Al Centro Esposizioni del Museo Diffuso di Albissola il visitatore ha facoltà d’ammirare, esposta in una teca, una ceramica smaltata che raffigura una sorta di mostro dagli occhi profondi e dalla bocca spalancata, che par quasi fissare l’osservatore. L’osservatore, di rimando, avverte come una sensazione di disagio nel sentirsi puntare da questo strambo esserino, che diverte ma trasmette anche un filo d’inquietudine. È una delle tante sculture che Asger Jorn (Vejrum, 1914 – Aarhus, 1973), artista tra i maggiori del ventesimo secolo, ha lasciato nel borgo ligure, dove trascorse buona parte della propria errabonda esistenza. Il mostriciattolo del MuDA era stato concepito per la casa in cui Jorn risiedeva ad Albissola Marina, ed era dotato di funzioni apotropaiche, come molte sculture, ceramiche e dipinti che ancora ornano le pareti esterne della dimora.
Asger Jorn, Senza titolo (1972; terracotta smaltata, 44 x 27 x 20 cm; Albissola Marina, Museo Diffuso di Albissola, Centro Esposizioni). Ph. Credit Finestre sull’Arte |
Certo, non si tratta di un’opera che suscita sentimenti di estasiata contemplazione. Ma la bellezza, così come comunemente intesa, era in certa misura aliena all’arte di Asger Jorn. Nel 1955, un anno dopo il suo arrivo ad Albissola Marina, e quindi in un periodo in cui aveva già raggiunto una buona dimestichezza con l’arte della ceramica, l’artista danese espose i suoi più recenti lavori nella sua terra natale, a Copenaghen, presso il Kunstindustrimuseet. Nel catalogo di quella mostra, Jorn scrisse: “Se il normale, il tradizionale e il magistrale equivalgono al bello, allora il raro, il notevole e il singolare devono equivalere al brutto. Viva la bruttezza, che crea la bellezza. Senza la bruttezza non esiste la bellezza, ma soltanto l’ovvietà, l’indifferenza, la noia. Il non-estetico non è il brutto, ma è il noioso”. La bruttezza divenne, di conseguenza, cifra stilistica importante delle sue realizzazioni. Il brutto, per Jorn, era una sorta di reazione. Contro l’arte accademica, immobile e imbalsamata. Contro il razionalismo e il funzionalismo, rei d’ingabbiare la creatività e di sottoporre pulsioni e sentimenti al rigido controllo della ragione, al punto da meritarsi, secondo Jorn, la definizione di “arte non-estetica”. E anche contro l’individualismo dell’espressionismo astratto. Il brutto, in un contesto simile, diventa una necessità estetica.
A conclusioni similari sarebbe arrivato, un anno dopo, un pittore particolarmente visionario come Giuseppe “Pinot” Gallizio (Alba, 1902 - 1964), che nel 1957 avrebbe poi fondato, insieme ad Asger Jorn e altri, l’Internazionale Situazionista. Scriveva Gallizio: “Abbiamo creato una nuova teoria estetica, superiore a quelle esistenti, mediante la considerazione che il non-estetico non è il Brutto e il Ripugnante, ma l’Insignificante e il Noioso”. La bruttezza come sinonimo di spontaneità, di creatività e di singolarità (intesa anche come diretta espressione del singolo, che si manifesta sempre nell’ambito di un’esperienza collettiva) costituisce base fondante del credo artistico di Jorn. “Il nostro obiettivo”, scriveva l’artista nel 1949 nel suo Discorso ai pinguini, uno dei testi fondanti del gruppo CoBrA, di cui fu tra i fondatori, “è di liberarci dal controllo della ragione, che è stato ed è tuttora quanto la borghesia ha idealizzato per impadronirsi del controllo delle vite”. In un contesto simile l’ironia, strumento che attiene molto più alla logica del brutto che a quella del bello, diviene un imprescindibile fondamento estetico. Per Jorn, nessuna forma può essere in grado di farsi portatrice di un unico contenuto: l’ironia diventa pertanto un mezzo per sondare un significato (ma non per giungere alla verità, dato che la verità non è unica e soprattutto non è stabile), per stimolare una risposta da parte del pubblico, per mettere in atto quella critica sociale che è una costante che permea pressoché tutta la sua arte. Un’opera come Il ritratto del sindaco, nota anche ironicamente come Il re, dà una dimensione di questo aspetto della ricerca jorniana: un buffo e goffo individuo che assume le sembianze d’una specie di maschera allungata siede saldamente ancorato alla propria poltrona, con la quale finisce per fondersi. Una lettura divertita, ma allo stesso tempo forte, della carica istituzionale, dell’uomo, della sua posizione. Si tratta, peraltro, di una delle prime realizzazione in ceramica di Asger Jorn durante il suo periodo di permanenza in Italia.
Asger Jorn, Ritratto del Sindaco o Il re (1954; terracotta smaltata, 40 x 22 x 19 cm; Albissola Marina, Museo Diffuso di Albissola, Centro Esposizioni). Ph. Credit MuDA Albissola |
Occorre rimarcare il fatto che la sperimentazione sulla ceramica abbia ricoperto un ruolo importante nell’arte di Jorn, che la scoprì in Danimarca ma la approfondì in maniera sistematica durante gli anni di Albissola. Intanto, la ceramica, arte tradizionale, costituiva per Jorn un’importante sintesi dell’espressione artistica popolare: da sempre interessato alle manifestazioni artistiche spontanee e lontane dall’Accademia, l’artista danese finì anche per raccogliere una cospicua collezione di ceramiche e oggetti realizzati da artigiani locali, sui quali spesso peraltro Jorn interveniva in accordo con la poetica del détournement (il sovvertimento, spesso ironico e umoristico, del significato o dei canoni estetici di un’opera o di uno scritto), quel “flessibile linguaggio dell’anti-ideologia”, come lo definì Guy Debord, che caratterizzava la prassi artistica dei situazionisti. Particolarmente significativo è, in tal senso, un dipinto del 1959, noto come Le canard inquiétant (“L’anatra inquietante”), che Jorn espose quell’anno, insieme ad altri dipinti détournés (erano venti in tutto), in una mostra alla Galerie Rive Gauche di Parigi che portava il titolo di Modifications.
Per quell’esposizione, Jorn aveva acquistato venti dipinti di bassa qualità, e su ognuno di essi aveva apposto le proprie modifiche, che avevano comportato il sovvertimento del significato dell’opera originale. I livelli di lettura di tale pratica erano molteplici: due di questi venivano suggeriti dallo stesso Jorn, che nel catalogo della mostra presentava due testi, uno rivolto al “grande pubblico”, e l’altro rivolto ai “conoscitori”. Il grande pubblico veniva provocatoriamente esortato a vedere, nell’opera modificata, una nuova vita dell’opera stessa, che diventava simbolo di rinnovamento culturale. Scriveva in versi l’artista danese: “porquoi rejeter l’ancien / si on peut le moderniser / avec quelques traits de pinceau? / Ça jette de l’actualité / sur votre vieille culture. / Soyez à la page, / et distingués / du même coup. / La peinture, c’est fini. / Autant donner le coup de grâce. / Détournez. / Vive la peinture” ("Perché buttare via le cose passate / se è possibile modernizzarle / con qualche colpo di pennello? / Questo rende attuale / la vostra vecchia cultura. / Siate alla moda / e distinguetevi / allo stesso tempo. / La pittura è finita. / Datele il colpo di grazia. / Applicate il détournement. / Viva la pittura“). Per quanto riguarda invece i ”conoscitori", l’invito a loro rivolto era quello di uscire dalla logica dell’opera d’arte come fine, e di entrare invece in quella dell’opera d’arte come mezzo in grado di creare un legame tra il soggetto che crea l’opera (e, sosteneva Jorn, quando quest’ultimo lo fa per il proprio puro piacere, l’attitudine diventa inconciliabile con l’interesse per l’oggetto), e quello che la riceve. Ed è su questo legame che agisce il détournement: “dévaloriser”, “de-valorizzare”, per creare nuovi valori.
Ma c’è anche altro. Karen Kurczynski, nella sua monografia su Asger Jorn, ha dedicato una profonda analisi alle Modifications. Questa serie si pone intanto come una critica alle istituzioni: lungi dal voler scadere in una semplice e banale iconoclastia, i dipinti détournés ponevano l’attenzione su opere anonime eppur appartenenti a una creatività tradizionale che l’Accademia aveva emarginato ma che per Jorn era più che degna d’attenzione. Ancora, le Modifications, come del resto lo stesso Jorn lasciava intendere con i suoi due scritti “al grande pubblico” e “ai conoscitori”, si ponevano l’obiettivo di rendere l’osservatore un soggetto partecipe, nella misura in cui il dipinto détourné provoca in lui una reazione d’empatia o d’ostilità, in accordo con il concetto di “arte” secondo Jorn (“Kunst er agitation”, ovvero “L’arte è agitazione”, aveva scritto nel 1948). Ancora: si torni a Le canard inquiétant. Jorn modifica un dipinto di poco valore, un tranquillo paesaggio di campagna con un laghetto in cui nuotano alcuni cigni, facendo emergere dalle sue acque un’enorme papera deforme, costruita con pennellate spesse, rapide e rozze, e poi modificata con tocchi di colore che ne fanno un essere ancora più bizzarro e straniante. Per Kurczynski c’è anche un attacco al cliché che vuole legare la pittura all’abilità tecnica: l’anatra di Jorn permane in uno stato di perenne non-finito, perché per l’artista la piena totalità comporta una separazione dal vissuto reale. E ancora: secondo la studiosa statunitense, l’ironico dialogo tra il rilassante dipinto preesistente e la brutta anatra (ovvero tra due elementi esteticamente agli opposti) intende suggerire all’osservatore la vastità delle forme d’espressione in una società complessa.
Asger Jorn, Le canard inquiétant (1959; olio su tela recuperata, 53 x 64,5 cm; Silkeborg, Museum Jorn) |
Tornando al rapporto di Asger Jorn con la ceramica, si può aggiungere che, al momento dell’arrivo dell’artista danese in Italia, l’arte della ceramica stava conoscendo una stagione particolarmente fortunata, dacché un gran numero d’artisti (a cominciare da Lucio Fontana e Leoncillo) avevano cominciato a esplorarne le possibilità, a ritenerla un campo sul quale era possibile condurre sperimentazioni che muovessero in una direzione diversa rispetto a quella della scultura come la si era praticata sino a quel momento. Anzi, è possibile affermare che, in certo modo, l’interesse per la ceramica fosse sorto grazie a Lucio Fontana, che nel 1936 si recò ad Albissola, dall’amico Tullio Mazzotti (che Marinetti aveva soprannominato Tullio d’Albisola), ceramista futurista e titolare di una delle storiche fabbriche di Albissola Marina, e iniziò a riflettere su una forma d’arte che garantiva una grande libertà e che in qualche modo annullava la distanza tra arte d’avanguardia e arte kitsch, in un rapporto dialettico che fu a lungo oggetto di ricerca da parte dello stesso Jorn. Fontana fu, peraltro, uno dei primi contatti che Jorn ebbe al momento del suo arrivo in Italia, ed è lecito attendersi che parte del lavoro dell’artista danese sulla ceramica prenda le mosse dalle sperimentazioni di Fontana. I due furono anche i promotori di uno degli eventi più alti della storia dell’arte italiana del Novecento, l’Incontro Internazionale della Ceramica, che ebbe luogo ad Albissola nell’estate del 1954 e vide la partecipazione di molti grandi artisti dell’epoca: oltre a Fontana e Jorn, vi presero parte Karel Appel, Corneille, Enrico Baj, Roberto Sebastian Matta, Tullio d’Albisola, Sergio Dangelo, Emilio Scanavino, Édouard Jaguer, Yves Dendal.
La ceramica, per Jorn, aveva una certa predisposizione a non incarnare concetti ben definiti, bensì a lasciare all’osservatore ampie facoltà d’interpretazione. Un’opera come Tidlig vår (“Inizio della primavera”) è quanto mai esemplificativa: Jorn suggerisce un titolo, ma all’osservatore spetta il compito di sondare queste figure che, nella sua produzione, non sono mai del tutto astratte (in questo caso, Hans Kolstad vuole vedere nella composizione una femmina d’uccello che stende le sue ali a proteggere i piccoli). La ceramica a rilievo fu molto praticata da Jorn in questa fase: “questi rilievi”, scrive Ursula Lehmann-Brockhaus, “mostrano che l’artista non trasponeva semplicemente concezioni pittoriche dalla tela alla creta, piuttosto che si immedesimava nella materia e nella tecnica per sfruttare al massimo le possibilità espressive e figurative ivi contenute. Modellava l’argilla con gesti espressivi e lasciava che l’immagine si formasse in modo plastico e, attraverso gli smalti, vivesse come opera cromatica. Inoltre egli seppe inserirvi anche una componente lineare, un ritmo di linee, approfittando della necessità di smembrare la lastra per la cottura in pezzi irregolari, anziché in una griglia lineare. In questa triade composta da volumi, colori e linee, unione possibile solo nella ceramica, Jorn trovò una modalità espressiva assai confacente al suo temperamento artistico”. Jorn non abbandonò mai la ceramica: al Centro Esposizioni del Museo Diffuso di Albissola è possibile osservare, per esempio, una serie di piatti che appartengono alle fasi estreme della sua carriera. E anche in questi piatti, Jorn non smette di sperimentare: si cimenta con i colori complementari, con le potenzialità della forma, con il particolare dripping che risponde in maniera ironica e umoristica a quello di Jackson Pollock (che, peraltro, è preceduto da Jorn: i primi esperimenti dell’artista danese sulla tecnica del dripping rimontano al 1938).
Asger Jorn, Tidlig vår (1954; terracotta smaltata, 103,5 x 135 cm; Silkeborg, Museum Jorn) |
Asger Jorn, Senza titolo (1971; terracotta smaltata, diametro 52 cm; Albissola Marina, Museo Diffuso di Albissola, Centro Esposizioni). Ph. Credit Finestre sull’Arte |
Asger Jorn, Senza titolo (1972; terracotta smaltata, diametro 51 cm; Albissola Marina, Museo Diffuso di Albissola, Centro Esposizioni). Ph. Credit Finestre sull’Arte |
È infine interessante notare come quella rivalutazione della bruttezza di cui si diceva in apertura abbia avuto propulsione anche dal’Incontro Internazionale della Ceramica: le opere esposte nel 1955 a Copenaghen furono tutte create in quell’occasione, ed è lì che prende forma in maniera puntuale e sistematica il discorso sul “brutto”. Ma Asger Jorn si proponeva anche altro: “l’incontro di Albissola non è stato una coincidenza, ma un passo nuovo verso la costruzione di un nuovo principio artistico, ovvero una libera metodologia artistica che ha il nome di Mouvement Internationale pour un Bauhaus Imaginiste, rivolta contro il razionalismo architettonico e contro l’empirismo”. Era così che nasceva quel movimento di artisti liberi che avrebbe costituito la base dell’Internazionale Situazionista.
Bibliografia di riferimento
L'autore di questo articolo: Federico Giannini
Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).