San Francesco appare inginocchiato, sulla terra brulla nel territorio della Verna, nel Casentino: dietro di lui rupi scoscese e una vegetazione rada, qualche ciuffo d’erba e un albero vicino alla cresta del monte, offertogli come romitorio dal conte Orlando Cattani. Poco sotto la vetta, la prima chiesa dell’eremo, intitolata a Santa Maria degli Angeli, e nell’angolo in alto a destra un serafino dal quale provengono i raggi di luce che colpiscono Francesco lasciandogli impresse le stimmate, le piaghe che i patimenti della Crocifissione provocarono a Cristo sul suo corpo (sono cinque: due sulle mani, due sui piedi, e una sul costato). È questo il modo in cui viene rappresentato l’episodio delle Stimmate di san Francesco in una preziosa tavola del 1240-1250, opera attribuita dopo un lungo dibattito critico al Maestro della Croce 434 e conservata agli Uffizi, che l’hanno resa protagonista della prima tappa del progetto Uffizi diffusi fuori dalla Toscana, la mostra inTORNO a Francesco (Assisi, Sala ex Pinacoteca, dal 14 novembre 2021 al 6 gennaio 2022, a cura di Giulio Proietti Bocchini e Stefano Brufani).
Secondo la mistica cattolica (le stimmate tuttavia non sono un dogma), alcuni fedeli sarebbero in grado di ricevere i segni delle sofferenze di Gesù quando giungono in unione spirituale con Cristo, identificandosi con lui. San Francesco (Giovanni di Pietro di Bernardone; Assisi, 1181/1182 - 1226) è, secondo la religione, il primo santo ad aver ricevuto le stimmate. Stando alla sua agiografia, il santo, nel settembre 1224, mentre era sul monte della Verna, trovandosi in uno stato di perfetta unione con Cristo, avrebbe ricevuto le stimmate per tramite d’un serafino. Nella Legenda maior, una delle prime agiografie del santo, redatta nel 1263 da Bonaventura da Bagnoregio (Bagnoregio, 1217/1221 circa – Lione, 1274), l’episodio è così narrato (qui nella traduzione di Simpliciano Olgiati): “Due anni prima che rendesse lo spirito a Dio, dopo molte e varie fatiche, la Provvidenza divina lo trasse in disparte, e lo condusse su un monte eccelso, chiamato monte della Verna. Qui egli aveva iniziato, secondo il suo solito, a digiunare la quaresima in onore di san Michele arcangelo, quando incominciò a sentirsi inondato da straordinaria dolcezza nella contemplazione, acceso da più viva fiamma di desideri celesti, ricolmo di più ricche elargizioni divine. [...] L’incendio indomabile dell’amore per il buon Gesù erompeva in lui con vampe e fiamme di carità così forti, che le molte acque non potevano estinguerle. L’ardore serafico del desiderio, dunque, lo rapiva in Dio e un tenero sentimento di compassione lo trasformava in Colui che volle, per eccesso di carità, essere crocifisso. Un mattino, all’appressarsi della festa dell’Esaltazione della santa Croce, mentre pregava sul fianco del monte, vide la figura come di un serafino, con sei ali tanto luminose quanto infocate, discendere dalla sublimità dei cieli: esso, con rapidissimo volo, tenendosi librato nell’aria, giunse vicino all’uomo di Dio, e allora apparve tra le sue ali l’effige di un uomo crocifisso, che aveva mani e piedi stesi e confitti sulla croce. Due ali si alzavano sopra il suo capo, due si stendevano a volare e due velavano tutto il corpo. A quella vista si stupì fortemente, mentre gioia e tristezza gli inondavano il cuore. [...] Ma da qui comprese, finalmente, per divina rivelazione, lo scopo per cui la divina provvidenza aveva mostrato al suo sguardo quella visione, cioè quello di fargli conoscere anticipatamente che lui, I’amico di Cristo, stava per essere trasformato tutto nel ritratto visibile di Cristo Gesù crocifisso, non mediante il martirio della carne, ma mediante l’incendio dello spirito. Scomparendo, la visione gli lasciò nel cuore un ardore mirabile e segni altrettanto meravigliosi lasciò impressi nella sua carne. Subito, infatti, nelle sue mani e nei suoi piedi, incominciarono ad apparire segni di chiodi, come quelli che poco prima aveva osservato nell’immagine dell’uomo crocifisso. Le mani e i piedi, proprio al centro, si vedevano confitte ai chiodi; le capocchie dei chiodi sporgevano nella parte interna delle mani e nella parte superiore dei piedi, mentre le punte sporgevano dalla parte opposta. Le capocchie nelle mani e nei piedi erano rotonde e nere; le punte, invece, erano allungate, piegate all’indietro e come ribattute, ed uscivano dalla carne stessa, sporgendo sul resto della carne. Il fianco destro era come trapassato da una lancia e coperto da una cicatrice rossa, che spesso emanava sacro sangue, imbevendo la tonaca e le mutande. Vedeva, il servo di Cristo, che le stimmate impresse in forma così palese non potevano restare nascoste ai compagni più intimi; temeva, nondimeno, di mettere in pubblico il segreto del Signore ed era combattuto da un grande dubbio: dire quanto aveva visto o tacere? Chiamò, pertanto, alcuni dei frati e, parlando in termini generali, espose loro il dubbio e chiese consiglio. Uno dei frati, Illuminato, di nome e di grazia, intuì che il Santo aveva avuto una visione straordinaria, per il fatto che sembrava tanto stupefatto, e gli disse: ‘Fratello, sappi che qualche volta i segreti divini ti vengono rivelati non solo per te, ma anche per gli altri. Ci sono, dunque, buone ragioni per temere che, se tieni celato quanto hai ricevuto a giovamento di tutti, venga giudicato colpevole di aver nascosto il talento’. Il Santo fu colpito da queste parole e [...] con molto timore, riferì come era avvenuta la visione e aggiunse che, durante l’apparizione il serafino gli aveva detto alcune cose, che in vita sua non avrebbe mai confidato a nessuno. Evidentemente i discorsi di quel sacro serafino, mirabilmente apparso in croce, erano stati così sublimi che non era concesso agli uomini di proferirli. Così il verace amore di Cristo aveva trasformato I’amante nella immagine stessa dell’amato”.
Il miracolo delle stimmate venne reso noto, poco dopo la scomparsa di Francesco, da frate Elia, suo confratello, che ne parlò nella lettera in cui annunciava a Gregorio IX e alle province francescane la dipartita dell’assisiate. Risale invece al 1228 la prima narrazione “pubblica”, per così dire, dell’evento, riportato nella biografia di Francesco scritta da Tommaso da Celano. La tavola degli Uffizi è una delle prime attestazioni a noi note in pittura dell’episodio che riguarda la vita del santo, oltre a essere probabilmente la più antica raffigurazione che non si trovi in un affresco o in una tavola dove sono rappresentate più storie dell’agiografia francescana: qui, l’episodio delle Stimmate occupa tutta la tavola, che in origine faceva forse parte di un dittico, oppure poteva addirittura essere un’opera autonoma, dunque un oggetto di particolare pregio, prodotto a fini devozionali. Non sappiamo da dove provenga: certo è che si tratta di una tavola particolarmente fortunata, dal momento che a Parigi, nel 1266, il Capitolo generale francescano, diede ordine di distruggere tutte le immagini di san Francesco, e l’opera degli Uffizi evidentemente sopravvisse all’operazione. L’opera è registrata per la prima volta il 22 settembre 1863, quando il mercante fiorentino Ugo Baldi donò la tavola all’Accademia di Belle Arti di Firenze, e da allora non ha più lasciato le raccolte pubbliche fiorentine (venne definitivamente trasferita agli Uffizi nel 1948).
Come non sappiamo da dove provenga la tavola, allo stesso modo non ci è noto il nome del suo autore. Pietro Toesca, nel 1927, la assegnò al lucchese Bonaventura Berlinghieri (Lucca, 1210 circa - 1287 circa), autore del primo dipinto noto in cui siano raffigurati episodi della vita del Poverello di Assisi, la tavola con San Francesco e storie della sua vita della chiesa di San Francesco a Pescia, dove notiamo anche l’episodio delle stimmate. Si possono però notare somiglianze con l’episodio delle Stimmate di san Francesco dipinto nella pala del cosiddetto Maestro del San Francesco Bardi, autore di una tavola conservata nella chiesa di Santa Croce a Firenze (benché oggi parte della critica più autorevole, su tutti Angelo Tartuferi, tenda ad assegnarla a Coppo di Marcovaldo, grande personalità dell’arte fiorentina di metà Duecento): anzi, secondo Mina Gregori, la tavoletta degli Uffizi è “opera sicura dell’autore della grande pala posta sull’altare della Cappella Bardi nella chiesa di Santa Croce”. Prima ancora, Edward B. Garrison, lo storico dell’arte che coniò la denominazione del “Maestro del San Francesco Bardi”, riferì a quest’ultimo sia la tavola di Santa Croce, sia la tavoletta degli Uffizi, sia, benché in maniera dubitativa, la Croce 434 degli Uffizi. La Croce 434 è un’altra delle opere enigmatiche della nostra storia dell’arte medievale, opera di un autore identificato come un artista attivo a Firenze, ma formatosi in ambito lucchese (un ascendente comunque rilevato anche da Gregori per la tavoletta degli Uffizi) e debitore nei confronti dei modi di Berlinghiero Berlinghieri (Volterra, 1175 circa - Lucca?, 1235/1236).
Miklós Boskovits, al contrario, ravvisava sostanziali differenze tra il pittore che aveva dipinto il San Francesco della Cappella Bardi e l’autore delle Stimmate di san Francesco: lo studioso ungherese fu infatti il primo a formulare il nome del Maestro della Croce 434 per le Stimmate, attribuzione poi confermata da Angelo Tartuferi a più riprese (nel 2000, nel 2004 e nel 2007) e da Francesca Pasut, e accolta dalle Gallerie degli Uffizi. Differenze “cospicue”, scriveva Boskovits nella sua opera The Origins of Florentine Painting, 1100-1270 (scritta in collaborazione con Ada Labriola e Angelo Tartuferi), “sia nella disposizione dei singoli elementi della scena, sia nelle scelte dei colori e delle decorazioni. Non c’è traccia, nella pala del San Francesco Bardi, della preferenza per l’uso di varie tonalità dello stesso colore, di armonie cromatiche attenuate assieme a note più brillanti, limitate a poche aree della composizione, che sono tratti determinanti della tavoletta degli Uffizi. La pala di Santa Croce è il prodotto di un artista dal talento meno controllato, intollerante nei confronti delle regole, che dev’essere pertanto analizzata come opera a sé stante. Qui occorre limitarsi a dire che non riesco a vedere un posto per il San Francesco Bardi nel catalogo del Maestro della Croce 434, mentre al contrario le Stimmate degli Uffizi mi sembrano un prodotto caratteristico di quel pittore, eseguito in un periodo collocabile tra la Croce stessa e la pala di Pistoia [oggi al Museo Civico della città, ndr], attorno alla seconda metà degli anni Quaranta”.
Concorda con una datazione precoce anche Chiara Frugoni, che nel 1993 ha messo in relazione le Stimmate degli Uffizi con la tavola Bardi (che riteneva precedente) per evidenziare come, sul piano iconografico, nella tavoletta del museo fiorentino compaia l’attributo della croce di Cristo dietro al serafino, assente invece nella pala di Santa Croce. Stilisticamente ci si trova dinnanzi a un’opera che, hanno scritto i curatori della mostra inTORNO a Francesco di Assisi, si presenta con uno “stile intimo e spirituale di matrice bizantina, pur prediligendo la prospettiva frontale e la schematizzazione bidimensionale delle forme”, e si propone con “tratti nuovi, più realistici e raffinati, a partire dallo spazio, maggiormente definito grazie alla netta demarcazione dei confini rocciosi del promontorio rispetto al fondo oro, così come dalla presenza di elementi vegetali che affiorano dalla roccia, fino all’accurata resa della veste del santo”. La ripresa di schemi tradizionali di matrice bizantina aggiornati però sulla base di uno spazio che si fa più realistico caratterizza la pittura lucchese del tempo, ambito al quale, come ricordato, il Maestro del 434 dovette guardare.
La rappresentazione dell’episodio delle Stimmate che vediamo nella tavola degli Uffizi è raro ma esistono altre attestazioni coeve o di poco successive, e un paio di queste si trovano nella stessa Assisi. Si tratta di una vetrata e di un affresco entrambi attribuiti al cosiddetto Maestro di San Francesco, altro artista attivo nel cantiere umbro verso la metà del Duecento. La vetrata fa parte di quella che è oggi la più completa serie italiana di vetrate medievali (nonostante gli estesi rifacimenti), quella della Basilica Superiore di San Francesco. Le più antiche sono quelle dell’abside, che probabilmente seguirono di poco la consacrazione della basilica (1253), e che sono attribuite a maestranze tedesche, mentre la vetrata dalla quale provengono le stimmate è quella con le Storie della vita di san Francesco, che si trova nella prima finestra della parete destra della navata, attribuita come detto al Maestro di San Francesco e realizzata con ogni probabilità dopo il 1263, dato che i soggetti appaiono in forte debito nei confronti della Legenda Maior di Bonaventura da Bagnoregio. La vetrata fu dapprima attribuita a Cimabue, mentre fu Henry Thode a formulare l’attribuzione al “Maestro di San Francesco”, denominazione da lui coniata.
Nella vetrata, il santo è inginocchiato, coi palmi delle mani rivolti verso l’alto, come nella tavoletta degli Uffizi, per quanto le due opere non siano in rapporto di dipendenza, ma sono comunque interessanti in quanto tra le più precoci testimonianze della raffigurazione dell’episodio della stigmatizzazione. Lo stesso vale per l’altro dipinto attribuito al Maestro di San Francesco, il frammentario affresco che fa parte della scena con San Francesco che riceve le stimmate e si trova tra i resti del ciclo pittorico dipinto lungo la navata della basilica inferiore di San Francesco, parzialmente distrutta pochi decenni dopo il suo compimento, quando furono aperti gli arconi di accesso alle cappelle. Della raffigurazione rimane pochissimo: solo il serafino e un brano del paesaggio della Verna, mentre la figura del Poverello è andata completamente perduta. Ciò nonostante è un’opera rilevante perché appartiene alla più antica decorazione della chiesa, eseguita intorno al 1260 dal Maestro di San Francesco, che da un lato dipinse le storie della vita di Cristo e dall’altro le storie della vita di san Francesco.
Episodio tra i più toccanti della vita di san Francesco e tra i più significativi dal punto di vista spirituale, quello della stigmatizzazione sarebbe di lì a poco diventato anche uno dei più presenti nella storia dell’arte. Il miracolo delle stimmate aveva reso san Francesco un alter Christus (come lo descrisse lo stesso Bonaventura da Bagnoregio) che rendeva diverso il suo percorso di fede rispetto a quello di altri santi (san Francesco venne canonizzato nel 1228). Un evento che assumeva anche forti connotati teologici, essendo il miracolo il modo in cui era possibile dimostrare la santità di Francesco ed edificare la sua immagine (sebbene per Tommaso da Celano la santità di Francesco fosse data soprattutto dalle sue opere), e di significati filosofici, dal momento che il miracolo è anche il mezzo attraverso cui Francesco comprende il significato della croce (che gli appare anche nella visione del serafino) per giungere alla piena conoscenza di Cristo.
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