L'arte di Giuseppe Zola, moderno pittore di paesaggio nella Ferrara del Settecento


Artista moderno e aggiornato, Giuseppe Zola è uno dei maestri della pittura di paesaggio del Settecento ed è oggetto di una lunga riscoperta il cui capitolo più recente è la mostra “Paesi vaghissimi. Giuseppe Zola e la pittura di paesaggio” alla Galleria di BPER Banca di Modena.

Si deve a un percorso critico avviato negli anni Settanta, preceduto da un isolato e pionieristico contributo di Emma Calabi del 1935, la riscoperta di un pittore sensibile, affascinante e singolare come Giuseppe Zola (Brescia, 1672 - Ferrara, 1743), uno dei grandi maestri della pittura di paesaggio del suo tempo. La prima ricognizione critica reca la firma di un importante storico dell’arte, Eugenio Riccomini, che si concentrò sull’artista nel 1971 nell’occasione d’una mostra da lui curata quell’anno a Bologna (Il Settecento a Ferrara), cui seguirono poi ulteriori capitoli in altre importanti rassegne, come quella del 1979 dedicata alla pittura del Settecento in Emilia, per arrivare, nel 2001, alla prima mostra monografica curata da Berenice Giovannucci Vigi, basata sul nucleo di opere di Zola provenienti dal Monte di Pietà di Ferrara, allora proprietà della Cassa di Risparmio di Ferrara e oggi, dopo la fusione dell’ente creditizio ferrarese con BPER Banca, confluite nelle raccolte dell’istituto modenese. Il capitolo più recente di questa riscoperta, a cinquant’anni esatti dalla segnalazione di Riccomini, è la mostra Paesi vaghissimi. Giuseppe Zola e la pittura di paesaggio, a cura di Lucia Peruzzi (dal 10 dicembre 2021 al 13 marzo 2022 presso la Galleria di BPER Banca a Modena), un’esposizione dossier focalizzata su otto tele della raccolta BPER, che con trentadue quadri di Zola detiene il più cospicuo nucleo esistente di quadri dell’artista bresciano di nascita ma ferrarese d’adozione.

Pittore molto prolifico, Giuseppe Zola, benché oggi poco noto, era molto stimato in vita e fu tenuto in considerazione anche dalla critica del Sette e dell’Ottocento: basti pensare che Luigi Lanzi lo inserì nella sua Storia pittorica dell’Italia, indicandolo come uno degli artefici della rinascita dell’“arte di far paesi”, ovvero della pittura di paesaggio, nella Ferrara del Settecento. Non sappiamo come Zola sia giunto da Brescia a Ferrara, né quando: la biografia dell’artista ha ancora diversi vuoti da colmare. Certo è, scrive Lucia Peruzzi nel catalogo della mostra della Galleria di BPER Banca, che “i maestri della tradizione locale non potevano soccorrerlo in alcun modo ad ispirargli le sue cascate, i guadi, gli anfratti, gli alberi frondosi che riesce a squadernare un po’ dovunque nei palazzi della città”. Zola potrebbe aver consolidato la sua formazione e affinato la sua sensibilità nei confronti della natura, di cui è stato uno dei più raffinati interpreti del Settecento, studiando a Venezia dove, nell’ultimo scorcio del Seicento, erano attivi uno dei principali “paesisti” del tempo, l’olandese Pieter Mulier detto il Cavalier Tempesta, e l’austriaco Johann Anton Eismann, che secondo Riccomini fu forse ancor più importante per la formazione del giovane Zola. Sia il Cavalier Tempesta sia Eismann potrebbero aver arricchito in maniera determinante il bagaglio culturale di Zola, il primo per il carattere sereno e arcadico dei suoi paesaggi oltre che per i suoi effetti atmosferici, il secondo per la capacità di punteggiare i paesaggi con presenze (castelli, rovine, porti) atte ad aumentarne l’impatto scenografico. E poi, altre suggestioni giunsero sicuramente dalle stampe alle quali Zola aveva sicuramente accesso.

Nei suoi dipinti, Zola si cimentò con una gran varietà di paesaggi: vedute di campagne idilliache, marine con porti frequentati, dirupi in montagna, boschi intricati, cascate. Tutti però caratterizzati dalla ricerca dell’effetto, dall’imprevedibilità, dall’attenzione ai dettagli, con uno stile che, ha scritto Lucia Peruzzi, è “facile e accattivante, moderatamente rocaille, luminoso nei colori ed elegante nella fattura”, e che fu molto apprezzato dai contemporanei. Si tratta di temi che incontrano il gusto settecentesco, più incline a perdersi in una natura animata e pittoresca che a contemplare una natura equilibrata ed armoniosa. Quella di Zola è, per Peruzzi, una “natura limpida e chiara, fantastica eppure quotidiana, dove l’occhio scorre sui particolari descritti accuratamente nel diffondersi pacato della luce”. Un interessante esempio di questa poetica è uno dei quadri ritenuti più belli di Zola, la Scena portuale con rovine che l’erudito Cesare Barotti, nella sua pubblicazione Pitture e scoltore che si trovano nelle chiese, luoghi pubblici, e sobborghi della città di Ferrara, ricordava tra i dipinti posti a partire dal 1756 negli uffici del Monte di Pietà di Ferrara, come decorazioni. È una veduta costiera di fantasia, con alcuni grandi alberi a guidare l’occhio dell’osservatore, espediente questo tipico del Cavalier Tempesta (i paesaggi di Zola sono sempre costruiti in maniera attentamente calibrata): sulla sinistra, questa specie di fiordo è chiusa da un’alta rupe su cui svetta solitario un alberello. In lontananza, un borgo turrito sopra una collina, mentre in primo piano ecco la spiaggia, il porticciolo dove si muovono affaccendati alcuni personaggi che stanno ormeggiando un’imbarcazione a vela, e alcune rovine classiche in stato di abbandono, sulle quali è cresciuta una folta vegetazione. In primo piano, due uomini e due donne stanno conversando tra di loro in un “incontro galante durante un pic-nic”, come scriveva nel 2001 Giovannucci Vigi. Il cielo è attraversato invece da nubi bianche e grigie, com’è tipico dei quadri di Zola: un’opera che trasmette calma ma che sconta debiti nei confronti della pittura “rovinista” del veneto Marco Ricci, e tra le più alte espressioni dell’arte di Zola “per l’altissima qualità della pittura, che non tralasciando ogni minimo particolare evoca una veduta di fantasia, insieme ad un brano di realtà vissuta nel quotidiano”, come si legge in Giovannucci Vigi.

Giuseppe Zola, Scena portuale con rovine (olio su tela, 163 x 203 cm; Modena, BPER Banca)
Giuseppe Zola, Scena portuale con rovine (olio su tela, 163 x 203 cm; Modena, BPER Banca)
Veduta della mostra Paesi vaghissimi. Giuseppe Zola e la pittura di paesaggio, La Galleria BPER, Modena. Foto di Ernesto Tuliozi, Avenida
Veduta della mostra Paesi vaghissimi. Giuseppe Zola e la pittura di paesaggio, La Galleria BPER, Modena. Foto di Ernesto Tuliozi, Avenida
Veduta della mostra Paesi vaghissimi. Giuseppe Zola e la pittura di paesaggio, La Galleria BPER, Modena. Foto di Ernesto Tuliozi, Avenida
Veduta della mostra Paesi vaghissimi. Giuseppe Zola e la pittura di paesaggio, La Galleria BPER, Modena. Foto di Ernesto Tuliozi, Avenida

Dal ciclo che decorava il Monte di Pietà provengono altri dipinti oggi in collezione BPER, per esempio il Paesaggio fluviale con lavandaie e un bambino e il Paesaggio con cascata e rovine il cui tenore non è dissimile da quello che informa la Scena portuale. Si tratta di ampie vedute, che si perdono in lontananza, dominate sui piani vicini da grandi alberi e con sul bordo inferiore alcune figurine che catturano l’attenzione del riguardante e che vengono dipinte con una minuzia descrittiva memore dei paesaggi fiamminghi: Riccomini, parlando del Paesaggio con cascata e rovine, chiamava in causa Herman van Swanewelt e Jan Both, riferimenti più prossimi a Zola in questo dipinto dove ricorrono molti degli elementi tipici della sua poetica, così riassunti nel Settecento dall’erudito Cesare Cittadella: “ora strade interrotte da sassi, ora torrenti e fiumi ed acque cadenti, ora prati e fabbriche rustiche, spezzami d’architettura coperti di mucchi d’edere, rupi, tronchi ed alberi ora verdi, or secchi”, contrapposti a “un cielo torchino stracciato da lucidissime nuvole”. Il Paesaggio fluviale è opera di gusto arcadico, concentrata su di una veduta di campagna, con tanto di borghetto sulle rive di un fiume attraversato da un ponte ad arcate, nella quale Zola inserisce anche alcuni gustosi brani di vita quotidiana (le lavandaie in primo piano, i pescatori al lavoro nel fiume) che ci trasportano in una dimensione di serenità e tranquillità, dinnanzi alla quale, osserva Lucia Peruzzi, anche “l’antico borgo rurale sulla sinistra, con la sua familiare e rassicurante solidità, sembra offrire protezione e rifugio a un’esistenza condotta lontano dagli affanni e dai ritmi artificiosi della vita di società”.

La campagna diventa così locus amoenus dove la natura è lieta e felice, dove non esistono le passioni che sconvolgono la vita delle città, dove l’esistenza è caratterizzata da semplicità e tranquillità. I paesaggi di Giuseppe Zola si distinguono tuttavia dalle vedute di gusto classicista del Seicento per gli elementi inaspettati che puntano a creare effetti, a evocare, e in certa misura anche a rendere evidente, il contrasto tra natura selvaggia ed essere umano che vive nella natura, addomesticandola ma senza forzare i suoi ritmi e i suoi tempi: una tensione già palpabile in diverse sue vedute e che anticipa la grande pittura di paesaggio di fine Settecento, marcata dall’estetica del pittoresco (quella di Zola, ha scritto ancora Giovannucci Vigi, è “una realtà mediata, anzi [...] meditata sulla visione vergine e selvaggia dei modelli del napoletanissimo Salvator Rosa, sul carattere pittoresco e scenografico delle iconografie dell’anconetano Antonio Francesco Peruzzini, sul colorismo arboreo e tonale del veneziano Marco Ricci”). Zola è, in effetti, artista decisamente moderno fin dai suoi esordi e queste tendenze permeano costantemente la sua arte, malgrado sia un pittore sostanzialmente provinciale, che dopo essersi stabilito a Ferrara all’inizio del Settecento non lasciò più la città: aveva però girato molto (si ipotizza che sia stato bandito per qualche ragione dalla sua città natale), e durante i suoi viaggi aveva colto molte occasioni per ampliare la sua cultura. La dimensione provinciale della sua figura è uno dei due motivi che spiegano la sua poca notorietà: il secondo è il fatto che, dato il carattere della sua arte, lavorò soprattutto per committenti privati, e di conseguenza non erano molte (e non lo sono tuttora) le occasioni per vedere sue opere in pubblico (benché, informava già Riccomini negli anni Settanta, una sua attività per commesse pubbliche, benché marginale, è attestata: per esempio, potrebbero essere suoi, o della sua cerchia, gli affreschi della Sala dei Paesaggi del Castello Estense di Ferrara, opere comunque difficili da giudicare perché ritoccate).

Giuseppe Zola, Paesaggio fluviale con lavandaie e un bambino (olio su tela, 163 x 203 cm; Modena, BPER Banca)
Giuseppe Zola, Paesaggio fluviale con lavandaie e un bambino (olio su tela, 163 x 203 cm; Modena, BPER Banca)
Giuseppe Zola, Paesaggio con cascata e rovine (olio su tela, 163 x 203 cm; Modena, BPER Banca)
Giuseppe Zola, Paesaggio con cascata e rovine (olio su tela, 163 x 203 cm; Modena, BPER Banca)
La sala dei paesaggi del Castello Estense
La sala dei paesaggi del Castello Estense

I paesaggi diventavano poi anche teatro di episodi della religione, del mito, della letteratura che diventavano quasi pretesti per splendide vedute. Uno degli esempi più elevati in tal senso è l’Andata in Emmaus, ch’è possibile annoverare tra i quadri più belli della produzione di Giuseppe Zola: l’episodio, tratto dal Vangelo di Luca, ben si prestava a esser dipinto con una veduta, dal momento che Gesù incontra in viaggio, nei pressi di Emmaus, i due pellegrini che si stanno recando a Gerusalemme, ed è il viaggio il momento della storia raffigurato da Zola, con Gesù in primo piano, illuminato dall’alone della sua aureola, che accompagna i viandanti ai quali poi si rivelerà durante la cena. Anche qui, Zola mescola brani a lui familiari (uno scorcio di pianura padana dove vediamo un bosco attraversato da una strada polverosa che oltrepassa un ruscello) con elementi di fantasia, come le pareti rocciose sulla destra, sulla sommità delle quali si nota il solito borgo con torri e campanili. “Questa tela”, riconosce Peruzzi, “è tra le cose più sottili e felici della vasta produzione dell’artista, dove l’accostamento a Marco Ricci è più evidente e dichiarato”: gli effetti che Zola cerca in questa composizione di “respiro largo e inquieto” (il vento che agita le fronde degli alberi, i riflessi rosati della luce crepuscolare che si riverberano sulle nubi in lontananza, il vapore che si forma vicino alle cascatelle, tanto che sembra quasi di sentire il suono dell’acqua, la prospettiva che si perde all’infinito oltre l’orizzonte) sono tra i più evocativi di tutta la sua pittura.

Essendo Zola un ferrarese a tutti gli effetti, nella sua arte non mancano temi desunti dalla Gerusalemme Liberata: in collezione BPER sono conservati in particolare un Riposo di Erminia e una Erminia che scrive il nome di Tancredi sull’albero, dipinti di formato verticale che inseriscono, in un paesaggio arcadico dal sentore carraccesco, i due episodi tratti dal poema di Torquato Tasso. Si tratta di opere di identiche dimensioni nate con ogni probabilità nel contesto di un ciclo dedicato alla Gerusalemme Liberata: la veduta in questo caso, sempre chiusa ai lati da un grande albero, si apre, come spesso accade, su di un fiume chiuso all’orizzonte da una montagna, e i personaggi si dispongono in primo piano. Nella prima scena Erminia si adagia mollemente, e in posa artificiosa, appoggiando il gomito su di un masso, con un amorino che la tira per la veste per svegliarla, mentre nella seconda è colta sempre con l’amorino che l’aiuta a scrivere il nome di Tancredi sulla corteccia della pianta (entrambi i momenti si riferiscono al canto VII del poema di Tasso). In questo caso, la campagna torna a essere locus amoenus e il riferimento di Giuseppe Zola, come detto, parrebbe essere Annibale Carracci piuttosto che il summenzionato Salvator Rosa, anche per via del carattere molto bilanciato del paesaggio che lo inquadra nella cosiddetta “prima maniera” di Giuseppe Zola.

Giuseppe Zola, Andata ad Emmaus (olio su tela, 161 x 201 cm; Modena, BPER Banca)
Giuseppe Zola, Andata ad Emmaus (olio su tela, 161 x 201 cm; Modena, BPER Banca)
Giuseppe Zola, Riposo di Erminia (olio su tela, 160 x 92 cm; Modena, BPER Banca)
Giuseppe Zola, Riposo di Erminia (olio su tela, 160 x 92 cm; Modena, BPER Banca)
Giuseppe Zola, Erminia scrive il nome di Tancredi sull'albero (olio su tela, 160 x 92 cm; Modena, BPER Banca)
Giuseppe Zola, Erminia scrive il nome di Tancredi sull’albero (olio su tela, 160 x 92 cm; Modena, BPER Banca)

Gli studiosi hanno infatti distinto, fin dal Settecento, due precisi momenti nella produzione del pittore nativo di Brescia. La “prima maniera” è quella che, scriveva Cittadella, si configura come caratterizzata da “un dipingere molto studiato e [...] un sodo gusto appreso dal guardar molti bravi maestri”, mentre nella seconda maniera “per soddisfare alle parecchie incombenze che venivangli addossate, non curò più tanta diligenza e fatica, sicuro nel tratto del suo pennello accelerò la maniera, usando nei suoi quadri maggior vaghezza di tinte”. O ancora, per usare le parole che si leggono nelle Vite de’ pittori e scultori ferraresi di Girolamo Baruffaldi (l’autore che parla dei “paesi vaghissimi” del titolo della mostra di BPER, dove “vaghi” è da intendere nell’accezione settecentesca di “incantevole, attraente”), “nelli primi anni della sua dimora in Ferrara dipingeva con buon gusto, bell’ordine e finimento, ma avendo le sue opere incontrato il pubblico aggradimento, e cresciute a folla le incombenze, affrettò i pennelli, e cambiando metodo, adoperò tinte più vaghe, e più si fermò sulla verità che sulla perfezione”. C’è in effetti una cesura piuttosto evidente nell’arte di Zola (i dipinti della Gerusalemme Liberata e quelli un tempo nel Monte di Pietà si potrebbero far risalire alla prima fase, mentre l’Andata a Emmaus alla seconda), ma che appare motivata non tanto da ragioni di contingenza quanto da un diverso orientamento dell’artista, che nella sua maturità si accostò di più alla pittura scenografica di Marco Ricci, cogliendone soprattutto gli aspetti più “selvatici”, per così dire, come rilevava anche Eugenio Riccomini. In sostanza, nella seconda fase della sua carriera Zola accolse le istanze più vicine all’arte di Salvator Rosa lette attraverso la pittura di Ricci.

Tutti caratteri messi bene in evidenza dalla critica recente e ulteriormente sottolineati in occasione della mostra Paesi vaghissimi. Giuseppe Zola e la pittura di paesaggio che ha rilanciato con un certo vigore la figura dell’artista ferrarese inserendolo peraltro nel percorso di valorizzazione della collezione di BPER Banca che prosegue senza sosta, alternando significative mostre nella sala della Galleria di via Scudari riservata alle rassegne temporanee, che dal 2018 affiancano con successo le opere della collezione esposte in via permanente. Quella che ha portato al pubblico la selezione di otto dipinti di Giuseppe Zola scelti da Lucia Peruzzi a fornire un icastico sunto del percorso dell’artista è stata peraltro la prima mostra della Galleria BPER sulla pittura di paesaggio, rappresentando un’importante occasione di approfondimento su di un artista poco conosciuto ma ch’è stato tra i più moderni e aggiornati pittori di paesaggio del Settecento italiano.


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