Alle origini del mecenatismo. Gaio Cilnio Mecenate e il suo sostegno alle arti


Con il termine “mecenatismo” oggi intendiamo l’attività di chiunque sostenga le arti. Deriva dal nome di Gaio Cilnio Mecenate, consigliere di Augusto, grande sostenitore di artisti e letterati nel I secolo a.C. Un ritratto della sua figura e della sua attività.

Col termine “mecenatismo” si indica l’attività di chiunque favorisca le arti accordando un sostegno munifico a chi le produce (artisti, letterati, musicisti, registi e via dicendo). Il termine oggi designa soprattutto l’attività delle aziende o dei privati che sostengono finanziariamente la produzione di arte, ma si può anche parlare di “mecenatismo di Stato” laddove sia un ente pubblico a supportare i programmi artistici. Il termine, comune anche in altre lingue (mécénat in francese, mecenazgo in spagnolo, mecenato in portoghese, Mäzenatentum in tedesco e via dicendo) deriva dal nome del politico romano Gaio Cilnio Mecenate (Gaius Cilnius Maecenas; Arezzo, 68 a.C. circa – 8 a.C.), consigliere dell’imperatore Augusto, noto proprio per la sua celebre azione di sostegno alle arti. Nato ad Arezzo, città cui rimase sempre legato e che gli ha oggi dedicato il proprio Museo Archeologico Nazionale, apparteneva a una famiglia molto benestante, che aveva nobili origini etrusche (il poeta Properzio, uno dei tanti letterati sostenuti da Mecenate, lo avrebbe definito “Maecenas eques Etrusco de sanguine regum”, ovvero “Mecenate, cavaliere con sangue etrusco di re”): dopo una breve carriera militare, verso i trent’anni d’età cominciò la propria carriera politica, sia in campo diplomatico, sia in campo amministrativo. L’inizio della sua carriera, in particolare, è fissato nel 40 a.C., quando, finita la guerra di Perugia, venne inviato in Sicilia per combinare il matrimonio tra Ottaviano (il futuro imperatore Augusto) e la sua seconda moglie Scribonia. A seguito di quest’attività, Mecenate sarebbe sempre stato uno dei più fidati consiglieri di Ottaviano, tanto da arrivare a esercitare il potere per suo conto quando il futuro imperatore era impegnato nelle proprie campagne militari.

Il ventennio che va dal 29 a.C., l’anno in cui Ottaviano diede avvio alle riforme che avrebbero portato, due anni dopo, alla nascita dell’impero (la data di fondazione è fissata convenzionalmente al 27 a.C.), fino all’8 a.C., anno della scomparsa di Mecenate, appare avaro di notizie: gli studiosi hanno spesso pensato che, in questo periodo, il cavaliere di origini etrusche avesse in qualche misura perso i favori di Augusto, ma in realtà il ritiro dalla vita pubblica di Mecenate sembra essere piuttosto dovuto, ha spiegato lo studioso Pierfrancesco Porena, all’assetto istituzionale che Ottaviano diede allo Stato. Il fondatore dell’impero, divenuto Augusto nel gennaio del 27 a.C., “ridisegnò”, ha scritto Porena, “il sistema dei rapporti tra le antiche magistrature e il senato da una parte, e la sua personalità dotata di auctoritas, di un amplissimo imperium e di poteri consolari dall’altra”, e in questo nuovo assetto “non c’era più posto per una funzione come quella di Mecenate, estranea a ogni schema di carriera e a ogni mandato legittimamente avallato dal senato o dal popolo romano, e basata solo sull’amicitia con il figlio di Cesare. Le riforme augustee, vincenti, atrofizzarono le possibilità di inserimento di Mecenate nelle strutture istituzionali del nuovo regime”. Mecenate e Augusto continuarono tuttavia a rimanere amici, e l’aretino continuo a consigliare l’imperatore: peraltro, la lontananza dalla carriera politica gli consentì con tutta probabilità di coltivare le proprie attività di sostegno alle arti, che aveva comunque portato avanti anche ben prima del 29 a.C. L’attività di Mecenate come sostenitore di artisti era già lodata nella Roma del I secolo d.C.: Marziale, per esempio, lamentava che nella Roma del suo tempo non ci fosse più un Mecenate a proteggere le arti, e stesse considerazioni vengono espresse da Giovenale nella satira VII, che stigmatizza l’abitudine dei ricchi della Roma dell’epoca di spendere soldi per ostentare in maniera volgare il loro status e di dimostrarsi invece molto parchi quando si tratta di sostenere le arti e le lettere.

A Roma, Mecenate aveva stretto attorno a sé un circolo formato dai più importanti letterati della Roma augustea, a cominciare da Virgilio, Orazio e Properzio (Orazio, in particolare, fu molto amico di Mecenate e gli dedicò gli Epodi, le Satire e i primi tre libri delle Odi), per continuare poi Lucio Vario, Quintilio Varo, Plozio Tucca, Domizio Marso, Gaio Melisso, Ottavio Musa, Valgio Rufo e diversi altri). Mecenate aveva dalla sua parte una forte competenza in materia letteraria, ed era lui stesso letterato (le sue opere ci sono però note solo attraverso pochi frammenti tuttavia sufficienti a dimostrare le sue conoscenze e la sua ampia cultura, che spaziava dalla poesia greca alla letteratura latina, passando attraverso la lingua etrusca, anche in relazione alle sue origini), oltre ad ampie disponibilità economiche che gli attirarono anche alcune critiche, dal momento che lo stile di vita del cavaliere era tutt’altro che austero, e quindi lontano dalla tradizione romana. È in particolare Seneca, nell’epistola 114 a Lucilio, a offrire un ritratto molto particolare di Mecenate, descritto come un uomo fin troppo raffinato che desiderava mettersi in mostra senza nascondere i propri vizi, e la cui eloquenza era “degenerata” e “corrotta” come quella di un ubriaco, le sue parole singolari come la sua casa, la sua moglie, i suoi amici. Altri scrittori contemporanei, del resto, non mancano di descriverlo come un personaggio stravagante, nell’abbigliamento come nei comportamenti. Porena spiega questi lati del temperamento e dell’atteggiamento di Mecenate come una sorta di continuazione delle sue origini etrusche: “il suo comportamento”, ha scritto lo studioso, “evocava il ‘doppio’ della tradizione aristocratica etrusca, celebrato allora nel dio Vertumnus – virile e languido a un tempo – dall’umbro-etrusco Properzio”, e “l’amore per il lusso costituiva un’adesione esplicita alla tradizione aristocratica etrusca, che aveva fuso piena affidabilità politico-diplomatica e solide capacità operative con gli agi di una vita fastosa”. Allo stesso modo dovrebbe esser letto il rapporto con la moglie Terenzia, che godeva di libertà che solitamente non erano concesse a una donna romana: anche in questo, Mecenate perpetrava la tradizione di grande libertà, per l’epoca, di cui godevano le donne etrusche. La sua fu dunque una figura sostanzialmente isolata, e probabilmente il suo tenore di vita dovette avere dei riflessi anche sulla sua attività culturale.

Arte romana, Augusto di Prima Porta noto anche come Augusto loricato (I secolo d.C.; marmo, altezza 204 cm; Città del Vaticano, Musei Vaticani). Foto: Till Niermann
Arte romana, Augusto di Prima Porta noto anche come Augusto loricato (I secolo d.C.; marmo, altezza 204 cm; Città del Vaticano, Musei Vaticani). Foto: Till Niermann
Anonimo mosaicista dell’Africa Proconsolare, Virgilio in cattedra tra due muse (inizio del III secolo d.C.; mosaico pavimentale, 122 x 122 cm; Tunisi, Museo Nazionale del Bardo)
Anonimo mosaicista dell’Africa Proconsolare, Virgilio in cattedra tra due muse (inizio del III secolo d.C.; mosaico pavimentale, 122 x 122 cm; Tunisi, Museo Nazionale del Bardo)

Un ritratto piuttosto noto di Mecenate è quello che si legge nelle Historiae dello storico Marco Velleio Patercolo, scritte nel 30: “nato da cavaliere ma di splendida razza, uomo vigile quando le cose richiedevano vigilanza, lungimirante e capace, ma quando era a riposo dalle sue attività, si dava al lusso ed era più effeminato di una donna”. Un ritratto che corrisponde all’immagine che anche altri contemporanei ci hanno consegnato di Mecenate: un uomo equilibrato, che non approfittò della vicinanza ad Augusto, che seppe gestire le sue attività politiche con rigore, serietà e compostezza, e che nel privato amava però concedersi lussi che potevano sembrare eccessivi, specialmente agli occhi di una società romana che vedeva la rilassatezza di Mecenate come un difetto.

Centro del suo otium, termine con cui nel suo caso occorre designare la sua attività culturale fuori dalla vita politica attiva, era la sontuosa dimora con giardino (i famosi Horti Maecenatiani) che Mecenate si fece costruire sull’Esquilino a Roma, e dove non mancavano luoghi per la conversazione e i ricevimenti, uno spazio termale, alcune sale dove Mecenate esponeva le proprie collezioni d’arte. Una dimora tanto sontuosa (cosa peraltro insolita per un cavaliere: solitamente una domus così simile a una reggia era una prerogativa di un senatore o comunque di qualche personaggio ai vertici dell’amministrazione pubblica) che dopo la sua scomparsa diventò proprietà di Augusto (che, peraltro, sappiamo fu molto addolorato per la morte dell’amico). Parte delle collezioni di Mecenate, peraltro, sopravvive: quello che rimane della raccolta fu rinvenuto nell’unica parte ancora conservata della domus, l’Auditorium (un triclinio estivo, una specie di sala da pranzo), oggi gestito dalla Sovrintendenza capitolina e visitabile su prenotazione. Si tratta soprattutto di statue derivanti da modelli greci (oggi tutte conservate ai Musei Capitolini, che ha una sala dedicata agli Horti Maecenatiani), tra cui sono da menzionare una splendida Testa di Amazzone derivante da modelli greci, una statua di Marsia ellenistica, una celebre statua raffigurante un cane, realizzata in rarissimo marmo egiziano e di produzione alessandrina, alcune statue raffiguranti le muse. Sono opere che testimoniano un gusto spiccatamente raffinato, una cultura evidentemente orientata verso l’arte greca, e anche una predilezione per gli oggetti insoliti.

Auditorium di Mecenate. Foto: Spiros Ionas
Auditorium di Mecenate. Foto: Spiros Ionas
Arte romana (da originale greco), Testa di amazzone (marmo; Roma, Musei Capitolini, inv. MC1091)
Arte romana (da originale greco del V secolo a.C.), Testa di amazzone (marmo; Roma, Musei Capitolini, inv. MC1091)
Arte romana (da originale greco del II secolo a.C.), Marsia (marmo pavonazzetto, altezza 266 cm; Roma, Musei Capitolini, inv. MC1077)
Arte romana (da originale greco del II secolo a.C.), Marsia (marmo pavonazzetto, altezza 266 cm; Roma, Musei Capitolini, inv. MC1077)
Arte romana, Cane (marmo verde; Roma, Musei Capitolini, inv. MC1110)
Arte romana, Cane (marmo verde; Roma, Musei Capitolini, inv. MC1110)
Arte romana (da originale di età ellenistica), Statua di Musa seduta tipo Calliope (marmo, altezza 121 cm; Roma, Musei Capitolini, inv. MC1824)
Arte romana (da originale di età ellenistica), Statua di Musa seduta tipo Calliope (marmo, altezza 121 cm; Roma, Musei Capitolini, inv. MC1824)

I prodotti artistico-letterari della cerchia di Mecenate non erano, come pure s’è pensato, finalizzati ad azione di propaganda, ma erano semmai destinati alle classi colte e alle élite di Roma, e non sappiamo quale sia stato il loro portato politico, e il ritorno per Augusto era soprattutto in termini d’immagine, come principe raffinato che aveva per consigliere un uomo di eccezionale cultura che sosteneva gli artisti (anche se un discorso a parte andrebbe fatto per l’Eneide di Virgilio le cui finalità travalicavano quelle del ritorno d’immagine indiretto per l’imperatore). Poco chiari rimangono i rapporti di Mecenate con i suoi letterati, anche perché del personaggio storico non sappiamo molto: non esiste una sua biografia scritta da un contemporaneo, e quel che conosciamo del cavaliere lo abbiamo potuto apprendere dai commenti, per lo più frammentari, degli uomini del suo tempo. Come detto, si è a lungo pensato che il circolo di Mecenate fosse una sorta di circolo della propaganda augustea: oggi invece si tende a ritenere che, in un quadro in cui comunque Mecenate e Augusto intendevano formare consenso sostenendo le arti, i letterati della sua cerchia godessero in realtà di una certa indipendenza, anche se, come ha scritto lo studioso Luca Graverini, la soluzione al problema della natura ideologica del circolo di Mecenate “sembra essere al di là della nostra portata: […] le fonti a disposizione sono problematiche e soggette a un ampio spettro di possibilità interpretative”. Ci sono tuttavia dei punti fermi su cui si può provare a ricostruire la natura del rapporto tra Mecenate e i suoi artisti, a cominciare dal fatto che la sua posizione defilata rispetto alla politica attiva poteva consentirgli di non essere eccessivamente invadente e, al contempo, di prediligere e promuovere anche un’arte non impegnata, per quanto comunque la poesia impegnata dimostrasse idee ovviamente in linea con quelle di Mecenate e Augusto: “in poesia come in politica”, scrive Graverini, “vediamo la lode della pacificazione dopo le guerre civili, la rivalutazione del mos maiorum, delle antiche tradizioni e della moralità pubblica e privata, la rivitalizzazione dell’agricoltura italica l’esaltazione della grandezza di Roma, e così via”. Resta però difficile capire fino a che punto si spingesse un’eventuale azione dirigista di Mecenate: probabilmente, come spiega ancora lo studioso, anche se il cavaliere ebbe di sicuro un ruolo di primo piano nell’organizzare la cultura augustea (sappiamo poi per certo che contribuiva economicamente al sostegno dei letterati), “probabilmente non dovette profondere molte energie per convincere i letterati dei vantaggi offerti dal nuovo ordine di cose: la pace e la tranquillità interna, dopo decenni di disordini sanguinosi, si propagandavano anche da sole quale soggetto degno di celebrazione poetica”. Non esistono, inoltre, prove di eventuali pressioni che Mecenate poté aver esercitato sui suoi letterati.

Ci sono giunte, infine, effigi di Gaio Cilnio Mecenate? Sono quattro le opere antiche ritenute ritratti di Mecenate, anche se è molto più probabile, come si vedrà, che oggi non si conosca il reale aspetto del cavaliere: le quattro opere candidate a trasmetterci la sua immagine sono un busto al Museo Archeologico Nazionale di Arezzo, un altro busto ai Musei Capitolini di Roma, un terzo busto che si trova a Galway, in Irlanda, presso Coole Park (giunse in Irlanda dall’Italia nel XIX secolo), e infine una raffigurazione sul fregio meridionale dell’Ara Pacis a Roma. Secondo lo studioso Bernard Andreae, il busto conservato ad Arezzo fu probabilmente prodotto in età augustea da una bottega attiva a Roma e deve trattarsi del ritratto di un illustre personaggio aretino che visse a Roma attorno al 20 a.C., e il nome di Mecenate gli è sembrato essere quello più adatto per il ritratto. La tesi di Andreae è stata però contestata da Sara Faralli nel 2018, perché non ci sarebbero elementi sufficienti a stabilire, oltre ogni dubbio, che il busto raffiguri proprio Mecenate. Lo stesso vale per il busto dei Musei Capitolini (che peraltro non è più esposto dal 1997), per quello irlandese che s’è voluto immaginare un ritratto di Mecenate sulla base, probabilmente, della somiglianza con le effigi del cavaliere che s’erano diffuse a partire dal Settecento (nel XVIII secolo si stabilì infatti, sulla base di un’erronea attribuzione di alcune gemme, l’immagine di Mecenate divenuta poi ricorrente, quella di un uomo in là con gli anni, fortemente stempiato, e col naso molto pronunciato), e per l’immagine che compare nel fregio dell’Ara Pacis.

Arte romana, Ritratto virile (I secolo d.C.; marmo; Arezzo, Museo Archeologico Nazionale Gaio Cilnio Mecenate)
Arte romana, Ritratto virile (I secolo d.C.; marmo; Arezzo, Museo Archeologico Nazionale Gaio Cilnio Mecenate). Foto: Francesco Bini
Arte romana, Ritratto virile (I secolo d.C.; marmo; Galway, Coole Park)
Arte romana, Ritratto virile (I secolo d.C.; marmo; Galway, Coole Park). Foto: Wikimedia/Cgheyne
Artista ignoto, Busto di Mecenate (XIX secolo; marmo; Arezzo, Giardino dell'Anfiteatro). Foto: Museo Archeologico Nazionale Gaio Cilnio Mecenate
Artista ignoto, Busto di Mecenate (XIX secolo; marmo; Arezzo, Giardino dell’Anfiteatro). Foto: Museo Archeologico Nazionale Gaio Cilnio Mecenate
Bernardino Santini, Mecenate (1648-1652; olio su tela, 156 x 96 cm; Arezzo, Palazzo Comunale)
Bernardino Santini, Mecenate (1648-1652; olio su tela, 156 x 96 cm; Arezzo, Palazzo Comunale). Foto: Ministero della Cultura
Adolfo De Carolis, Sala dei Grandi (1922-1925; affresco; Arezzo, Palazzo della Provincia)
Adolfo De Carolis, Sala dei Grandi (1922-1925; affresco; Arezzo, Palazzo della Provincia). Foto: Discover Arezzo
Dettaglio della Sala dei Grandi di Adolfo De Carolis (Mecenate è il primo sulla sinistra)
Dettaglio della Sala dei Grandi di Adolfo De Carolis (Mecenate è il primo sulla sinistra)

Ci sono poi alcune immagini moderne, che si possono vedere tutte ad Arezzo. Il giardino dell’Anfiteatro Romano ospita un busto ottocentesco, esemplato sul busto dei Musei Capitolini, e sistemato nella sua attuale collocazione tra anni Venti e anni Trenta del Novecento (fu in particolare nel 1937 che venne messo definitivamente nel giardino dell’Anfiteatro), all’epoca in cui Arezzo, in clima di revival romano, s’identificava come la città che aveva dato i natali al grande patrono delle arti. C’è poi il singolare dipinto seicentesco di Bernardino Santini, conservato nel Palazzo Comunale di Arezzo, dove “Moecenas Arretinus”, come lo identifica la scritta sulla cornice, è dipinto secondo un’iconografia insolita: come un uomo maturo, dai capelli lunghi, vestito con un abbigliamento rinascimentale. E c’è, infine, il grande affresco dipinto negli anni Venti da Adolfo de Carolis che, nella Sala dei Grandi del Palazzo della Provincia, tra il 1922 e il 1925, dipinse una sorta di Maestà laica con i personaggi illustri della storia di Arezzo: Mecenate, vestito con la toga, si trova, primo sulla sinistra, vicino a Guido d’Arezzo, al pittore Margaritone, al poeta Guittone, a Francesco Petrarca, a Spinello Aretino. È raffigurato secondo l’aspetto che, a quel tempo, si riteneva fosse stato tramandato dalla ritrattistica romana. In posizione defilata, perché primo in ordine cronologico. Ma è una posizione in cui sta benissimo, dal momento che fu così, in disparte, che Mecenate condusse la sua azione di sostenitore delle arti e delle lettere.

Bibliografia essenziale

  • Peter Mountford, Maecenas, Routledge, 2019
  • Sara Fanelli, Il busto di “Mecenate” all’Anfiteatro romano: la rappresentazione di Gaio Cilnio Mecenate ad Arezzo nell’Ottocento e Novecento tra erronee iconografia e celebrazione municipalistica in Atti e memorie dell’Accademia Petrarca di Lettere, Arti e Scienza, 80 (2018), pp. 79-96
  • Pierfrancesco Porena, Gaio Mecenate. Visibilità politica e originalità culturale nella Roma triumvirale e augustea in Atti e memorie dell’Accademia Petrarca di Lettere, Arti e Scienza, 70 (2008), pp. 273-317
  • Luca Graverini, Mecenate, Mecenatismo e poesia augustea in Annali Aretini, 12 (2006), pp. 49-71
  • Bernard Andreae, Die Bildnisse des Gaius Cilnius Maecenas in Arezzo und an der Ära Pacis in Mitteilungen des Deutschen Archäologischen Instituts, Römische Abteilung, 112 (2005), pp. 121-161

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