Un restauro ottocentesco aveva alterato a tal punto l’aspetto della Madonna col Bambino di Andrea Mantegna (Isola di Carturo, 1431 – Mantova, 1506) conservata al Museo Poldi Pezzoli di Milano da renderla particolarmente difficile da giudicare: autore del restauro è stato uno dei più grandi pittori del primo Ottocento italiano, Giuseppe Molteni (Milano, 1800 - 1867), che però era intervenuto sull’opera in maniera invasiva, tanto che risultava impossibile capire a quale periodo dell’attività di Mantegna risalisse il dipinto. Si tratta di una delle opere più intime dell’artista veneto, parte di una produzione destinata alla devozione privata: la Madonna tiene il Bambino sulle ginocchia, stringendolo delicatamente tra le braccia per non farlo cadere, accarezzandolo e chinando la testa per sfiorare quella del figlio, con lo sguardo che pare quasi perso, malinconico, come se la Vergine stia presagendo il destino del Bambino. Lui, paffuto, con le guance arrossate, avvolto in un velo bianco (altra prefigurazione dei suoi ultimi giorni, dato che ricorda il sudario), si è addormentato, a bocca aperta. I volumi scultorei, le pieghe nette e rigide dei panneggi e i volti tondeggianti sono cifre inconfondibili dello stile di Andrea Mantegna.
Il dipinto, nell’Ottocento, faceva parte della raccolta dello storico dell’arte Giovanni Morelli (Verona, 1816 - Milano, 1891), tra i maggiori conoscitori del suo tempo: era stato proprio lui che, per ripianare un debito di gioco, aveva venduto il dipinto nel 1861, per 2.000 lire dell’epoca (l’equivalente di circa 5.000 euro di oggi), a Gian Giacomo Poldi Pezzoli (Milano, 1822 – 1879). Da allora, l’opera non ha più lasciato la raccolta della famiglia, e già nel 1879, anno della scomparsa di Gian Giacomo Poldi Pezzoli, il valore del dipinto segnato nell’inventario dei suoi beni è fissato in 15.000 lire (circa 62.000 euro odierni), a seguito di una stima effettuata da Giuseppe Bertini, primo direttore del Museo Poldi Pezzoli.
Andrea Mantegna, Madonna col Bambino (1490-1499; tempera magra su tela, 35,5 x 45,5 cm; Milano, Museo Poldi Pezzoli). Prima del restauro |
Poco dopo l’acquisto, Gian Giacomo Poldi Pezzoli fece restaurare l’opera, come anticipato, a Giuseppe Molteni, che allora era direttore della Pinacoteca di Brera, nonché amico di famiglia. Molteni non era solo un valido pittore ma era anche un richiestissimo restauratore, perché era in grado di proporre ai suoi committenti complessi restauri integrativi che erano in grado di migliorare l’aspetto dei dipinti antichi, a volte anche alterando le opere in un modo che oggi ci sembrerebbe eccessivo: per l’epoca, tuttavia, era normale e, anzi, era una prassi che seguiva il gusto del tempo e gli orientamenti della committenza. Così Molteni arricchì la veste della Madonna con numerose lumeggiature dorate, ridipinse il manto blu, allungò in maniera arbitraria le braccia di Maria sui bordi per dare l’impressione che i personaggi stessero davanti a una finestra, col risultato di alterare l’impostazione che Mantegna aveva dato alla composizione e all’impaginazione prospettica dell’opera. Doveva essere dunque un intervento migliorativo, secondo i canoni dell’epoca: l’opera antica doveva cioè adattarsi al gusto dei committenti. Infine, Molteni verniciò la superficie, andando così a scurire le tonalità originarie e alterando anche l’equilibrio cromatico, specialmente nello stacco tra il fondo e il manto della Vergine, che diventava molto meno comprensibile.
Così, nel 2019, il Poldi Pezzoli ha pensato di recuperare il vero Mantegna, con un intervento di restauro affidato all’Opificio delle Pietre Dure di Firenze e reso possibile grazie al determinante sostegno della Fondazione Giulio e Giovanna Sacchetti Onlus. Diretto da Marco Ciatti e Cecilia Frosinini, con la direzione tecnica di Lucia Maria Bresci e la collaborazione tecnico-scientifica di Roberto Bellucci, l’intervento dell’Opificio è stato eseguito da Lucia Maria Bresci con la collaborazione di Ciro Castelli: in prima battuta è stata svolta una approfondita campagna diagnostica, che è poi proseguita accompagnando ogni fase dell’intervento. L’approfondimento diagnostico si è reso necessario anche percomprendere appieno la tecnica esecutiva, lo stato conservativo del dipinto, l’estensione dell’intervento di Molteni e, infine, chiarire alcune piccole scoperte che si rivelavano agli occhi dei restauratori dell’Opificio. Per esempio, in corrispondenza del manto della Vergine, le indagini avevano rivelato una doppia versione pittorica: una stesura in Blu di Prussia, pigmento che conobbe una grande diffusione a partire dal XVIII secolo, caratterizzata da un panneggio di gusto tipicamente ottocentesco, che si doveva quindi ai ritocchi di Molteni; una stesura ancora molto integra in Azzurrite (un pigmento antico, a base di rame), nella quale si è potuta riconoscere la versione pittorica originale. Anche le decorazioni dorate sulla veste rossa era dovute quasi del tutto a Molteni: le pennellate di oro in conchiglia possedevano infatti un carattere eccessivamente pittorico e seguivano motivi di fantasia ricostruttiva che non avevano niente a che fare con la cultura quattrocentesca ed antiquaria di Mantegna. Infine, la vernice a mastice, con la quale Molteni aveva voluto proteggere gli strati pittorici, aveva alterato profondamente l’opera rendendola esteticamente assimilabile ad un dipinto ad olio e rendendo pertanto non apprezzabili le peculiarità di una tecnica nella quale la sottilissima tempera, fondendosi con la minuta trama del supporto tessile, costruisce una caratteristica morfologia visibile anche ad occhio nudo, che accompagna un’immagine dai toni opachi, ma luminosi.
Per l’Opificio si trattava dunque di eseguire un intervento molto complesso, dal momento che complessa era la situazione conservativa della Madonna col Bambino del Poldi Pezzoli. Per quanto riguarda gli aspetti relativi alla conservazione, escludendo il taglio della zona centrale, la tela originale era in buone condizioni e aderiva bene a quella di rifodero, pertanto i restauratori decidevano di mantenere la foderatura ottocentesca eseguita da Molteni, per non correre il rischio di far diventare troppo invasivo il restauro. “Il nostro intervento di restauro”, ha spiegato l’Opificio, “si è quindi indirizzato al ristabilimento di un equilibrio cromatico e formale, attraverso la graduale e selettiva rimozione della vernice. Si trattava di una vera sfida, della quale, in letteratura, esisteva solo un altro caso di parziale successo, operato sulla Adorazione dei Magi, sempre di Mantegna, del Getty Museum di Los Angeles, da parte di Andrea Rothe, restauratore di formazione italiana, recentemente scomparso. La rimozione di una vernice antica da una stratigrafia naturalmente molto assorbente come quella di una tela non preparata, costituisce ancora oggi un confronto notevole per qualsiasi restauratore, non affrontabile se non attraverso strumenti di controllo puntuali e continui; una sfida resa ancor più complessa dalla necessità di utilizzare metodi non acquosi per la natura ‘magra’ e sensibilissima del film pittorico”.
Andrea Mantegna, Madonna col Bambino (1490-1499; tempera magra su tela, 35,5 x 45,5 cm; Milano, Museo Poldi Pezzoli). Dopo il restauro |
L’opera al Museo Poldi Pezzoli |
Attraverso una pulitura era stato possibile estrarre ogni residuo di vernice dalla superficie, restituendo gli effetti estetici ricercati dall’artista, offuscati dalla vernice applicata da Molteni. Secondo la stessa metodologia filologica del restauro, l’Opificio ha poi deciso di rimuovere la ridipintura ottocentesca del manto della Vergine e le false decorazioni in oro della veste. Infine, in corso di pulitura, sul fondo scuro sono state rinvenute le tracce di una scritta in oro, parzialmente consumata da puliture passate, ricostruita grazie alla mappatura su un’immagine macro di ogni frammento d’oro individuato al microscopio. La scritta, purtroppo visibile solo fotograficamente e su un grafico di ricostruzione, corrisponde ad un verso del Cantico dei Cantici, “Nigra sum sed formosa” (“Sono nera, ma sono bella”), solitamente riferita in antico ai culti delle Madonne nere che già erano diffusi nel Quattrocento, anche negli ambienti cortesi.
“Oggi, grazie alla ritrovata armonia estetica e, di conseguenza, contenutistica, del dipinto”, sottolinea l’Opificio, “meglio si comprende l’intento quasi pauperistico dell’artista nel presentare un’immagine della maternità, intima e dolcissima, ma lontana da ogni intento celebrativo e regale, quasi nobilitata dalla sua stessa povertà. Il restauro ha permesso dunque di riscoprire un dipinto diverso da quello che eravamo abituati ad apprezzare, che meglio attira l’attenzione del riguardante sull’intimità tenera di una madre e suo figlio, che diventano simbolo e icona della tenerezza”. Non solo: il restauro ha permesso anche di formulare una più precisa datazione per la Madonna col Bambino. C’era infatti chi riteneva si trattasse di un’opera giovanile eseguita negli anni di Padova, altri che invece la assegnavano all’inizio del periodo di Mantova (quindi a un giro d’anni compreso tra il 1462 e il 1470), e c’era anche chi la riteneva opera tarda. Il restauro ha potuto orientare la critica in modo più sicuro su una datazione agli anni Novanta del Quattrocento, riscontrabile grazie ai confronti con altri dipinti. Ecco dunque cos’è un restauro: un modo per recuperare l’opera come l’aveva voluta l’artista, un’attività che serve a rendere un dipinto più leggibile e dunque a trasmettere maggiori informazioni e conoscenze sull’operato di un autore.