Quando ci si trova dinnanzi a un autoritratto, il genere più intimo cui un artista possa dedicarsi, l’osservatore desideroso di cogliere l’essenza del dipinto è spesso portato a chiedersi se quel pittore o quello scultore, nel momento in cui ha deciso d’affidare la propria immagine alla tela, al marmo, al bronzo, ha indossato una maschera, proiettando sul supporto una particolare dimensione di sé per lasciar passare un messaggio ben preciso, o se si è semplicemente posto di fronte a uno specchio per offrire di se stesso un’immagine priva di filtri, sincera, capace di toccare l’osservatore nel profondo per trasmettergli uno stato d’animo provato in quel momento, una sintesi del proprio carattere, un aspetto (o più aspetti) del proprio temperamento. Dunque, un autoritratto è una maschera o uno specchio? La risposta diventa poco agevole quando ci si trova di fronte ai ritratti di Pieter Paul Rubens (Siegen, 1577 - Anversa, 1640), il pittore che forse più d’ogni altro ha incarnato l’anima del barocco. La sua è un’arte vigorosa, dinamica ed esuberante, ricca di tumultuose battaglie, floride dee dell’antichità, rubicondi personaggi che popolano festose allegorie, scene religiose potenti e drammatiche. E lui fu un pittore dotato di una “solenne abilità narrativa”, ha scritto la studiosa Anna Lo Bianco, che “provoca un forte impatto nello spettatore, animato da un nuovo sentimento di coinvolgente partecipazione”, in grado di creare composizioni dove “tutto è animato da un forte senso di pathos e di energia vitale”.
Una forza che, in apparenza, sembrerebbe quasi contrastare con il temperamento di Rubens, che ci viene descritto dalle fonti come un pittore dall’animo mite, dai modi gentili, dal fare accomodante e amichevole. L’artista e storico dell’arte tedesco Joachim von Sandrart (Francoforte sul Meno, 1606 - Norimberga, 1688), che ebbe modo di conoscere Rubens nel 1627 durante un viaggio da Utrecht ad Amsterdam, lo descrisse nella sua Teutsche Academie (un grande dizionario dell’arte con le biografie di moltissimi artisti) come “in seinem laboriren expedit und fleißig gegen jederman höflich und freundlich bey allen angenehm”, ovvero “rapido e industrioso nei suoi lavori, cordiale, amichevole e piacevole con tutti”. Ancora, Raffaele Soprani, nelle sue Vite degli artisti genovesi (Rubens soggiornò spesso a Genova, lasciando in città diversi capolavori), scrive che “il gustoso e vivace colorito di questo valentuomo, il gentile suo tratto, la facondia del suo parlare, e le altre nobili doti che lo fregiavano, legarono talmente gli animi de’ primari cavalieri di questa città, che mal forniti credevano i loro palazzi senza qualche tavola di costui”. E addirittura, lo scienziato Nicolas-Claude Fabri de Peiresc, che fu in rapporti epistolari con il pittore fiammingo, scrisse che “non esiste al mondo anima più amabile di quella del signor Rubens”. In che modo questo contrasto tra la forza della sua arte e l’estrema gentilezza del suo carattere emerge dagli autoritratti?
Lo sguardo di Rubens nell’autoritratto conservato alla Rubenshuis di Anversa |
Conosciamo, intanto, solo quattro autoritratti di Pieter Paul Rubens. L’ultimo in ordine cronologico è sicuramente quello conservato presso il Kunsthistorisches Museum di Vienna: qui, l’artista si dipinge passata la soglia dei sessant’anni (si tratta, con tutta probabilità, di un’opera risalente al 1638, eseguita quindi due anni prima della scomparsa) e, caso unico nel ristretto novero dei suoi autoritratti, Rubens decide, agli sgoccioli della sua carriera, di raffigurarsi secondo toni ufficiali. L’artista si rappresenta infatti vicino a una colonna (secondo un’iconografia tipica dei ritratti di nobili e sovrani: e tipico di tali tipi di ritratto è anche il formato in tre quarti), porta una spada e indossa un guanto, tutti simboli di nobiltà e di elevata condizione sociale: caso unico nel corso della sua intera attività, Rubens vuole qui dimostrare fino a dove la sua arte lo ha portato. Eppure, scrive Wolfgang Prohaska nel catalogo dei dipinti del museo austriaco, “al di là delle pose ufficiali, i suoi lineamenti rivelano un certo distacco scettico, unito a uno sguardo vigile e indagatore”. Rubens si dimostra dunque riflessivo e, pur se in posa dignitosa, non ostenta alcun orgoglio (benché fosse comunque un uomo piuttosto orgoglioso): sembra che il suo sguardo voglia quasi comunicare all’osservatore la sua indifferenza verso la posizione che la vicinanza alle grandi corti europee del tempo gli avevano garantito, nonché la sua sostanziale insofferenza nei confronti dell’alta società. Giova ricordare che, nel 1630, l’artista, arrivato alla soglia dei cinquantatré anni, aveva sposato in seconde nozze, dopo la scomparsa della prima moglie Isabella Brandt, una ragazza di sedici anni, Helena Fourment, figlia di un facoltoso mercante di seta: Rubens, quattro anni più tardi, spiegò a Peiresc, in una lettera, che pur avendo avuto l’opportunità di sposarsi con una non meglio specificata nobildonna, aveva preferito accasarsi con una ragazza proveniente da una famiglia di più umili origini, perché non intendeva rinunciare alla propria preziosa libertà in cambio d’un matrimonio con un’esponente dell’aristocrazia.
Risale invece al 1623 (è firmato e datato) quello che è probabilmente il primo autoritratto di Rubens: fu eseguito per un committente di primo piano, il futuro re Carlo I d’Inghilterra, allora ancora principe del Galles. Due anni prima, Rubens aveva inviato uno studio per un dipinto a Henry Danvers, cavaliere, esponente di spicco della corte inglese, equivocando tuttavia sul destinatario dell’opera, ovvero il principe in persona. Poiché non era possibile presentare al futuro re uno studio anziché un’opera compiuta, Danvers chiese a Rubens di inviare un altro dipinto, e in particolare richiese un autoritratto del pittore: Rubens avrebbe poi confessato successivamente di averlo inviato malvolentieri, dal momento che riteneva immodesto e sconveniente inviare il proprio ritratto a un principe, ma la ferma volontà dell’illustre committente ebbe la meglio. Così, l’artista eseguì un ritratto quasi dimesso: un abito nero, sobrio, un grande cappello e la catena d’oro, simbolo della pittura ma anche dello status da lui raggiunto (gli erano state donate catene d’oro come segno di riconoscenza da parte degli arciduchi Alberto e Isabella d’Austria nel 1609 e da Cristiano IV di Danimarca nel 1623), quasi nascosta sotto la veste, come se l’artista volesse in qualche modo promuoversi mostrandola ma, al contempo, cercasse d’evitare di ostentarla. Al netto della replica di questo autoritratto, oggi conservata a Canberra presso la National Gallery of Australia, i due rimanenti autoritratti sono quello degli Uffizi, l’unico in cui l’artista si raffigura senza copricapo (è databile al 1628 circa e arrivò a Firenze nel 1713, come dono a Cosimo III de’ Medici da parte del suo genero Giovanni Gugliemo II del Palatinato-Neuburg), e quello oggi conservato alla Rubenshuis di Anversa, forse il più affascinante di tutti.
Pieter Paul Rubens, Autoritratto (1638 circa; olio su tela, 109,5 x 85 cm; Vienna, Kunsthistorisches Museum) |
Pieter Paul Rubens, Autoritratto (1623; olio su tavola, 85,7 x 62,2 cm; Windsor, The Royal Collection) |
Pieter Paul Rubens, Autoritratto (1628 circa; olio su tela, 78 x 61 cm; Firenze, Galleria degli Uffizi) |
Pieter Paul Rubens, Autoritratto (1630 circa; olio su tela, 61,5 x 45 cm; Anversa, Rubenshuis) |
In quest’ultimo, Rubens si raffigura ancora in abito scuro, totalmente privo di orpelli di qualsiasi sorta, mentre guarda davanti a sé con aria attenta e con il capo coperto da un grande cappello a tesa larga: è probabile che Rubens usasse questi copricapo per nascondere la calvizie incipiente che notiamo nel dipinto degli Uffizi, una delle rare concessioni vanitose (se non l’unica) cui l’artista pare abbandonarsi nei propri autoritratti. È inoltre un dipinto in grado di fondere una certa immediatezza, riscontrabile nella maniera in cui Rubens raffigura la propria veste e lo sfondo dietro di sé (anche se non mancano quei contrasti di luce che avevano caratterizzato le sue realizzazioni precedenti, in particolar modo l’autoritratto della Royal Collection), con quella cura del dettaglio che gli era propria e che è esaltata dalla luce delicata che l’artista fa cadere sul suo viso per sottolineare gli accenti biondi della barba, l’espressività degli occhi azzurri, i colori delicati della pelle. Non sappiamo con esattezza in quale periodo della sua carriera sia stato realizzato l’autoritratto di Anversa: si può comunque dedurre, dalle somiglianze, che sia stato realizzato negli stessi anni del ritratto inviato al principe del Galles. Si è ipotizzato che l’esecuzione dell’opera possa essere ricondotta al 1630, magari in occasione del matrimonio con Helena Fourment.
Degli autoritratti di Rubens che conosciamo, di sicuro quello di Anversa è il più informale, e questa informalità si deve, con tutta probabilità, al fatto che questo dipinto dovesse costituire una sorta di studio o di prototipo per eventuali futuri autoritratti più impegnativi e definiti. Di conseguenza, non possiamo neanche sapere con la massima sicurezza se la grande spontaneità che permea il dipinto era voluta, o semplicemente se il dipinto ci appare spontaneo perché l’artista l’aveva inteso come un bozzetto per realizzazioni più elaborate. È anche probabile che Rubens volesse realizzare questo dipinto per la propria collezione: oltre a essere infatti un acclamato artista, Rubens era anche un raffinato collezionista d’arte, e radunò la propria raccolta nella sua abitazione, la Rubenshuis (“Casa di Rubens”), oggi un museo visitabile nonché una delle residenze d’artista più interessanti e meglio conservate d’Europa.
Il pittore acquistò la casa di Anversa, la principale città delle Fiandre, nel 1610: il suo obiettivo era quello di farne la propria residenza, uno studio in cui potesse lavorare, nonché la sede della propria collezione d’arte. Fu Rubens stesso a seguire i rinnovamenti architettonici della casa, una tipica abitazione fiamminga in mattoni, e fu lui a disegnare i piani per far sì che quella casa tradizionale diventasse un palazzo in grado di rifarsi alle sontuose residenze che Rubens aveva visto nei suoi soggiorni in Italia: proprio a Genova, Rubens aveva avuto modo di studiare approfonditamente i palazzi dei rolli, le residenze del patriziato cittadino, tanto da redigere nel 1622 un libro, i Palazzi di Genova, in cui l’artista aveva illustrato e descritto con minuzia gli edifici della città (e si tratta d’un testo di fondamentale importanza per lo studio e la comprensione dei palazzi dei rolli di Genova). Così, Rubens fece in modo che l’abitazione avesse una facciata ispirata proprio ai palazzi genovesi (purtroppo demolita nel Settecento inoltrato) e che fosse dotata di un sontuoso cortile interno sviluppato su arcate e finestroni di ascendenza classica, ornato con statue, e al quale era connesso un grande portico, modellato sull’esempio degli archi di trionfo romani e affacciato su di un rigoglioso giardino all’italiana. Proprio il portico, assieme al padiglione del giardino, è oggetto d’un restauro partito il 18 settembre 2017 e, in attesa della conclusione fissata per gli inizi del 2019, aperto al pubblico in occasione del festival Anversa Barocca 2018. Rubens Inspires: si tratta, peraltro, delle uniche due parti dell’abitazione che non hanno subito pesanti rimaneggiamenti in epoche successive, e costituiscono pertanto una preziosissima testimonianza vivente della rara attività di architetto di Rubens. Il restauro, che segue il primo restauro conservativo condotto da Emiel van Averbeke tra il 1939 e il 1946, anno quest’ultimo in cui la Rubenshuis venne aperta come museo, s’è reso necessario a causa del precario stato di conservazione dei due elementi architettonici, aggravato da infiltrazioni d’acqua. Ma non solo: il restauro eliminerà infatti anche alcune aggiunte successive, in modo da riportare il portico al suo stato immaginario, esattamente come Rubens l’aveva immaginato.
Jacobus Harrewijn da Jacques van Croes, La Rubenshuis di Anversa (1692; incisione, 432 x 334 cm; Anversa, Rubenshuis) |
Il portico della Rubenshuis. Ph. Credit Rubenshuis Anversa |
Il cortile della Rubenshuis. Ph. Credit |
Il portico e il padiglione del giardino della Rubenshuis non sono tuttavia i soli a subire un restauro. Anche l’autoritratto di Anversa è stato infatti sottoposto a un recente intervento, iniziato nel gennaio del 2017, quando il dipinto è stato inviato al KIK-IRPA di Bruxelles (Koninklijk Instituut voor het Kunstpatrimonium - Institut Royal du Patrimoine Artistique, ovvero “Reale Istituto del Patrimonio Artistico”: è il principale istituto di restauro e conservazione dei beni culturali in Belgio), destinato ad accoglierlo per circa un anno: il ritorno del dipinto nelle Fiandre è previsto per il primo giugno del 2018, giorno fissato per il rientro alla Rubenshuis dell’autoritratto e data d’inaugurazione della mostra Rubens Returns, che oltre a esporre il dipinto restaurato ha anche in programma di mostrare al pubblico le dodici nuove acquisizioni del museo di Anversa.
Non si tratta comunque della prima volta che l’opera, almeno in tempi recenti, lascia la propria casa per essere sottoposta a indagini. Era già successo nel 2014, quando l’autoritratto di Rubens è stato inviato alla National Gallery di Londra, e in particolare al suo dipartimento di conservazione e restauro, per una prima analisi sulla possibilità di un restauro: l’intervento condotto all’epoca aveva consentito di accertare la sostanziale fragilità dell’opera, dal momento che Rubens, per quanto preciso fosse, aveva l’abitudine di realizzare i supporti dei suoi dipinti unendo diverse assi di legno, una consuetudine tuttavia rischiosa per lo stato di conservazione del dipinto, in quanto più assi unite tra loro sono più suscettibili di alterazioni e deformazioni. Tuttavia, i restauratori della National Gallery hanno dato responso positivo per un eventuale intervento di restauro. Così l’autoritratto, dopo essere stato esposto in un’importante mostra alla Rubenshuis (Rubens in private. The master portrays his family, tenutasi tra il marzo e il giugno del 2015) che ha visto anche la presenza dei ritratti della Royal Collection e di Vienna (quello degli Uffizi, a causa del suo stato di conservazione, non può viaggiare), è stato esposto per qualche tempo nella sua sede prima di ritornare, agli inizi del 2017, tra le mani dei tecnici. Prima del vero intervento (su cui ancora non trapelano dettagli), l’autoritratto è stato tuttavia sottoposto a esami diagnostici finalizzati all’acquisizione di informazioni: tra questi, anche l’esame dendrocronologico per ottenere dettagli utili attorno alla datazione del dipinto (l’esame dendrocronologico è infatti quello che permette di risalire alla datazione di un oggetto attraverso lo studio dei suoi elementi in legno) e quello alla fluorescenza di raggi X che ha permesso di comprendere quante e quali parti sono state ritoccate e modificate in momenti successivi, dal momento che è certo che il dipinto subì, nel corso della storia, un cambio di formato (in particolare l’opera era ovale prima di diventare rettangolare: tuttavia, non sappiamo con sicurezza se a eseguire i rimaneggiamenti sia stato o meno lo stesso Rubens). È anche certo che il dipinto ha subito alterazioni della superficie pittorica, dovuti a restauri spesso condotti senza troppi scrupoli. È dunque probabile, ipotizzano i restauratori del KIK-IRPA, che in origine l’opera “fosse molto più bella di quanto possiamo immaginare”: così ha affermato, in un video ufficiale dei musei di Anversa, Marie-Annelle Mouffe, che insieme ad altri restauratori dell’istituto belga si sta occupando dell’intervento. “Dalle nostre scoperte”, le fa eco il collega Steven Saverwyns, “supponiamo che il dipinto, dopo il restauro, possa avere un aspetto totalmente differente. Dobbiamo valutare fino a che punto l’intervento potrà spingersi”.
I tecnici rimuovono l’autoritratto di Rubens dalla sua parete |
Il dipinto nei laboratori di restauro del KIK-IRPA |
L’autoritratto di Rubens viene smontato |
Il dipinto sottoposto a esami diagnostici |
Qual è, tuttavia, l’immagine che il pittore ha voluto dare di sé in questo interessante autoritratto? Si tratta dell’opera che offre forse l’immagine dell’artista più aderente alla propria indole cortese, garbata e affabile e al proprio animo nobile, così lodato da chi ebbe la fortuna di conoscerlo. Lo sguardo è amichevole, interessato, curioso, e la bocca, pur rimanendo serrata in un’espressione seria, pare stia per lasciarsi andare a un sorriso appena accennato ma comunque bonario e sincero. Questo aspetto gradevole che Rubens intende comunicare con quello che è probabilmente il più intimo dei suoi autoritratti, capace di restituirci l’idea di quel vero gentiluomo che l’artista fu, è del tutto coerente con le descrizioni della sua personalità tramandateci dai suoi contemporanei. L’opera acquisisce poi un fascino anche maggiore se si pensa che, fin dal momento in cui fu realizzata, non ha mai lasciato la propria sede, se non per trasferte temporaneee. È quasi come se Pieter Paul Rubens non avesse mai abbandonato la propria dimora e sia ancora qui in mezzo a noi, per mostrarci le vette toccate dalla sua arte.
Bibliografia di riferimento
Gli autori di questo articolo: Federico Giannini e Ilaria Baratta
Gli articoli firmati Finestre sull'Arte sono scritti a quattro mani da Federico Giannini e Ilaria Baratta. Insieme abbiamo fondato Finestre sull'Arte nel 2009. Clicca qui per scoprire chi siamo