5 ottobre 1802: dopo un viaggio con partenza da Roma durato due settimane, Antonio Canova (Possagno, 1757 – Venezia, 1822) arriva finalmente a Parigi. Gli è stato conferito un incarico di grande prestigio: si dovrà occupare di scolpire il busto ritratto di Napoleone Bonaparte (Ajaccio, 1769 – Isola di Sant’Elena, 1821). L’invito gli è giunto direttamente dall’allora primo console di Francia (verrà proclamato imperatore dei francesi appena due anni più tardi) in settembre: a far da tramite è François Cacault, ambasciatore francese presso lo Stato Pontificio. Canova, inizialmente, non è entusiasta dell’opportunità: al tempo dell’occupazione francese in Italia era stato molto critico nei confronti del futuro imperatore. Anche perché lo scultore stesso aveva subito i contraccolpi dell’instabilità politica del tempo: aveva dovuto lasciare Roma per far ritorno alla natia Possagno, e inoltre gli era stato sospeso il vitalizio da artista che riceveva dall’ormai caduta Repubblica di Venezia. E malgrado le promesse di Napoleone, che con una lettera del 6 agosto 1797 aveva lasciato intendere che il diritto gli sarebbe stato ripristinato (“Artiste célèbre, vous avez un droit particulier à la protection de l’armée d’Italie. Je viens de donner l’ordre que votre pension vous soit exactement payée et je vous prie de me faire savoir si cet ordre n’est point exécuté, et de croire au plaisir que j’ai de faire quelque chose qui vous soit utile”, “Celebre artista, avete particolare diritto alla protezione da parte dell’armata d’Italia. Ho appena dato ordine che la vostra pensione vi sia esattamente pagata e vi prego di farmi sapere se quest’ordine non verrà eseguito, e di credere che io avrò il piacere di fare qualunque cosa che possa esservi utile”), Canova, che peraltro faceva uso del vitalizio soprattutto per aiutare gli artisti bisognosi, non avrebbe più goduto della sua pensione. Venezia, infatti, a seguito del trattato di Campoformio, era stata ceduta all’Austria da Napoleone, e l’imperatore austriaco Francesco II aveva imposto all’artista, come condizione per riavere la pensione, di soggiornare a Venezia per almeno sei mesi l’anno. Ma Canova aveva rifiutato.
Inoltre, l’artista non perdonava a Napoleone l’offesa arrecata alla sua terra natale, trattata come semplice merce di scambio al termine della prima campagna d’Italia. Già durante gli anni della guerra aveva scritto, il 20 aprile del 1797, una lettera all’amico Giannantonio Selva, esprimendo la sua preoccupazione: “Sarei ben contento di perder volentieri qualunque cosa, anzi la vita istessa, purché potessi in sì fatto modo giovare alla mia adorabile patria, che tale la chiamerò sino a che mi resterà ombra di respiro”. E ovviamente i suoi pensieri non sarebbero mutati cinque anni più tardi. Ancora, Canova mostrava ostilità nei riguardi di Napoleone anche per lo scempio fatto delle opere d’arte sottratte dai territori occupati e inviate in Francia: fin dalle prime requisizioni, stando ai suoi biografi, aveva espresso profondo rammarico per le spoliazioni. Canova aveva dunque dapprima rifiutato l’invito, adducendo a Cacault una serie di scuse: impegni, motivi di salute, le difficoltà del viaggio. Tuttavia il nuovo papa, Pio VII, salito al soglio pontificio nel 1800, temeva che il rifiuto del suo maggior artista rischiasse d’incrinare i rapporti diplomatici con la Francia: eventualità che il pontefice voleva evitare a tutti i costi. S’era dunque reso necessario il suo intervento, oltre che quello del Segretario di Stato vaticano, il cardinale Ercole Consalvi, per convincere l’artista: troppo alto il timore di ripercussioni, se l’invito fosse stato declinato. Così Canova, seppur riluttante, aveva lasciato Roma per recarsi nella capitale francese.
Giunto a Parigi, lo scultore è ospitato nel palazzo del legato pontificio Giovanni Battista Caprara Montecuccoli: poco dopo l’arrivo, il segretario di Napoleone, Louis Bourienne, lo conduce al castello di Saint-Cloud, al tempo residenza del primo console. È qui che Canova conosce Napoleone, ed è qui che si terranno le sedute che serviranno all’artista per ottenere il primo modello in creta del ritratto. Ne occorreranno cinque affinché Canova ottenga il primo modello in creta, in data 16 ottobre. Da questo primo bozzetto, Canova ricava poi il gesso che porterà con sé a Roma onde scolpirne il marmo. Si ritiene che il prototipo in gesso sia quello oggi conservato presso la Gipsoteca di Possagno (ne esiste inoltre un altro esemplare, identico, all’Accademia di San Luca): Napoleone è ritratto in uniforme, frontalmente, con gli occhi incavati ma fissi e leggermente rivolti verso il basso in segno di riflessione e concentrazione, le sopracciglia aggrottate per esprimere la profondità dei pensieri del primo console e l’alta responsabilità da loro derivante, il mento pronunciato, il volto pieno che trasmette tutta la fermezza del carattere ma anche la freschezza dei suoi trentatré anni.
Antonio Canova, Ritratto di Napoleone Bonaparte (1802; gesso, 67 x 44 cm; Possagno, Museo Canova, Gipsoteca) |
Durante le sedute, l’artista e il primo console di Francia hanno modo di conversare tra di loro. Antonio D’Este, allievo di Canova noto per aver scritto le memorie del maestro, ci ha lasciato un racconto verosimile degli incontri tra Canova e Napoleone. Benché i rapporti tra i due, per quanto distaccati, non avessero mai trasceso il piano della cordialità, lo scultore, racconta D’Este, non era riuscito a tenere per sé i suoi pensieri circa le spoliazioni e la fine della Repubblica di Venezia. “Non tacque al primo console che i palazzi pontificj erano stati spogliati da’ nemici dell’ordine, che gli antichi monumenti erano abbandonati alla ruina, e tutto presagiva un avvenire funesto, se al pontefice fossero mancati i modi per prepararvi [...]. Si dolse amaramente dello spoglio fatto a Roma dei monumenti delle arti greche e romane, lamento che era ormai fatto comune a tutti gli Italiani, ed alla sana parte dei francesi [...]. Maggior dolore provò per il trasporto dei cavalli di Venezia e della sovversione di quell’antica repubblica, dicendo al primo console, che quelle erano cose che l’avrebbero afflitto tutto il tempo di sua vita”. Ciò nondimeno, Napoleone trascorre con piacere le sedute in compagnia di Canova. Tuttavia, non sarebbe stato quello modellato in presentia il ritratto destinato a riscuotere maggior successo tanto tra i contemporanei quanto tra i posteri. Nel 1801, infatti, Canova aveva accettato di realizzare, per il governo della Repubblica Cisalpina, una colossale statua che doveva ritrarre lo stesso Napoleone: è probabile che lo scultore avesse accettato l’incarico, nonostante la sua avversità per Napoleone, perché il primo console avrebbe dovuto essere effigiato nei panni di Marte Pacificatore. Il contratto, tuttavia, verrà firmato soltanto nel gennaio del 1803: nel frattempo, l’artista aveva potuto utilizzare il ritratto creato a Parigi per studiare la testa della statua.
Canova “spoglia” letteralmente il ritratto del primo console eliminando la divisa e lasciandolo a petto nudo: l’idea è quella di idealizzare Napoleone, di conferire al soggetto una dimensione tale da collocarlo fuori dal tempo. Inoltre, viene introdotta quella torsione del collo che dona un senso di naturale movimento alla testa: tanto basta per rendere il ritratto molto più vivo di quanto non fosse quello realizzato a Parigi. La testa così risultante è quella che sarebbe stata poi utilizzata per la grande statua: sicuramente non abbiamo più di fronte un Napoleone veritiero e naturale, bensì un Napoleone che somiglia a un imperatore romano, un ritratto ideale che non intende fornire una rappresentazione veridica e realistica del soggetto, ma vuole sottolinearne le qualità e la profondità del carattere. S’aggiunga poi che Canova, stando ai biografi, riteneva che Napoleone avesse una fisionomia particolarmente indicata per un ritratto all’antica: il suo compito ne risultava dunque agevolato.
Continuiamo a osservare il ritratto: la fronte è alta, incorniciata da ciocche di capelli che ricadono sul volto con calcolatissima e finta trasandatezza. Gli occhi rimangono incavati, ma lo sguardo adesso si perde lontano. Il naso, grande e pronunciato, dà segno della virilità del soggetto. La bocca sottile non lascia trasparire emozione alcuna. I capelli, poi, sono un ulteriore segno distintivo: Napoleone aveva infatti adottato la moda, diffusasi dopo la Rivoluzione Francese come segno di discontinuità del passato, dei capelli corti (“alla Caracalla” o “alla Tito”, si diceva all’epoca), che per lui aveva anche una valenza ulteriore, perché lo identificava anche esteticamente come nuovo Cesare. Il risultato finale è di una bellezza che sicuramente non apparteneva al reale Napoleone, ma poco importava: scopo del ritratto era quello di esprimere un’idea forte e convincente, e non quello di restituire le vere sembianze del primo console.
Antonio Canova e bottega, Ritratto di Napoleone Bonaparte (1803-1822?; marmo, altezza 76 cm; San Pietroburgo, Ermitage). Tutti i dettagli che seguono appartengono a quest’opera. |
Antonio Canova e bottega, Ritratto di Napoleone Bonaparte, Vista frontale |
Antonio Canova e bottega, Ritratto di Napoleone Bonaparte, Vista laterale destra |
Antonio Canova e bottega, Ritratto di Napoleone Bonaparte, Vista laterale sinistra |
Antonio Canova e bottega, Ritratto di Napoleone Bonaparte, Dettaglio dei capelli |
Antonio Canova e bottega, Ritratto di Napoleone Bonaparte, Primo piano del volto |
Antonio Canova e bottega, Ritratto di Napoleone Bonaparte, Primo piano del volto di lato |
Antonio Canova e bottega, Ritratto di Napoleone Bonaparte, Primo piano della testa |
Antonio Canova e bottega, Ritratto di Napoleone Bonaparte, esposto alla mostra Dopo Canova. Percorsi della scultura a Firenze e Roma (Carrara, Palazzo Cucchiari, 2017) |
Questo ritratto avrà un successo notevole, tanto che anche un critico sempre duro nei confronti di Canova come Karl Fernow nel 1806 loderà l’opera indicandola come il miglior ritratto di Napoleone: presto, il busto di Canova diverrà una sorta di “canone ufficiale” per la rappresentazione del primo console nonché futuro imperatore. Sono diversi gli esemplari che del ritratto sono rimasti. L’unico documentato è quello che oggi fa parte delle collezioni del Duca di Devonshire: dopo la scomparsa dell’artista, l’opera, datata 1822, era rimasta nello studio di Canova, e il fratellastro dell’artista, Giovanni Battista Sartori, lo vendette alla marchesa Anna di Aubercorn, la quale a sua volta lo cedette al sesto Duca di Devonshire, che pose l’opera di Canova al centro della galleria delle sculture della residenza di Chatsworth, di fronte a un busto di Alessandro Magno. Un altro esemplare noto è quello di Palazzo Pitti a Firenze, tra i pochi a esser ritenuti di mano dello scultore. Molti di questi busti infatti furono prodotti su vasta scala, con metodi che oggi chiameremmo “industriali”: addirittura, la sorella di Napoleone, Elisa Bonaparte Baciocchi, che regnò su Lucca, su Carrara e sulla Toscana, fondò nella città dei marmi uno stabilimento che aveva proprio il compito di produrre in serie esemplari dei ritratti di Napoleone e della sua famiglia. Ancora, tra quelli invece creati dalla mano dello scultore potrebbe figurare il busto oggi conservato all’Ermitage di San Pietroburgo, in Italia nel 2017 per la mostra Dopo Canova. Percorsi della scultura a Firenze e Roma (Carrara, Palazzo Cucchiari). Una scultura piuttosto difficile: non documentata, di datazione pertanto ardua, veniva esclusa dal catalogo canoviano da Giuseppe Pavanello, che nella sua monografia del 1976 suggeriva di non considerarla un originale. L’opera entrò all’Ermitage nella seconda metà del XIX secolo, si trovava prima a Palazzo Tavričeskij (all’epoca una delle residenze della famiglia imperiale russa), e dal momento che si tratta comunque di un lavoro di altissima qualità ed è attestata a San Pietroburgo sin dal 1825, lo studioso Sergej Androsov la ritiene opera realizzata direttamente dall’artista, seppur col concorso della sua bottega.
Si diceva che il busto riscosse un grande successo: molti i contemporanei di Canova che elogiarono il ritratto di Napoleone. Val dunque la pena concludere riportando la testimonianza della poetessa danese Frederica Brun, amica dello scultore veneto, che in questi terminì parlò dell’opera: “Io andava spesso ne’ suoi studj sola, o in compagnia di qualche artista tra i miei amici di Roma. Si diceva liberamente la nostra opinione sulle opere che ci stavano innanzi, ed io quasi mi beava tra tanti i così diversi lavori. Così vidi con profonda ammirazione il primo busto di Napoleone, allora primo console, che mi parve eguale a qualsiasi antico lavoro. Lo stimai un capo d’opera per ispecialità d’espressione, per fisonomia, e arte di modellare”.
Bibliografia di riferimento
Antonio Canova e bottega, Ritratto di Napoleone Bonaparte (1803-1806?; marmo, altezza 65 cm; Chatsworth, Devonshire Collection). Credit |
Antonio Canova e bottega, Ritratto di Napoleone Bonaparte (1803-1822?; marmo, altezza 77 cm; Firenze, Palazzo Pitti, Galleria d’Arte Moderna) |
Gli autori di questo articolo: Federico Giannini e Ilaria Baratta
Gli articoli firmati Finestre sull'Arte sono scritti a quattro mani da Federico Giannini e Ilaria Baratta. Insieme abbiamo fondato Finestre sull'Arte nel 2009. Clicca qui per scoprire chi siamo