L’attuale momento storico caldeggia una riflessione su alcuni temi riferibili alla percezione del paesaggio e del linguaggio artistico, nell’auspicio di approfondire nuovi metodi di indagine e sul caso di ridiscuterne alcuni tutt’altro che esauriti. Il rapporto tra arte e spazio circostante ha incalzato già negli anni immediatamente successivi del secondo dopoguerra un acceso dibattito culturale, alla luce delle nuove considerazioni formali sull’arte e degli scenari innescati dalle esperienze situazionistiche coniate oltreoceano, quali environments, happenings, land-art.La tendenza artistica italiana degli anni Sessanta-Settanta risulta certamente interessante nella relazione spaziale e paesistica perché in diretto confronto con un carico storico e culturale permanente sia nella memoria che nella fisicità della vita quotidiana: l’architettura urbana e naturalistica del contesto italianoriflette un unicumtutt’oggi valevole e imprescindibile per l’artista contemporaneo, conscio quanto la propria ricerca (oggettuale o concettuale che sia) debba toccare gli spazi circostanti e persino sincronizzarli temporalmente nella sovrapposizione stilistica trascorsa inevitabilmente nel panorama nostrano.
La decodificazione dello spazio fisico di gallerie e musei ha portato l’artista a confrontarsi con il mondo esterno in un crescendo dimensionale e performativoinerente all’opera; l’ambiente artistico prendeva consenso in un’ottica sociale, politica e culturale, quantificando l’estetica al processo temporale compreso nella realizzazione dell’opera, spesso effimera per ragioni attuative o persino idealizzate. Annotando come molti artisti italiani intuirono efficacemente alcuni trascorsi internazionali (si veda il lavoro di Luca Maria Patella, in particolare Terra animatadel 1967, in anticipo sulla Land Art), il caso certamente più emblematico per designare i primordi dell’Arte Ambientale fu Volterra ’73, curata da Enrico Crispolti.
Partendo da intenti promozionali risolutivi alla battuta d’arresto che subì nel secondo dopoguerra l’industria artigiana legata alla lavorazione dell’alabastro, la manifestazione si rivelò un’occasione sorprendente per mettere in atto tutte quelle problematiche ronzanti già dagli anni Cinquanta intorno all’arte, questioni care a Crispolti, quali la partecipazione attiva del pubblico fruitoree l’utilità sociale degli eventi artistici. La varietà della proposta divenne il cardine sul quale ruotarono le accezioni semantiche del termine ambientale, tuttavia con gli operatori ben coscienti di quale fosse l’elemento imprescindibile di una città: la popolazione.
Gli artisti intrecciarono vite e ideeper quella che andava a definirsi come un punto cruciale della storiografia artistica, alternando momenti ludici a vere e proprie apologie comunitarie; si ricordi La Pilloladi Ugo Nespolo, enorme pastiglia-feticcio data alle fiamme, e il suo puntuale j’accusealle condizioni soffocanti e farmaco-dipendenti subite dai pazienti dell’ospedale psichiatrico volterrano. Si stava delineando, in buona sostanza, la definizione stessa di “Arte Ambientale”, nel suo spiccato carattere dialettico, non unicamente tra opera e spazio circostante (ovvero non solo una questione scultorea) ma primariamente un confronto collettivo, per un’indagine plastica dove si intravedevano già i principi dell’Estetica Relazionaleche sarebbe stata formulata da Nicolas Bourriaud.
Luca Maria Patella, Terra Animata (1967) |
Ugo Nespolo, fotogramma de La Pillola (1973) |
Intervento di Mauro Staccioli a Volterra ’73 |
Intervento di Franco Mazzucchelli a Volterra ’73 |
Intervento di Nicola Carrino a Volterra ’73 |
Nell’autunno del 1973, Pier Paolo Pasolini girò un documentario ritraente il borgo medievale di Orte, su invito di un programma televisivo Rai noto a coinvolgere intellettuali di ogni sorta per commentare una loro opera d’arte scelta. Pasolini scelse di non-scegliere: con immancabile acutezza, propose La forma della città, concentrando l’attenzione non su un oggetto-opera particolare ma sulla materia empirica della comunità, sintetizzata perfettamente nella dimensione urbana, rendendosi conto come questo tessuto andava difeso “con lo stesso accanimento con la stessa buona volontà, con lo stesso rigore con cui si difende un’opera d’arte di un grande autore”. Scriveva Henri Lefebvre: “L’urbano? È una forma generale: quella dell’assembramento, quella della simultaneità, quella dello spazio-temporale nelle società, forma che si afferma da tutte le parti nel corso della storia, quali siano le peripezie di questa storia. Dalle origini e dalla nascita delle società in avanti, questa forma si conferma in quanto forma fin nell’esplosione alla quale assistiamo”.
Il problema mosso da Pasolini è lo stesso affrontato da Crispolti pioneristicamente in Volterra 73 e in forma più matura nella XXXVII Biennale d’arte di Venezia del 1976 con la celebre mostra per il Padiglione Italia L’ambiente come sociale. Indi la questione era promuovere una stagione di impegno culturale, senza decostruire l’apparato tradizionale bensì coinvolgendolo e integrandolo in un linguaggio contemporaneo arricchito dall’utilizzo dei nuovi media. La documentazione e il video sposavano la medesima causa della scultura e della pittura, in un modus operandi che prevedeva l’interazione diretta con il pubblico, per una nuova coscienza esistenziale.
La Collezione Gori nella Fattoria di Celle (opera di Alberto Burri). Foto Visit Tuscany |
Se il Crispolti fu indubbio apripista di una coniazione etimologica e programmatica dell’Arte Ambientale indirizzata all’apparato pubblico, bisogna annoverare il parallelo alternativo della Fattoria di Celle a Santomato, nella provincia di Pistoia. Già nel 1970 il collezionista Giuliano Gori allestì il parco della sua villa di Celle con il preciso intento di dare vita ad una raccolta su vasta scala di allestimenti e sculture monumentali dal carattere ambientale, moderata con rigore su criteri preservanti sia la natura circostante sia il precontesto romantico innestato nel 1840 dall’architetto pistoiese Giovanni Gambini: varata nel 1982, la Collezione Gori nella Fattoria di Celle è tuttora uno degli esempi di Arte Ambientale più noti a livello internazionale, vantaggiando l’unicità del gusto del committente, qualità indulgente a formare il carattere immanente delle opere presenti (con firme che vanno da Mauro Staccioli a Robert Morris, a Dani Karavan a Daniel Buren), le quali non solo si distanziano dal tono effimero di altre proposte ambientali, piuttosto evolvono nel tempo integrandosi organicamente con la cadenza vegetativa del territorio.
Questo esempio, in aggiunta alle innovazioni teoriche crispoltiane, sintetizza perfettamente quanto l’Arte Ambientale abbia favorito il processo che dall’estetica verte verso l’etica: man mano che avanzava l’epoca postmoderna, l’opera d’arte matura significato nella sua ricaduta sociale, o relazionalità, «a partire dai processi che l’hanno preceduta a quelli che si producono a seguito della sua esistenza». Le considerazioni ambientaliste ed ecosofiche legate all’arte prendono una piega decisamente attuale, mirando alle scottanti problematiche dei cambiamenti climatici antropocentrici. A riprova di quanto Volterra 73 sia stata lungimirante in questo senso etico (e persino estetico, basti pensare al reenactment del 2015 sempre a Volterra, sempre sotto la cura di Enrico Crispolti), è risolutivo proporre un’ermeneutica del contemporaneo come risposta a questa ricerca ambientale. Ermeneutica, ovvero traduzione, interpretazione, quello sforzo comunicativo propedeutico per la comprensione universale e per la consapevolezza di radici comuni. L’arte come ambiente si traduce “vivere”.