Nella Parigi dei primi anni Settanta non era raro imbattersi in un uomo dall’aspetto bizzarro: alto e magro, vestito da moderno bohémien, capelli lunghi a incorniciare un volto dai tratti vagamente mediorientali, uno sguardo sempre assorto al punto da sembrare costantemente smarrito. E con una strana barra di legno, coloratissima, sempre sulle spalle. Si chiamava André Cadere (Varsavia, 1934 - Parigi, 1979) ed era un giovane che aveva voluto lasciarsi alle spalle la dittatura: veniva infatti dalla Romania, e si narra che non abbia avuto una vita molto facile. Troppo libero il suo spirito per sopravvivere a un regime rigido come quello di Ceaușescu. Era comunque riuscito a fare un po’ di pratica nella pittura grazie ai corsi che aveva frequentato all’Accademia di Belle Arti di Bucarest, dove aveva seguito per qualche tempo le lezioni di uno dei pittori rumeni più in auge del momento, George Saru. La situazione, tuttavia, doveva essere insostenibile al punto da portarlo, nel 1967, alla decisione di lasciare la Romania per non farvi più ritorno. È l’anno della svolta, l’anno che cambia la vita di André, che da qui in avanti inizierà a ritagliarsi uno spazio per entrare nella storia dell’arte.
André Cadere |
André Cadere, Sans titre (1968; olio su tela, 129,5 x 195 cm; Parigi, Centre Pompidou) |
Ma è nel 1970 che la sua arte conosce una svolta decisiva. Già nel 1968 André si era reso conto che la Op Art aveva ormai detto tutto quello che doveva dire, che l’ambiente artistico di Parigi era molto più progredito di quello di Bucarest, e che era dunque arrivato il tempo di aggiornarsi. Così, due anni dopo, l’artista inizia a produrre degli oggetti che diventeranno praticamente l’unica sua forma di espressione artistica: sono delle barre di legno rotonde, composte da tanti cilindri colorati sovrapposti, levigati, colorati e dipinti a mano in tonalità pure, sempre sgargianti: verdi, rossi, gialli, blu, talvolta anche bianchi e neri. Fino al 1971 sono composte anche da cubi, ma per tutto il resto della carriera la forma prediletta sarà proprio quella del cilindro. L’altezza di questi bastoni varia: da qualche centimetro fino ad arrivare a quasi due metri di lunghezza. Sono opere strane, che paiono non avere un capo né una coda, non si capisce bene da che parte osservarle, se c’è un fondo e una sommità, se guardarle in verticale è lo stesso che guardarle in orizzontale. André è però certo di una cosa: scrivendo nel 1975 una lettera alla sua amica, la storica dell’arte inglese Lynda Morris, le dice che "il nome scientifico del mio lavoro non è bastoni, ma barre di legno rotonde". È un’opera unica nel panorama artistico del tempo.
André Cadere, Barra di legno rotonda (1973; legno dipinto, 155 x 3 x 3 cm; Londra, Tate Modern) |
André Cadere, Sei barre di legno rotonde (1975; legno dipinto, 120 x 10 x 10 cm; Parigi, Centre Pompidou) |
André Cadere, Barra di legno cubica (1971; legno dipinto, 196,2 x 4,8 x 4,2 cm; Madrid, Museo Reina Sofía) |
Volantino che annuncia una “Presentazione del lavoro di André Cadere” nelle strade di Parigi |
Il volantino per le serate nei pub londinesi |
Gli spazi pubblici propriamente detti non sono comunque gli unici in cui André porta i suoi colorati oggetti. L’artista infatti inizia anche a imbucarsi alle presentazioni a cui non è invitato, ovviamente portando sempre con sé una delle sue barre (pare che, dal 1970 fino agli ultimi anni della sua vita, André Cadere abbia prodotto circa centottanta di questi oggetti). È una sorta di protesta, come André stesso avrebbe spiegato nel 1974: “Il potere dei musei e delle gallerie consiste prima di tutto nel potere di scegliere: non siamo davvero liberi. E se non è possibile distruggere questo potere, è quanto meno necessario mostrarlo... e c’è da sottolineare che questo modo di svelare il potere è del tutto pacifico e non violento. Una barra di legno rotonda è materialmente un piccolo oggetto che non impedisce a una mostra di avere luogo. La lotta avviene su un piano essenziale, ideologico: l’aggressione e la violenza sono sempre impiegate da chi ha potere”. Se un’istituzione opera una scelta, la piccola e innocente barra di André pone l’accento sul fatto che quella galleria, nel momento in cui ha scelto, ha anche compiuto l’operazione diametralmente opposta, ovvero ha escluso, magari spesso secondo criteri che con l’arte hanno poco a che vedere.
E del fatto che sia un artista che non si lascia addomesticare facilmente, André dà una splendida dimostrazione nel 1972, quando il critico svizzero Harald Szeemann, che nonostante l’età di trentanove anni è uno dei curatori più potenti e richiesti in Europa, lo invita a Kassel, in Germania, alla quinta edizione di dOCUMENTA, esposizione d’arte contemporanea che era allora e continua a essere oggi una delle più importanti del mondo. Szeemann era rimasto affascinato dalla figura di quel rumeno che se ne andava in giro per Parigi sempre con le sue opere: una sorta di pellegrino dell’arte contemporanea, un meditabondo viaggiatore errante che opponeva la sua calma, la sua pacatezza e, ovviamente, la sua arte a un mondo frenetico, e per di più un rumeno, quindi proveniente da una terra generalmente poco nota agli abitanti dell’Europa occidentale ma dalle secolari tradizioni, cosa che avrebbe aggiunto anche esotismo a un mix probabilmente considerato di sicuro successo. La partecipazione a dOCUMENTA 5 è però vincolata a una condizione: André deve compiere il viaggio da Parigi a Kassel a piedi, ovviamente barra in spalla. E questo anche per rievocare il viaggio che il suo grande connazionale, Constântin Brancuși, aveva compiuto, sempre a piedi, quando aveva lasciato Monaco di Baviera per trasferirsi a Parigi. Insomma, quella di André sarebbe stata una performance ricca di rimandi e suggestioni, secondo Szeemann. Cadere accetta, ma finge di viaggiare a piedi: acquista una serie di cartoline delle città lungo il percorso tra Parigi e Kassel, e poi le invia all’organizzazione di dOCUMENTA 5 falsificando le date. A Kassel credono che l’artista stia davvero facendo il viaggio a piedi, ma si rendono conto di essere stati gabbati leggendo l’ultima comunicazione di André: gli orari dei treni da Parigi per la città tedesca. E infatti è proprio in treno che André arriva a Kassel: Szeemann e gli organizzatori di dOCUMENTA 5 sono su tutte le furie e proibiscono all’artista non solo di esporre le sue opere nella rassegna, ma anche solo di avvicinarsi alla sede espositiva. Cadere reagisce diffondendo volantini di protesta e dipingendo a spray, su un muro di Kassel (dopo aver ovviamente compiuto una passeggiata delle sue), una sequenza di forme colorate che ricordano le sue barre. È questa la prima volta in cui il mondo dell’arte si trova ad aver a che fare con l’irriverenza di André Cadere fuori dai confini francesi.
André Cadere con una delle sue barre a Parigi, presso il Musée Rodin, nel 1972 (da The Single Road) |
André Cadere all’inaugurazione di una mostra (dal libro Photographies de Vernissages di Jacques Charlier) |
André Cadere a Venezia (da The Single Road) |
Un’irriverenza che lo aveva reso poco simpatico non solo agli occhi di Szeemann. Nello stesso 1972 viene buttato fuori dal Grand Palais di Parigi, dove è in corso l’inaugurazione di una retrospettiva dello statunitense Barnett Newman. Memorabili sono poi i numerosi scontri con Daniel Buren, probabilmente il “nemico” numero uno di André Cadere: i due artisti infatti creano opere in apparenza simili, ma in realtà ideologicamente agli esatti opposti (una grossa differenza tra i due consiste nel fatto che Buren crea opere site specific, quindi che necessitano di uno spazio preciso per poter essere mostrate e che da tale spazio necessariamente dipendono, cosa di cui invece le barre di Cadere, nella loro totale libertà, non hanno alcun bisogno). Cadere non manca di intrufolarsi alle inaugurazioni delle mostre del rivale, che reagisce spesso infuriato, come quando, nel 1973, viene a sapere che a una collettiva in Belgio parteciperà anche André, seppur non ufficialmente invitato: la mostra poi non parte per problemi organizzativi, ma l’unica opera che già si trova nelle sale della galleria prima ancora dell’apertura è proprio una barra di legno di Cadere. C’è comunque da dire che, nel 1974, quando Buren viene espulso dalla mostra Projekt 1974 di Colonia per il suo intervento a favore di un altro artista censurato, Hans Haacke (quest’ultimo aveva creato un’opera che svelava i legami tra uno degli organizzatori dell’esposizione e il regime nazista), André protesta per l’esclusione dei colleghi, presentandosi a Colonia con una delle sue barre avvolte in un involucro di carta. E ancora nel 1974, al vernissage di una mostra di Valerio Adami, André viene fermato all’ingresso, e lo staff della Galerie Maeght di Parigi gli intima di entrare senza la barra che porta in spalla. L’artista acconsente e lascia la barra all’ingresso, ma una volta dentro alla mostra, ne tira fuori da sotto i vestiti una nascosta, di dimensioni più piccole.
André Cadere con Daniel Buren alla mostra Projekt 1974 (da The Single Road) |
Le barre di André assumono infatti dimensioni sempre diverse e combinazioni di colori mai identiche (anche se l’artista utilizza sempre un numero di colori compreso tra i tre e i sette). Il fatto che le barre siano costituite da un assemblaggio di piccoli cilindri e non da un unico pezzo dipinto in vari colori rimanda alla concezione stessa del colore da parte di André. In una lezione-presentazione del proprio lavoro all’Università di Lovanio nel 1974, l’artista aveva fatto questo esempio: se apriamo un transistor vediamo che dentro ci sono tanti fili colorati. Ma non è che sono colorati perché qualcuno ha voluto rendere bello l’interno del transistor: sono colorati perché a ogni filo corrisponde una funzione, e il colore serve per distinguere tali funzioni. Lo stesso accade per le sue barre: se in un quadro appeso al muro tutti i colori concorrono all’obiettivo di creare una composizione unica, nelle opere di André Cadere i cilindri servono per indicare in modo manifesto che ogni colore ha una funzione precisa e distinta.
Ma quali sono i presupposti artistici e stilistici delle sue barre? C’è chi ha voluto identificare nelle Barre di legno rotonde un debito nei confronti dell’arte minimalista, in particolare della concezione dell’arte secondo Sol LeWitt, per il quale esiste una profonda differenza tra concetto ed esecuzione, e ovviamente l’importanza maggiore spetta al concetto: “quando un artista si occupa di arte concettuale, significa che tutte le decisioni vengono prese in anticipo, e l’esecuzione diventa un affare da poco. L’idea diventa una macchina che produce arte”. Si aggiunga a ciò il fatto che l’arte minimalista di artisti come Judd e LeWitt aveva, quali caratteristiche principali, la ripetitività, la semplicità formale, l’impiego di algoritmi: tutti tratti che ricorrono nell’arte di André Cadere. Tuttavia Cadere rifiuta di attribuire scarsa importanza all’esecuzione: i suoi cilindri di legno vengono dipinti a mano e, al contrario degli artisti minimalisti, è lui stesso che si occupa in prima persona della realizzazione delle opere. Anzi: per meglio mostrare che le barre sono create a mano, André spesso disallinea volutamente i cilindri in modo che la barra non appaia perfettamente dritta. Sono opere contraddittorie: ripetitive e seriali, quasi da sembrare uscite da una produzione industriale, ma ognuna con un’anima propria, con piccoli errori unici (“se l’errore venisse riprodotto non sarebbe più un errore, ma un nuovo sistema”, dice l’artista), con i colori che seguono schemi prodotti da algoritmi ma che contengono sempre, anch’essi, almeno un errore (l’errore, in questo caso, consiste nel sottrarre un colore alla sequenza logica della serie: lo stesso Cadere ha spiegato con degli schemi i modi in cui si potevano introdurre errori nelle composizioni). E l’errore, che il minimalismo rifiuta, ha una funzione precisa: Stabilire il disordine, come da titolo di una sua presentazione del 1977.
E stabilire il disordine nel mondo dell’ordine apparente è quello che André Cadere ha fatto per tutta la vita, interrotta prematuramente da un cancro nel 1979. Stabilire il disordine: una piccola rivoluzione, “pacifica e non violenta”, portata avanti contro tutto e tutti forse anche per aprire gli occhi al pubblico sulla vera funzione dell’arte, e magari (perché no) per far passare il messaggio che l’arte non appartiene ai critici che scelgono artisti e opere secondo i propri metri di giudizio spesso tutt’altro che trasparenti, e che non appartiene neppure ai musei e gallerie sempre più autoreferenziali e lontani dalla gente. No: forse André Cadere voleva proprio dirci che l’arte appartiene a tutti. Oggi ce lo ricordano le sue Barre di legno rotonde che, paradossalmente, ammiriamo nei musei di tutto il mondo, perché ormai anche la sua arte si è istituzionalizzata. Ma forse meglio ancora ce lo ricordano quanti, a diversi decenni dalla sua scomparsa, continuano a omaggiarlo con performance simili alle sue, che fanno scendere l’arte nella strada, portando avanti, con l’allegria che sempre contraddistingueva André Cadere, quella voglia di “stabilire il disordine” in un mondo troppo spesso ingessato, narcisista, capace di pensare solo a se stesso, come quello dell’arte.
I due artisti Frank Bezemer e Scarlett Hooft Graafland rievocano, ad Amsterdam nel 2015, l’immagine con l’incontro tra André Cadere e Isa Genzken a Bruxellese nel 1974 (dal sito di Frank Bezemer) |
Bibliografia di riferimento
L'autore di questo articolo: Federico Giannini
Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).