo di Gesù in croce con quelli che emergono dalla descrizione della cosiddetta “Lettera di Publio Lentulo”, un apocrifo del Nuovo Testamento attribuito al romano Publio Lentulo, governatore della Giudea prima di Ponzio Pilato, che nel suo testo avrebbe redatto un rapporto da presentare all’imperatore Tiberio e nel quale si parla abbondantemente delle vicende di Gesù. L’osservazione di Bonaventura potrebbe essere una settecentesca prova a sostegno della tesi, su cui oggi concordano tutti gli studiosi, secondo la quale la summenzionata lettera sarebbe stata composta, in realtà, in età medievale. Inoltre, sempre a proposito della croce di Guglielmo, Bonaventura cita un “poeta de’ nostri contorni” che, in versi latini, dava conto di quanto il crocifisso fosse già in epoca antica oggetto di profonda venerazione da parte dei fedeli, che si recavano in massa (“populi concursus maximus”) a riverirlo.
Ancora, tra le affermazioni degne di nota, una riguarda l’antico monastero delle Clarisse, che occupava la zona corrispondente all’attuale piazza Garibaldi: nell’architrave del portale della chiesa annessa al convento, scrive Bonaventura, “veggonsi li stemmi della Casa Reale di Francia, e della Casa Malaspina, avendosi per tradizione che tal porta fosse fatta con l’elemosina di Ministri Francesi, che tenevano occupata Sarzana per Carlo VIII”. Il riferimento è all’episodio storico dell’incontro tra Piero di Lorenzo de’ Medici e Carlo VIII, tenutosi il 31 ottobre del 1494 a Santo Stefano di Magra: il signore di Firenze decise di farsi incontro al re di Francia onde evitare una guerra inutile, assecondando le volontà di Carlo VIII che, nella sua marcia verso il Regno di Napoli sulla cui corona vantava diritti ereditarî, chiedeva il libero passaggio attraverso la Toscana e la consegna di alcune città strategiche, tra le quali figurava la stessa Sarzana, le cui chiavi Piero de’ Medici consegnò a Carlo VIII durante l’incontro di Santo Stefano. Donati rileva poi l’attenzione che Bonaventura de’ Rossi dedicò, nella sua Collettanea copiosissima, ai materiali lapidei: per diversi edificî, infatti, lo storico indicò composizione dei materiali di costruzione e loro provenienza, fornendo dunque diverse informazioni utili anche in merito alle fonti di approvvigionamento dei marmi e delle pietre con le quali furono costruiti diversi monumenti in città e nei dintorni.
Merita infine un accenno la notazione riguardo il monumento funebre del vescovo Bernabò Malaspina (1274 - 1338), realizzato da un trecentesco scultore francese operante in zona e conservato presso la chiesa di San Francesco, di cui Bonaventura racconta in maniera invero piuttosto particolareggiata certe vicissitudini cui andò incontro, anche “in coerenza con l’impostazione filo-malaspiniana della sua opera”, come asserisce Donati. Secondo il racconto di Bonaventura, “era questo antico deposito di nobile, et eccellente struttura secondo l’uso di quei tempi, ellevato con colonne, et altri ornamenti di Marmo, che dal Capriccio di un Guardiano di questo Convento non senza grave dispiacere, e sdegno de’ Marchesi di Fosdinovo furono levate via in gran parte e vendute le Colonne alla Compagnia di S. Croce per sostentare la volta dell’orchestra dell’organo di quell’oratorio, che perciò n’ebbe il Convento de’ Frati per il corso di molti anni sensibili pregiudizii per mancanza dell’elemosine de’ Marchesi, et abitanti dello Stato di Fosdinovo”. Detto in altri termini, il monumento di Bernabò Malaspina fu smontato dalla sua collocazione originaria (lo storico sarzanese, tuttavia, non precisa l’anno del fatto) per essere rimontato in un altro luogo e in forma ridotta (e delle colonne reimpiegate in Santa Croce, peraltro, non si hanno più notizie). È interessante notare come un restauro effettuato nel 2004 abbia confermato la bontà di quanto affermato da Bonaventura: non solo, la figura del vescovo, per diversi anni, pare sia stata lasciata alle intemperie. Per tali ragioni, i marchesi Malaspina di Fosdinovo sospesero i donativi inviati alla chiesa.
Guillielmus (Guglielmo), Christus Triumphans (1138; tempera su tavola, 299 x 214 cm; Sarzana, Cattedrale) |
Scultore francese, Commendatio animae del vescovo Bernabò Malaspina, particolare della tomba del vescovo (Sarzana, San Francesco). Ph. Credit Archivio Piero Donati. |
Quelli sin qui menzionati non sono che alcuni degli esempî che Donati ha desunto dall’analisi del testo di Bonaventura: ricca fonte d’informazioni, preziosa raccolta d’annotazioni storiche su molti fatti di Sarzana e della Lunigiana Storica, la Collettanea copiosissima di Bonaventura de’ Rossi non è certo uno dei testi storici più agevoli (e forse la sua sfortuna si deve anche a questo fatto), ma è innegabile la sua imprescindibile importanza per lo studio delle vicende sarzanesi e lunensi del passato, e merito del saggio di Piero Donati è proprio quello d’aver posto l’accento sul valore considerevole di tale raccolta, cui occorre assegnare senz’altro un peso notevole nell’ambito degli studî sull’arte di questa zona della Liguria, colma di capolavori di rara pregevolezza.
L'autore di questo articolo: Federico Giannini
Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).