Si trova alla Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze uno dei manoscritti più importanti per lo studio delle Sacre Scritture: si tratta della Bibbia Amiatina (nota anche come Codex Amiatinus), un codice che fu prodotto nei monasteri di Wearmouth-Jarrow, in Northumbria (una regione dell’Inghilterra nord-orientale), dietro volontà dell’abate Ceolfrith (642 circa - 716), che commissionò la realizzazione di tre Bibbie modellate su di un antico volume che fu acquistato con ogni probabilità a Roma attorno al 679-680. Di queste tre Bibbie commissionate dall’abate Ceolfrith, il manoscritto della Laurenziana, che era stato probabilmente concepito come dono da inviare a papa Gregorio II per la Basilica di San Pietro, è l’unico che sia sopravvissuto intero. L’opera raggiunse effettivamente Roma, ma vi rimase soltanto per un secolo: fu infatti poi trasferita all’abbazia di San Salvatore al monte Amiata, in Toscana (da cui il nome con cui oggi è nota), dove rimase fino al Settecento quando, a seguito delle soppressioni leopoldine (ordinate dal granduca Pietro Leopoldo di Lorena), il patrimonio del monastero fu portato altrove e la Bibbia Amiatina prese la via di Firenze. Così, dal 1785, il Codice trova accoglienza presso la Biblioteca Medicea Laurenziana.
Sono molti gli aspetti interessanti di questo straordinario codice, redatto tra la fine del VII e l’inizio dell’VIII secolo: si presenta, intanto, con dimensioni fuori dal comune dal momento che è costituito da 1.029 carte membranacee, cioè di pergamena (per poter mettere assieme il materiale furono necessari circa 500 capi ovini), misura 540 per 345 per 253 millimetri, pesa oltre 50 chilogrammi e per realizzarla fu necessario l’impiego di otto copisti. Proprio queste dimensioni imponenti, che rendono necessariamente molto scomoda la consultazione (occorrerà poi considerare che a lungo fu imposto un divieto di utilizzo), hanno garantito alla Bibbia Amiatina di arrivare ai giorni nostri, nonostante i suoi circa 1.400 anni di vita, in ottime condizioni di conservazione (se non si considera però la legatura, che subì diversi interventi di rifacimento).
Tuttavia, il principale motivo per cui la Bibbia Amiatina è un codice estremamente interessante sta nel fatto che si tratta del testimone più antico e completo della più diffusa Bibbia in latino, la cosiddetta Vulgata, ovvero la traduzione nella lingua di Roma realizzata alla fine del IV secolo da san Girolamo (è così chiamata dall’espressione latina vulgata editio, letteralmente “edizione per il popolo”). Girolamo la scrisse sulla base della traduzione greca dall’ebraico dei Settanta (antica versione dell’Antico Testamento in greco), composta tra il III e il II secolo a.C., e rivista diverso tempo dopo dal grande teologo Origene (185 circa - 254 circa), uno dei principali scrittori cristiani dei primi tre secoli, che fu anche direttore della Scuola Catechetica di Alessandria.
I copisti che attesero alla realizzazione della Bibbia Amiatina eseguirono un lavoro attento e rigoroso: lo si comprende dal fatto che per la stesura del codice i monaci di Wearmouth-Jarrow presero come riferimenti diversi modelli, tra quelli più aggiornati e quelli più antiquati, in modo da poter redigere un testo non soltanto di pregio, ma anche moderno, funzionale alla lettura, capace di tener conto delle tante tradizioni che erano in circolazione al momento. Gli studiosi in particolare hanno notato che il principale modello della Bibbia Amiatina è il Codex grandior prodotto dal monastero calabrese di Vivarium, nei pressi di Squillace, e fatto copiare da Cassiodoro (490 - 583 circa): questo manoscritto, oggi perduto, seguiva versione in latino delle Sacre Scritture elaborata dallo stesso san Girolamo dopo il 387 (la Vulgata fu invece realizzata attorno al 393). La principale differenza che separava il Codex grandior dal Codex Amiatinus sta proprio nel fatto che la Bibbia realizzata in Inghilterra appartiene alla recensione Vulgata.
L’importanza di questo codice, scritto in carattere onciale su due colonne per pagine e con 43 o 44 linee per colonna (è anche uno dei migliori esempi di questa grafia), è legata anche all’apparato illustrativo del primo fascicolo. “Oltre alla carta purpurea contenente il Prologo che ne evidenzia il pregio qualitativo e a quella contenente i versi di dedica, la cui lettura fu chiarita per la prima volta [...] da Giovanni Battista De Rossi, sulla base dell’analisi paleografica e della lettura delle fonti conservate”, ha scritto la studiosa Francesca Arduini, direttrice della Laurenziana dal 1996 al 2009, “è presente una miniatura a piena pagina, raffigurante lo scriba e sacerdote ebreo Esdra che copia o riscrive a memoria la Bibbia distrutta. Si tratta certamente di una delle immagini più celebri al mondo, fra quelle presenti su codici e di una di quelle più riprodotte in assoluto. Infatti, Esdra o forse Cassiodoro – secondo altre interpretazioni - vi è rappresentato nell’atto di scrivere, circondato dagli strumenti dello scriptorium tardoantico che sono ai suoi piedi, mentre sullo sfondo è rappresentata una biblioteca, o meglio l’armarium in cui i codici sono riposti orizzontalmente sui piani”.
Conosciamo importanti dettagli della storia della Bibbia Amiatina proprio grazie alle annotazioni che gli studiosi hanno trovato tra le sue pagine: i sopraccitati versi di dedica, che certificano inequivocabilmente la commissione da parte di “Ceolfridus Anglorum”, ovvero l’abate Ceolfrith, furono poi corretti per essere aggiornati con informazioni sul nuovo luogo di conservazione della Bibbia. Nei versi di dedica, scoperti come riportato sopra dall’epigrafista Giovanni Battista De Rossi nel 1888, si legge: “Corpus ad eximii venerebile Petri / Quem caput ecclesiæ dedicat alta fides / Ceolfridus Anglorum extremis de finibus abbas / Devoti affetti pignora mitto” (“Al corpo del veneratissimo Pietro / Al quale il capo della chiesa è consacrato dall’alta fede / Ceolfrith abate dei confini estremi degli inglesi / Mando un pegno”). La parola “Corpus” fu sostituita con “Cenobium”, “Petri” con “Salvatori” e “Ceolfridus Anglorum” con “Petrus Langobardorum” (effettivamente ci fu un Pietro abate di San Salvatore dopo l’886, anche se all’epoca era terminato il dominio dei longobardi in Toscana). L’unica certezza che abbiamo è che sicuramente nel 1035 la Bibbia si trovava a San Salvatore, anche se vi fu portata prima di questa data, e da lì non si sarebbe più mossa fino all’epoca delle soppressioni conventuali di Pietro Leopoldo, eccezion fatta per un viaggio a Roma compiuto tra il 1587 e il 1591: la Bibbia Amiatina era infatti ritenuta così importante da essere adoperata come base per l’edizione sisto-clementina della Vulgata pubblicata nel 1592. Si trattava dell’unica versione latina autorizzata della Bibbia dopo il Concilio di Trento. Lo sappiamo perché sul verso del secondo foglio di guardia (i fogli di guardia sono quelli che si trovano tra la legatura e il libro stampato) si trova una nota che recita: “La presente Bibia A dì 12 di luglio 1587 fu portata al illustrissimo Card. Antonio Carafa per l’opera dell’emendatione della Bibia latina vulgata per ordine di S. Santità Sixto v in Roma e fu restituita a dì 19 di gennaro 1592 alli Reverendi Padri D. Marcello Vanni et D. Stefano Bizzotti Monaci di Monastero di S. Salvatore in Montamiata. Io Arturo de’ conti d’Elci”.
Tra il 1999 e il 2000, la Bibbia Amiatina è stata oggetto di alcune importanti operazioni che hanno consentito la realizzazione di fedeli riproduzioni: un’impresa non facile (per poter realizzare le immagini dei fogli è stato necessario sfascicolare il codice), che però ha anche reso fattibili indagini diagnostiche sul manoscritto (con le quali è stato per esempio possibile accertare che è stata scritta su pergamena), e soprattutto ha permesso di realizzare diverse copie “derivate” che permettono di studiare accuratamente il codice senza necessità di toccare l’originale. Una di queste copie, a grandezza naturale, in occasione del Giubileo del 2000 raggiunse il Museo dell’Abbazia di San Salvatore, sancendo così un ritorno simbolico della Bibbia Amiatina nel luogo che per lunghi secoli la conservò con tanta cura.
Nata dalle raccolte della famiglia Medici di Firenze, la Biblioteca Medicea Laurenziana occupa i locali che si trovano a fianco della basilica di San Lorenzo (da cui il nome) e che furono progettati da Michelangelo Buonarroti. Oggi, infatti, si visita la Laurenziana anche per apprezzarne i meravigliosi interni, rimaneggiati poi successivamente: celebre è lo Scalone in pietra serena disegnato nel 1559 da Bartolomeo Ammannati. La Laurenziana conserva una delle principali raccolte di manoscritti al mondo (sono oltre 11.000 i manoscritti qui conservati e la Bibbia Amiatina è uno dei suoi tesori più preziosi), e poi ancora oltre 68.000 volumi a stampa, 406 incunaboli, 4.058 cinquecentine. Tra gli oggetti più pregevoli che la Laurenziana accoglie si contano codici che contengono le opere di autori antichi come Tacito, Plinio, Eschilo, Sofocle, Quintiliano, e poi ancora il Virgilio corretto nel 494 da Turcio Rufio Aproniano Asterio, il più antico testimone del Corpus Iuris Civilis di Giustiniano, che fu copiato poco tempo dopo la sua promulgazione.
La Laurenziana conserva inoltre il Fondo Mediceo, composto da circa 3.000 manoscritti appartenuti ai Medici (63 dei quali erano di Cosimo il Vecchio: tra questi tre raccolte complete dei Dialoghi platonici in carta bona, donata da Cosimo il Vecchio a Marsilio Ficino perché la traducesse), i manoscritti provenienti dal convento di San Marco, il prezioso codice Squarcialupi (l’unica fonte della musica profana fra Trecento e Quattrocento), alcuni autografi di Petrarca e Boccaccio, le Storie del Guicciardini con interventi dell’autore e la biografia, in parte autografa, di Benvenuto Cellini, gli autografi di Vittorio Alfieri, il fondo D’Elci che contiene 1.213 esemplari di edizioni principi di autori dell’antichità greca e latina, i circa 2.000 codici medievali appartenuti a Lord Ashburnam.
La Biblioteca Medicea Laurenziana è poi uno dei principali luoghi di studio del Rinascimento fiorentino, data la presenza di molte opere dei più importanti umanisti, oltre che dei codici da loro posseduti: è possibile menzionare tra gli altri Pico della Mirandola, Marsilio Ficino, Coluccio Salutati, Poggio Bracciolini, Niccolò Niccoli. La Laurenziana è anche luogo di conservazione di importanti codici miniati del Rinascimento, con illustrazioni che si ispirano ai capolavori di maestri come Cimabue, Botticelli, Antonio e Piero del Pollaiolo, Domenico del Ghirlandaio. Proprio grazie a un eccezionale primato fondato su due fattori (l’unicità delle raccolte e la natura dell’edificio progettato da Michelangelo), la Biblioteca Medicea Laurenziana non è soltanto una delle più importanti biblioteche statali italiane, ma è un monumento che racconta una parte importante della storia della cultura mondiale.
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