“È davvero un meraviglioso cultore del bello”: Auguste Rodin secondo Carl Burckhardt


Carl Burckhardt fu un grande estimatore dell'opera di Auguste Rodin: la sua scultura ne risentì e allo scultore francese dedicò anche un libro. Questo rapporto è oggetto dell'articolo.
“È davvero un meraviglioso cultore del bello”: Auguste Rodin secondo Carl Burckhardt

“Alla Kunsthalle sono temporaneamente visibili una coppia di torsi e una donna distesa in gesso, frammenti di giganti, rappresentazioni di folle, tutto ciò che rientra nel concetto di ‘monumentale’ [...]. Sembra che plasmi la materia di continuo, notte e giorno, senza un disegno preciso, e poi d’improvviso, come una rivelazione, ecco apparire l’opera nella sua cristallina monumentalità”. È il 1906 quando Carl Burckhardt (Lindau, 1878 - Ligornetto, 1923), grande artista da molti ritenuto il padre della scultura svizzera moderna, si reca alla Kunsthalle di Basilea per visitare una Exposition d’art française in cui sono in mostra, tra le altre, alcune sculture di Auguste Rodin (Parigi, 1840 - Meudon, 1917). Il brano sopra riportato viene scritto all’indomani della visita: è tratto da una lettera che Burckhardt invia al suo amico Hermann Kienzle, e contiene tutto il suo entusiasmo per la scoperta delle opere di Rodin, che lo scultore svizzero ha finalmente modo d’osservare in maniera approfondita e non superficiale per la prima volta. Ovviamente, Burckhardt già conosceva Rodin: impossibile, per un artista aggiornato come lui, non aver contezza di chi fosse quello che all’epoca era lo scultore più famoso e apprezzato di Francia. Ciò nondimeno, anche l’artista di Lindau s’era accodato al novero di quanti avevano disprezzato certi lavori di Rodin: in quella stessa lettera del 25 marzo 1906, Burckhardt continua a definire “disgustosa” un’opera come Celle qui fut la belle heaulmière e uno “spauracchio” il monumento a Balzac (poi, come si vedrà più avanti, l’atteggiamento di Burckhardt avrebbe conosciuto delle importanti trasformazioni).

Ma nella lettera a Kienzle lo scultore si lascia andare anche a considerazioni di segno opposto: “da ieri”, leggiamo, “mi sento sospinto (e non gonfiato!) da una brezza che con buona speranza mi porterà avanti piacevolmente per anni: [...] Rodin [...] è davvero un meraviglioso cultore del bello, davanti al quale per me ora quasi tutto scompare”, dove il “tutto che scompare” sono alcune opere come, appunto, la Heaulmière e il monumento a Balzac, verso le quali Burckhardt seguita a provare una sorta di repulsione. Al fine d’inquadrare meglio il giudizio dell’artista è necessario considerare il percorso della sua arte: pochi anni prima della mostra della Kunsthalle, nel 1903, Burckhardt, allora venticinquenne, aveva abbandonato l’idea di realizzare un’opera oggi riconosciuta come uno dei suoi capolavori giovanili, lo Zeus ed Eros sul quale aveva cominciato a riflettere già dal 1901, durante un soggiorno a Roma. L’idea era quella di dar forma a un momento della favola di Amore e Psiche, quello durante il quale Eros (o Amore, che dir si voglia), verso le battute finali della storia, si reca dal padre Zeus (Giove per i romani) per chiedergli d’acconsentire alla sua unione con Psiche (proposito al quale Zeus non s’opporrà: la favola si conclude col matrimonio tra Amore e Psiche). Per realizzare la sua scultura, poi rimasta incompiuta, Burckhardt aveva ingaggiato due modelli del posto, Cesare e Battista, e li aveva fatti posare per il suo capolavoro: nell’opera vediamo i due personaggi posti uno di fronte all’altro, con Eros inginocchiato, i gomiti poggiati sulle cosce del padre, e questi assiso sul trono, mentre ascolta serio e in posa ieratica la richiesta del figlio. Burckhardt, pur pescando a piene mani dal repertorio classico (oltre che da quello contemporaneo: l’antecedente più immediato è l’incisione Amor und Psyche. Ein Märchen des Apulejus di Max Klinger), stravolge la consueta iconografia che voleva Zeus raffigurato come un vegliardo barbuto ed Eros come un giovinetto, poco più che un infante: Zeus è imberbe e molto più giovane del dovuto, mentre Eros, viceversa, è un giovane già formato, tanto che i due sembrano quasi coetanei (particolare questo che, peraltro, ammanta d’una forte carica omoerotica il gruppo). Proposito dichiarato dall’artista in una lettera inviata al fratello Paul il 26 luglio 1902 era quello di condurre uno “studio attento della natura”: la sua scultura giovanile, infatti, parte all’insegna dell’aderenza al vero (cui s’unisce un modellato delle superficî animato dalla ricerca di effetti pittorici), pur nel solco di un classicismo elevato e degno che gli derivava dallo studio delle opere antiche e dalla passione che nutriva nei confronti della classicità (Burckhardt avrebbe soggiornato per lunghi periodi in Italia). È peraltro sul suo rapporto con la classicità che s’è fondata gran parte della mostra Echi dall’antichità. Carl Burckhardt (1878-1923). Uno scultore tra Basilea, Roma e Ligornetto, la prima completa retrospettiva dedicata a Burckhardt, al Museo Vincenzo Vela di Ligornetto, nel Canton Ticino, dal 10 giugno al 28 ottobre 2018.

Un’ulteriore evoluzione è segnata dalla Venere concepita e realizzata a Basilea e a Forte dei Marmi tra il 1905 e il 1909: Burckhardt mirava a realizzare una scultura a grandezza naturale della mitologica dea dell’amore, ispirandosi all’iconografia classica della Venere anadiomene, ovvero della Venere che esce dal mare. Anche in questo caso, tuttavia, Burckhardt fornisce un’interpretazione originale e personale del tema, realizzando una Venere non intenta a passarsi le mani tra i capelli, come da tipica iconografia, ma con le mani incrociate all’altezza del collo, e con le gambe velate. Dell’opera conserviamo anche i modelli preparatorî, e analizzandoli possiamo notare come Burckhardt sia passato da una figurazione decisamente aderente al dato reale (per lui aveva posato Charlotte Schmidt-Hudtwalcker, amica di sua moglie Sophie Hipp, nonché moglie di Carl Schmidt, professore di geologia all’Università di Basilea) ad una redazione definitiva in cui la “resa realistica della modella nuda”, scrive lo stesso artista, lascia il campo a una “apparizione ideale della dea dell’amore classica, creando un’opera d’arte a pieno titolo”. La versione finale della Venere è un’opera composita, in diversi materiali (il corpo è in marmo bianco apuano, il velo è di marmo viola, mentre per la capigliatura lo scultore opta per l’onice), i cui volumi risultano più plasticamente compatti rispetto a quelli dei modelli iniziali, tanto che, fa notare lo studioso Tomas Lochman, nella scultura finita non sono più ravvisabili le fattezze di Charlotte Schmidt-Hudtwalcker (tuttavia l’Università di Basilea si sarebbe rifiutata d’esporre l’opera nel suo museo: riteneva che fosse disdicevole mostrare una scultura per la quale aveva posato nuda la moglie d’un docente).

Auguste Rodin, Celle qui fut la belle heaulmière (1887; bronzo, 50 x 30 x 26 cm; Parigi, Musée Rodin
Auguste Rodin, Celle qui fut la belle heaulmière (1887; bronzo, 50 x 30 x 26 cm; Parigi, Musée Rodin


Auguste Rodin, Monumento a Honoré Balzac (1898, fusione del 1935; bronzo, 270 x 120,5 x 128 cm; Parigi, Musée Rodin - giardini)
Auguste Rodin, Monumento a Honoré Balzac (1898, fusione del 1935; bronzo, 270 x 120,5 x 128 cm; Parigi, Musée Rodin - giardini)


Max Klinger, Amor bei Jupiter, tavola 14 dalla raccolta Amor und Psyche (1880; incisione su carta, 25,55 x 17,30 cm; Portland, Portland Art Museum)
Max Klinger, Amor bei Jupiter, tavola 14 dalla raccolta Amor und Psyche (1880; incisione su carta, 25,55 x 17,30 cm; Portland, Portland Art Museum)


Carl Burckhardt, Zeus ed Eros (1901-1904; modello in argilla dell'intero gruppo; distrutto nel 1904)
Carl Burckhardt, Zeus ed Eros (1901-1904; modello in argilla dell’intero gruppo; distrutto nel 1904)


Carl Burckhardt osserva i modelli che posano per la scultura Zeus ed Eros
Carl Burckhardt osserva i modelli che posano per la scultura Zeus ed Eros. Fotografia del 1902 circa. © Nachlass Carl Burckhardt


Carl Burckhardt, Venere (1908-1909; marmi di diverso tipo, altezza 191 cm; Zurigo, Kunsthaus)
Carl Burckhardt, Venere (1908-1909; marmi di diverso tipo, altezza 191 cm; Zurigo, Kunsthaus)


Carl Burckhardt nell'atlelier di Arlesheim accanto al secondo modello in argilla per la Venere. Sullo sfondo i resti del primo modello. Fotografia del 1907.
Carl Burckhardt nell’atlelier di Arlesheim accanto al secondo modello in argilla per la Venere. Sullo sfondo i resti del primo modello. Fotografia del 1907. © Nachlass Carl Burckhardt

La scoperta di Rodin avviene proprio negli anni in cui Burckhardt lavora alla Venere. Per Burckhardt, si tratta d’un momento decisivo: come fa notare ancora Lochman, l’interesse per Rodin “gli ha consentito di affrancarsi da quel processo di stilizzazione e di animazione pittorica delle forme naturali che caratterizza la sua prima produzione”: “tutta la sua tensione creativa è ora volta a liberare le proprie sculture dal loro guscio esterno, a cogliere l’intima sostanza dei corpi, a far emergere il plasticismo delle loro forme elementari, il «plasticismo puro» come egli stesso lo definisce”. Questa maturazione in senso squisitamente plastico della scultura di Burckhardt arriverà negli anni Dieci: i modelli di riferimento sono le opere della tarda maturità dell’artista francese, quelle dell’ultimo ventennio della sua vita, quelle che sembrano lasciate in uno stato d’incompiutezza, quelle che vedono i personaggi emergere dal marmo ma al contempo quasi bloccati nella materia pura, quelle animate dalla presenza di corpi in torsione. Opere come Fugit Amor del 1889, dove “le figure modellate da Rodin fluttuano nella tempesta infernale ma sono allo stesso tempo fermamente ancorate al suolo dal basamento da cui sembrano affiorare” dichiarando “la loro condizione di altro dalla vita, evidenziano la loro natura di figure che esistono solo in scultura” (Flavio Fergonzi), o ancora opere come il gruppo Amore e Psiche del 1898 circa conservato al Victoria and Albert Museum di Londra, dove i due protagonisti sono stretti in un abbraccio che pare anch’esso catturato dal marmo da cui gli amanti sorgono, oppure come la Psiche del 1899 che coglie la giovane nel momento in cui, nascosta sotto un manto, cerca di spiare Amore mentre dorme.

L’avvicinamento di Burckhardt ai modi dell’ultimo Rodin si registra soprattutto in una scultura realizzata probabilmente nel 1916 (non conosciamo con sicurezza la data): si tratta d’una Donna rapita, un gruppo in cui la protagonista cerca di sfuggire a un uomo che l’insegue. Una scultura molto forte: la donna, nuda, è in ginocchio e cerca di divincolarsi dalla stretta dell’uomo che la afferra da dietro e sta per sopraffarla. La composizione si basa su di una struttura piramidale come molte delle opere di Rodin appartenenti alla fattispecie di cui s’è detto (e ne sono esempi proprio il gruppo Amore e Psiche e la Psiche): il vertice è il gomito dell’uomo, ch’è colto nel tentativo di piegare brutalmente la donna col suo braccio destro. Al contrario, le gambe dei protagonisti, come nelle sculture di Rodin paiono quasi intrappolate nel basamento, e contemporaneamente le forme si fanno più essenziali e morbide e si fondono assieme, altro elemento desunto dalla scultura rodiniana. Questa tendenza avrebbe poi portato Burckhardt a un’ulteriore semplificazione delle forme, che si può cogliere in altre opere degli anni Dieci: esemplificative in tal senso sono la Donna seduta, anch’essa realizzata forse nel 1916 (se ne conserva il calco in gesso originale, ma le fusioni note sono tutte postume), e la Pastorella che riposa, ideata nello stesso periodo. Entrambe le opere, così come tutte le altre scolpite in quegli anni, sono accomunate dall’intento di sottoporre le forme a una stilizzazione totale, che riguarda non soltanto i corpi ma anche elementi come il vestiario o gli oggetti (è il caso della Pastorella), e che talvolta giunge a far assumere ad alcuni dettagli l’aspetto di forme geometriche pure. Non viene però meno l’interesse per l’arte classica: la Portatrice di cesta, del 1918, pur sottoposta a quella semplificazione che adesso Burckhardt cerca con insistenza, ha la fissità e la dignità d’una cariatide antica.

Auguste Rodin, Fugit Amor (1885; marmo, 60,5 x 102 x 42,5 cm; Parigi, Musée Rodin)
Auguste Rodin, Fugit Amor (1885; marmo, 60,5 x 102 x 42,5 cm; Parigi, Musée Rodin)


Auguste Rodin, Amore e Psiche (1898 circa; marmo, altezza 101 cm; Londra, Victoria and Albert Museum)
Auguste Rodin, Amore e Psiche (1898 circa; marmo, altezza 101 cm; Londra, Victoria and Albert Museum)


Auguste Rodin, Psiche (1899; marmo, 73,66 x 68,58 x 38,1 cm; Boston, Museum of Fine Arts)
Auguste Rodin, Psiche (1899; marmo, 73,66 x 68,58 x 38,1 cm; Boston, Museum of Fine Arts)


Carl Burckhardt, Donna rapita (1916?; calco in gesso da modello in argilla, altezza 41,5 cm; Basilea, Kunstmuseum)
Carl Burckhardt, Donna rapita (1916?; calco in gesso da modello in argilla, altezza 41,5 cm; Basilea, Kunstmuseum)


Carl Burckhardt, da sinistra: Donna Seduta (1915-1916?, fusione postuma del 1974; bronzo, altezza 36 cm; Collezione privata), Pastorella che riposa (1917-1918; bronzo, altezza 42 cm; Basilea, Kunstmuseum), Portatrice di cesta (1918, fusione postuma; bronzo, altezza 87,5 cm; Basilea, Kunstmuseum)
Carl Burckhardt, da sinistra: Donna Seduta (1915-1916?, fusione postuma del 1974; bronzo, altezza 36 cm; Collezione privata), Pastorella che riposa (1917-1918; bronzo, altezza 42 cm; Basilea, Kunstmuseum), Portatrice di cesta (1918, fusione postuma; bronzo, altezza 87,5 cm; Basilea, Kunstmuseum)

La passione che Burckhardt nutre per Rodin durerà negli anni, e lo porterà dapprima a pubblicare, nel 1917, un necrologio in occasione della scomparsa dell’artista francese, quindi a organizzare e curare, nello stesso anno, una retrospettiva su Rodin alla Kunsthalle di Basilea, e infine a pubblicare, nel 1921, un importante libro intitolato Rodin und das plastische Problem (“Rodin e il problema della scultura”). Per Burckhardt, il “centro del problema” è “la lotta per l’avvicinamento delle forme complesse della natura alle forme spaziali più semplici”. Nell’ambito di questa lotta, Rodin è visto come l’innovatore che intraprese la via della purificazione della scultura aprendo una nuova epoca per l’arte. Burckhardt analizza l’opera di Rodin secondo una prospettiva eminentemente evolutiva (una prospettiva che oggi gli studi rodiniani hanno abbandonato, preferendo al contrario valutare le diverse fasi della sua carriera secondo un’ottica che tiene conto dei diversi aspetti della sua personalità artistica e della loro compresenza durante tutto l’arco della sua attività: per esempio, la mostra del centenario della scomparsa, organizzata al Grand Palais di Parigi nel 2017, assumeva questo punto di vista) soffermandosi su molti dei capolavori dell’artista per coglierne influenze, tratti d’originalità ed elementi innovativi. “Punto culminante del volume”, secondo il critico Felix Ackermann che ha dedicato un saggio al libro di Burckhardt nella pubblicazione scientifica presentata in occasione della summenzionata mostra del Museo Vincenzo Vela di Ligornetto, è il capitolo dedicato a uno dei maggiori capolavori di Rodin, L’homme qui marche. Un’opera così importante, che Burckhardt cercò di convincere (riuscendoci) il comitato della Skulpturhalle di Basilea ad acquisire una copia in gesso dell’Homme qui marche, che oggi dunque si può ammirare nel museo svizzero grazie alle sollecitazioni dello scultore.

“Il più grande effetto” che Rodin ha ottenuto nell’Homme qui marche, sottolinea Burckhardt, “è la semplice forma plastica, la chiara struttura spaziale rappresentata dalle gambe e dal tronco”, e in più “il modellato della superficie cede il passo a un’articolazione volumetrica”. Ancora, un altro dei fondamentali raggiungimenti dell’Homme qui marche è la sua capacità d’affrancarsi “dall’incidenza della luce, che nel modellato pittorico della superficie è distribuita in modo unilaterale e predeterminato”. In breve, l’Homme qui marche segna per Burckhardt una nuova epoca dacché, a suo modo di vedere, la scultura di Rodin rinuncia totalmente agli effetti di luce, che interferiscono con il proposito di ricercare le forme più pure. Per Burckhardt, osserva Ackermann, “la scultura della nuova era dovrà andare incontro a un processo di semplificazione, liberazione e purificazione da qualsiasi effetto pittorico, con l’obiettivo della semplice «forma plastica»”.

Ackermann pone poi un quesito importante, ovvero in quale misura il libro su Rodin contribuisca alla comprensione dell’opera di Burckhardt. Un primo esempio importante per dare una risposta alla domanda è dato dai rilievi delle Amazzoni eseguiti per la Kunsthaus di Zurigo (Burckhardt li termina nel 1914 ma aveva cominciato a lavorarci già dal 1908): in queste opere, spiega lo studioso, “le superfici sono trattate in modo uniforme, che si tratti dello sfondo, dei corpi, delle criniere dei cavalli o dei capelli delle Amazzoni. Di conseguenza, le criniere e i capelli sono astratti, diventando semplici volumi”. Una forma simile di astrazione si ravvisa poi nel modellato dei corpi: sono tra i più precoci esempî d’avvicinamento alla “semplificazione” della quale Rodin era stato maestro, ma nella produzione di Burckhardt è possibile incontrare altre opere la cui dipendenza dal grande scultore francese pare stringente. Si pensi proprio all’Homme qui marche: l’incedere dell’uomo rodiniano potrebbe aver fornito più d’uno spunto per una delle ultime opere di Burckhardt, l’Amazzone che conduce un cavallo, del 1923 (per realizzarla, l’artista, che all’epoca risiedeva a Ligornetto, aveva anche fatto in modo di procurarsi un cavallo vero, in modo da poterlo studiare da vicino). L’opera, debitrice anche nei confronti del Rosselenker (“L’uomo che conduce un cavallo”) di Louis Tuaillon (Berlino, 1862 - 1919), gli era stata commissionata nel 1918 dalla Kunstverein di Basilea, che voleva destinarla a uno spazio pubblico: anche nel caso dell’Amazzone, conclude Ackermann, “la forma naturale è stata tramutata con forza in una più semplice forma spaziale - rinunciando al modellato delle superfici che Burckhardt avrebbe descritto come pittorico”.

Carl Burckhardt, Le cinque metope dell'Amazzonomachia (1913-1914; arenaria di Bollingen, 270 x 300 cm ciascuna; Basilea, Kunstmuseum, parete esterna dell'edificio)
Carl Burckhardt, Le cinque metope dell’Amazzonomachia (1913-1914; arenaria di Bollingen, 270 x 300 cm ciascuna; Basilea, Kunstmuseum, parete esterna dell’edificio)


Auguste Rodin, Homme qui marche (1907; bronzo, 213,5 x 71,7 x 156,5 cm; Parigi, Musée Rodin)
Auguste Rodin, Homme qui marche (1907; bronzo, 213,5 x 71,7 x 156,5 cm; Parigi, Musée Rodin)


Louis Tuaillon, Der Rosselenker (1902; bronzo; Brema, Bremer Wallanlagen)
Louis Tuaillon, Der Rosselenker (1902; bronzo; Brema, Bremer Wallanlagen). Ph. Credit


Carl Burckhardt, Amazzone che conduce un cavallo (1923; calco in gesso dal modello in argilla in scala 1:1, altezza 231 cm; Basilea, Skulpturhalle)
Carl Burckhardt, Amazzone che conduce un cavallo (1923; calco in gesso dal modello in argilla in scala 1:1, altezza 231 cm; Basilea, Skulpturhalle)

Lo scritto su Rodin e, ancor prima, la curatela della grande mostra della Kunsthalle di Basilea hanno contribuito a consolidare la fama di Carl Burckhardt anche come critico e teorico dell’arte. In conclusione, ci si potrebbe domandare quanto l’opera di Burckhardt, sia quella scultorea che quella letteria, abbiano inciso sul diffondersi della fama postuma di Auguste Rodin. In realtà è possibile valutare sculture e trattato secondo un’ottica unitaria, poiché tanto le opere materiali quanto quelle scritte concorrono a sottolineare il carattere innovativo della scultura di Rodin (senza contare il fatto che, come s’è visto, sono strettamente collegate tra loro). Questo anche per mezzo di radicali cambiamenti di giudizio su alcune opere: si pensi al monumento a Balzac, che nella lettera a Kienzle veniva etichettato come uno “spauracchio”, e che invece in Rodin und das plastische Problem viene definito “probabilmente la creazione più indipendente di Rodin”, sintomo evidente del suo temperamento libero. Certo: come s’è detto, oggi un certo tipo d’analisi della produzione di Rodin appare irrimediabilmente superato, e si consideri anche che lo studio di Burckhardt è colmo d’osservazioni personali, proprie d’uno scultore, e per di più d’uno scultore che prova una passione molto forte nei confronti dell’oggetto del suo studio. Tuttavia, è anche necessario rimarcare come il trattato di Burckhardt riesca a cogliere diversi aspetti fondamentali dell’opera di Rodin, fornendo delle importanti linee-guida per la sua comprensione (partendo ovviamente dal punto di vista di Burckhardt e dal suo tentativo di risolvere il “problema della forma plastica”). All’epoca, il libro gli era valso numerosi plausi da parte della critica (che aveva tributato a Burckhardt soprattutto il merito d’esser stato il primo a valutare nella maniera più adeguata l’Homme qui marche), mentre oggi, sottolinea Ackermann, il libro “ha un significato molto specifico che trascende il tema della ricezione di Rodin” e può essere più precisamente letto come “auto-testimonianza di un artista alle prese con un illustre predecessore”.

Bibliografia di riferimento

  • Gianna A. Mina, Thomas Lochman, Echi dall’antichità. Carl Burckhardt (1878-1923). Uno scultore tra Basilea, Roma e Ligornetto, Edizioni del Museo Vincenzo Vela, 2018
  • Chiara Vorrasi, Fernando Mazzocca, Maria Grazia Messina, Stati d’animo. Arte e psiche tra Previati e Boccioni, catalogo della mostra (Ferrara, Palazzo dei Diamanti, dal 3 marzo al 10 giugno 2018), Ferrara Arte, 2018
  • Andreas Röder, Rodin und Beuys: über das plastische Phänomen der Linie, Deutscher Kunstverlag, 2003
  • Titus Burckhardt (a cura di), Zeus und Eros. Briefe und Aufzeichnungen des Bildhausers Carl Burckhardt, Urs-Graf-Verlag, 1956


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Gli autori di questo articolo: Federico Giannini e Ilaria Baratta

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