Albenga, cittadina della Riviera ligure di ponente, è un insediamento di origine preromana. Il suo primo nome fu Albium Ingaunum, latinizzato poi in Albingaunum, che significa ‘città degli Ingauni’, dalla tribù di Liguri che la avevano come capitale. Il suo centro storico, in cui, oltre all’evidente impianto urbanistico del castrum romano, è riconoscibile il suo fiorente periodo medievale, conserva l’edificio paleocristiano più importante di tutta la Liguria, il battistero, unica costruzione rimasta intatta dell’Albenga tardo-romana e bizantina. Si trova ad un livello inferiore rispetto all’attuale pavimentazione cittadina, circa due metri e mezzo, ed è posto accanto alla Cattedrale di San Michele, le cui attuali forme sono certamente posteriori, ma la collocazione è rimasta invariata rispetto all’edificio originario.
Il battistero, la cui architettura rientra ancora nella tradizione romana, venne probabilmente eretto nella prima metà del V secolo, grazie all’opera ricostruttrice di Costanzo, generale di Onorio e marito di Galla Placidia, che diventerà imperatore nel 421 con il nome di Costanzo III. Tuttavia, alcuni nuovi studi orientano la sua edificazione tra la seconda metà del V e la prima metà del VI secolo.
La pianta è decagona all’esterno e ottagona all’interno. Un tamburo ottagonale, rientrante rispetto al tetto del corpo inferiore, si erge nella zona centrale e sulla sua superficie esterna si aprono otto monofore. Tra le finestre della zona inferiore, quattro presentano, a chiusura, una lastra lapidea traforata e decorata. Nel restauro degli anni Cinquanta ne è stata inserita una quinta, riprendendo le forme dell’antico. Inoltre due aperture sono state chiuse da mattoni alternati che lasciano passare aria e luce. L’attuale copertura è frutto di un importante restauro di fine Ottocento, eseguito sotto la direzione generale di Alfredo d’Andrade, direttore dell’Ufficio regionale per la conservazione dei monumenti del Piemonte e della Liguria. Uno degli interventi messi in atto fu proprio lo smantellamento del tetto, ritenuto del XV secolo. Durante questa operazione, furono rivenute alcune anfore, riconducibili al V secolo, impiegate per alleggerire la volta, che dunque probabilmente era originale: soltanto la copertura in ardesia era forse successiva e venne sostituita da tegole ad imitazione di quelle romane.
Il Battistero di Albenga. Ph. Credit Mino Amandola |
L’interno del battistero di Albenga. Ph. Credit Mino Amandola |
Fonte battesimale commissionato dal vescovo Luca Fieschi |
Lacerto di decorazione pittorica sul fonte battesimale medievale |
La nicchia con il mosaico |
Il mosaico della volta nella nicchia opposta all’ingresso. Ph. Credit Mino Amandola |
All’interno, negli otto lati si alternano nicchie quadrangolari e circolari. Agli angoli sono collocate colonne con capitelli corinzi. Al centro dell’edificio si è conservata la vasca battesimale per immersione, anch’essa ottagonale all’interno, mentre all’esterno è a stella. Il numero ‘otto’ viene impiegato all’interno degli edifici battesimali in quanto il Battesimo è indicato con l’ottavo giorno, cioè il primo giorno di una nuova settimana, così come per il cristiano questo sacramento è l’inizio di una nuova era. Nelle due nicchie che affiancano quella contenente il mosaico, si conservano due fonti battesimali successivi. Uno di forma cilindrica, di probabile fattura medievale, posizionato direttamente sul pavimento e sulla superficie esterna sono rintracciabili alcune tracce di una rappresentazione del Battesimo di Gesù; l’altro, in marmo, fu voluto dal vescovo Luca Fieschi (1582-1610), per adeguarsi alle indicazioni del Concilio di Trento, in seguito alla visita di monsignor Niccolò Mascardi in occasione delle ispezioni apostoliche.
All’interno di questo battistero è conservata una preziosissima testimonianza di arte paleocristiana. Si tratta di un mosaico, che ricopre le superfici della volta, della lunetta e del sottarco della nicchia opposta all’attuale ingresso. La sua datazione oscilla tra la fine del V e l’inizio del VI secolo. Sulla volta è rappresentato un cielo blu tempestato di stelle a otto punte, sistemate in file ordinate. Al centro è riprodotto il monogramma di Cristo, formato dalle lettere greche chi e rho sovrapposte, entro un alone circolare di tonalità azzurro chiaro. Il monogramma si estende in altri due aloni concentrici, che presentano una tonalità dello sfondo più scure. In ogni cerchio vengono ripetute anche le lettere alpha e omega. In totale dunque viene riproposto per tre volte. A circondare l’alone più esterno sono riprodotte dodici colombe, simboleggianti i dodici apostoli, che indirizzano il loro sguardo verso una piccola croce latina all’interno di un cerchio posizionata all’estremità superiore del rho più esterno. Tra gli uccelli vi sono delle leggere differenze nella raffigurazione: quelle più vicine alla croce infatti hanno le penne della coda e le ali in apertura, pronte a spiccare il volo (accennando dunque a un lieve movimento), mentre quelle più distanti sono protese, in attesa.
Una larga fascia decorata a foglie di acanto stilizzate racchiude il sottarco e la lunetta. In quest’ultima vengono raffigurati due agnelli, su un prato fiorito, che guardano in direzione di una croce gemmata: è l’immagine di un ambiente paradisiaco. Anche lo sfondo di questa sezione è blu. Il sottarco della monofora della nicchia è decorato con due fronde d’alloro, che racchiudono un piccolo cerchio in cui è raffigurata un’ancora, e una fascia in rosso gemmata, motivo decorativo che si ritrova anche a contornare la superficie dell’esterno della volta. Si ritrovano nuovamente i rami di alloro insieme a un altro motivo vegetale a fiori bianchi, a racchiudere un’iscrizione dedicatoria, così interpretata da Pietro Toesca all’inizio dello scorso secolo (anche se in alcuni punti è lacunosa): (NOMI)NAMUS/QUORUM HIC RELIQUIAE SUNT. Sotto, prosegue con l’elencazione dei nomi di alcuni santi, da leggere dall’alto verso il basso: STEFANI S.IOHANNIS LAURENTI NAVORIS PROTASI / (lacuna) EVANGEL. (lacuna) FELICIS GERVASI.
È probabile che questi nomi indicassero la presenza delle reliquie dei santi conservate in questo ambiente. Il culto dei santi nominati è legato alla Chiesa Ambrosiana (la diocesi di Albenga era dipendente da quella di Milano). In alto sulla parete, si può ancora vedere un lacerto di mosaico, dove si vedono una colomba e motivi vegetali. Si può dunque immaginare che la decorazione musiva ricoprisse anche tutta quella superficie e non si può escludere un programma iconografico più ampio rispetto a quello oggi visibile. Il tema centrale di questa rappresentazione è la fede trinitaria, unitamente al tema della divinità di Cristo. Questa necessità era frutto della contrapposizione con l’arianesimo, anche se a quest’altezza cronologica il contrasto si era ormai esaurito. L’arianesimo infatti sosteneva la subordinazione del Figlio rispetto al Padre, considerando la Trinità formata da tre figure separate. Nel mosaico ingauno l’aspetto trinitario è indicato dalla ripetizione per tre volte del monogramma di Cristo e delle lettere apocalittiche alpha e omega. Questa iconografia era particolarmente adatta per la funzione del luogo: infatti chi veniva qui battezzato professava la sua fede nelle tre persone della Trinità e, immerso nella vasca centrale, poteva osservare davanti a lui il mosaico. Per realizzare quest’opera musiva furono probabilmente impiegate maestranze che conoscevano le novità dei centri dell’impero, in maniera diretta o attraverso la circolazione di cartoni. Questa raffigurazione manca ormai di naturalismo, come è evidente nei fiori del prato della visione paradisiaca che hanno ormai subito una forte stilizzazione.
La nicchia con la decorazione musiva e quella con il fonte battesimale cilindrico e in muratura |
Decorazione in bianco e nero dell’intervento quattrocentesco commissionato dal vescovo Leonardo Marchese |
Una delle tombe ad arcosolio ai lati dell’attuale ingresso |
Anfore (V secolo) ritrovate nella copertura del tetto nell’intervento di restauro di fine Ottocento |
Affresco staccato raffigurante il Battesimo di Cristo |
Una delle finestre originali |
Nel Sacro e Vago Giardinello, testo scritto tra il 1624 e il 1625 da Giovanni Ambrogio Paneri, segretario del vescovo Pier Francesco Costa (figlio del banchiere Ottavio Costa), in cui venivano descritte le chiese della diocesi di Albenga, si affermava che al termine del XV secolo il battistero venne completamente affrescato. Oggi si conservano poche tracce della decorazione pittorica, non riferibile tutta ad un medesimo periodo. Un Battesimo di Cristo, probabilmente realizzato nei primi decenni del Trecento, fu staccato durante il restauro di inizio Novecento e trasportato su tela. Osservando in prossimità dell’imposta della volta sopra la nicchia mosaicata, si scorgono altri lacerti di decorazione parietale, la cui esecuzione è indicata come quattrocentesca, in cui è riconoscibile un volto con un nimbo, un’altra figura con aureola vista frontalmente e racemi vegetali. Si conserva anche un’iscrizione commemorativa del vescovo Leonardo Marchese (1445 circa – 1513), committente di un intervento quattrocentesco (forse quello indicato nel citato testo seicentesco) di cui si conserva un breve brano di decorazione a bande bianco-nere di un arco.
Ai lati dell’ingresso si trovano due tombe ad arcosolio di periodo altomedievale, di cui una presenta una decorazione in stile longobardo che riveste l’intera fronte del sarcofago (attualmente gli originali della lastra rettangolare e quella di copertura si trovano presso il Museo Diocesano di Arte Sacra di Albenga). Oltre alla pregevole qualità artistica, è la testimonianza che questo edificio fu utilizzato anche con funzione sepolcrale. Di interesse artistico sono anche una transenna e un sottarco in pietra traforata, riconducibili all’ottavo secolo, così come dello stesso periodo e di grande pregio sono le finestre in pietra traforata e decorata.
L'autrice di questo articolo: Francesca Interguglielmi
Storica dell'arte, laureata in Arte Medievale presso l'Università degli Studi di Siena. Attualmente si sta formando in didattica museale presso l'Università degli Studi Roma Tre.