All’interno della Basilica di San Francesco a Siena, in due cappelle laterali del transetto sinistro, si trovano tre grandi dipinti murali che, insieme ad alcuni altri frammenti attualmente musealizzati, sono la preziosa testimonianza di quanto rimane del ciclo realizzato da Pietro e Ambrogio Lorenzetti nella sala capitolare dell’attiguo convento francescano. Vennero scoperti fortuitamente sotto uno strato di scialbo poco dopo la metà del XIX secolo, in un ambiente che in quel momento era adibito a officina di fabbro, e furono da subito giudicate di grande pregio e interesse. L’ex convento francescano stava per essere trasformato nel nuovo seminario vescovile (in particolare, l’antica sala capitolare sarebbe diventata il nuovo refettorio), così si decise di rimuovere quei dipinti e di trasferirli nella chiesa. La tecnica utilizzata per le tre grandi raffigurazioni fu quella dello stacco a massello, ovvero venne rimossa, oltre alla superficie pittorica, anche una porzione di muro retrostante.
Date le grandi dimensioni delle figurazioni da rimuovere, fu ritenuto un intervento così significativo da essere preso come esempio nel Manuale del pittore restauratore di Ulisse Forni nel 1866. Con questa operazione vennero staccate la Crocifissione, in seguito sistemata sulla parete sinistra della cappella Piccolomini d’Aragona Todeschini, il Martirio dei francescani e la Professione Pubblica di san Ludovico di Tolosa, collocate invece, nella cappella Bandini, una di fronte all’altra. La figura di un Cristo Risorto fu inizialmente anch’essa staccata a massello, ma lasciata all’interno di quell’ambiente, divenuto refettorio, sistemata sopra la porta di ingresso. Fu strappata soltanto nel 1970 e, dopo un temporaneo deposito presso il Museo dell’Opera del Duomo, trovò definitiva collocazione nel Museo Diocesano di Arte Sacra, dove di questo ciclo si conserva anche un frammento di cornice raffigurante entro un esagono Re Salomone. Altri frammenti presero fin dalla seconda metà dell’Ottocento la via del collezionismo di primitivi e sono oggi conservati presso la National Gallery di Londra. Si tratta di un bellissimo frammento raffigurante Teste di Clarisse, una Vergine dolente e una Santa Elisabetta d’Ungheria. Vi è inoltre un ulteriore frammento, individuato per primo da Max Seidel, forse sempre riconducibile a questo ciclo: si tratta di una Testa di francescano attualmente conservato presso il Birmingham Museum and Art Gallery.
In un primo momento si credette erroneamente che gli affreschi ritrovati fossero quelli descritti da Lorenzo Ghiberti nei suoi Commentari, in cui invece veniva descritto il ciclo dipinto dal solo Ambrogio per il chiostro, sempre nel convento francescano di Siena. Purtroppo di quest’altro ciclo, così lodato da Ghiberti nel proprio testo, non rimangono che due frammenti, conservati presso il rettorato dell’Università degli Studi di Siena.
Pietro Lorenzetti, Crocifissione (primi anni Venti del XIV secolo; affresco; Siena, Basilica di San Francesco) |
Pietro Lorenzetti, Cristo risorto (primi anni Venti del XIV secolo; affresco; Siena, Museo Diocesano di Arte Sacra) |
Ambrogio Lorenzetti, Martirio dei francescani (primi anni Venti del XIV secolo; affresco; Siena, Basilica di San Francesco) |
Ambrogio Lorenzetti, Professione pubblica di San Ludovico di Tolosa (primi anni Venti del XIV secolo; affresco; Siena, Basilica di San Francesco) |
La Crocifissione e il Cristo Risorto, ritrovate sulla parete orientale, quella opposta all’originario ingresso, sono riconducibili alla mano del maggiore tra i due fratelli, Pietro, a cui si attribuiscono anche i frammenti della Vergine dolente e della Santa Elisabetta. Ad Ambrogio invece vengono attribuite le due grandi scene narrative ritrovate sulla parete destra, le Teste di Clarisse e il Re Salomone.
Per comprendere le scelte iconografiche di questo ciclo, bisogna in primo luogo considerare che la sala del capitolo era il secondo luogo per importanza, dopo la chiesa, all’interno di un complesso conventuale: rappresentava il cuore decisionale del convento e il luogo dove venivano accolti gli ospiti illustri che vi giungevano. Si rese dunque necessario ideare specifiche scelte iconografiche per questi ambienti. Nel caso delle sale capitolari degli ordini mendicanti, sulla parete di fondo era presenza imprescindibile, ricavata dalla tradizione monastica, la Crocifissione, frequentemente affiancata da scene legate alla Passione e alla Resurrezione di Cristo, mentre sulle altre pareti venne sviluppato l’elemento narrativo, con l’intento di illustrare episodî della vita del santo fondatore dell’ordine o vicende significative legate all’ordine. Nel capitolo francescano di Siena si riscontrano proprio queste necessità iconografiche. Il Cristo risorto fu infatti ritrovato sulla stessa parete della Crocifissione. Questo Cristo risorto rappresenta un inedito iconografico: non si conoscono infatti raffigurazioni precedenti in cui Cristo è stante davanti alla porta del sepolcro, mentre avanza con piede e regge lo stendardo della Resurrezione. Vi sono diverse successive attestazioni di fortuna di questo modello iconografico in ambito senese.
La Crocifissione è dominata dalla croce di Cristo in posizione centrale, mentre ai lati sono posizionati ordinatamente gli astanti, senza nessun effetto di confusione. Partendo da sinistra, si riconosce il gruppo delle pie donne che sorregge la Vergine e san Giovanni dolente. Sembrano quasi tutti trattenuti nell’esprimere il proprio dolore, non si trovano reazioni esagerate. Anche la figura di Cristo in croce è composta. Dal lato opposto, sono raffigurati il centurione, Longino, un altro soldato e un gruppo di membri del sinedrio. Il centurione e Longino hanno i nimbi esagonali: al momento dell’evento raffigurato, quei personaggi non si erano ancora convertiti. Nell’alto della composizione avviene la vera esplosione drammatica, con la raffigurazione di dieci angeli in atteggiamento di dolore, freschi di memoria assisiate.
Ambrogio si occupò invece di dipingere le due grandi figurazioni narrative riguardanti vicende dell’ordine francescano.
Ambrogio Lorenzetti, Teste di clarisse (primi anni Venti del XIV secolo; affresco staccato, 70,4 x 63,4 cm; Londra, National Gallery) |
Ambrogio Lorenzetti, Re Salomone, (primi anni Venti del XIV secolo; affresco distaccato e applicato su supporto di vetroresina, 133 x 93 cm; Siena, Museo Diocesano di Arte Sacra) |
Pietro Lorenzetti, Vergine dolente (primi anni Venti del XIV secolo; affresco staccato, 39 x 30 cm; Londra, National Gallery) |
Pietro Lorenzetti, Santa Elisabetta d’Ungheria (primi anni Venti del XIV secolo; affresco staccato, 38 x 33 cm; Londra, National Gallery) |
Per poter identificare correttamente la scena riguardante san Ludovico e la sua professione pubblica, è necessario prestare attenzione ai singoli personaggi presenti e alle relazioni esistenti tra di loro. Partendo dal protagonista della vicenda, Ludovico è inginocchiato davanti al papa e indossa soltanto la veste francescana, nessun attributo della dignità vescovile è ancora presente (Ludovico, membro della famiglia angioina, verrà in seguito nominato vescovo di Tolosa). Egli compie un preciso gesto nei confronti del pontefice: porge le sue mani giunte entro quelle del successore di San Pietro. Questo specifico gesto riprende la tradizione dell’omaggio feudale e i rapporti di vassallaggio. Anche altri personaggi sono caratterizzati da precisi gesti. Sulla panca dei cardinali si può individuare un personaggio con la corona: è il padre di Ludovico, re Carlo II d’Angiò, che si regge il mento con una mano, codificato come ‘gesto di meditazione’. Egli era decisamente contrario alla scelta del primogenito di rinunciare alla successione al trono per entrare nell’ordine francescano: nella sua espressione si può leggere tutto il suo sconforto! Altro personaggio, altro gesto: tra la folla un giovane, che indossa la stessa cuffia velata indossata dal sovrano angioino, con la mano destra indica se stesso. Ha la bocca socchiusa: stupore, forse anche un po’ di preoccupazione. Sono elementi che ci inducono a pensare che sia Roberto, fratello di Ludovico, che sarebbe diventato il nuovo erede angioino. Già da questi brani si riconosce la straordinaria attenzione ai dettagli da parte di Ambrogio. Purtroppo in alcune parti della superficie pittorica, come ad esempio sull’araldica presente sul drappo che copre la struttura della panca in primo piano di cui rimangono soltanto i profili, le finiture erano realizzate a tempera e non sono più leggibili, perché cadute. Osservando da vicino, ci si accorge della grande quantità di dettagli che Ambrogio conferisce alla sua raffigurazione: accenni di barba sui volti di alcuni cardinali e del papa stesso, le già citate cuffie in testa alla famiglia reale, dipinte con un incredibile senso di trasparenza, le iridi di alcuni personaggi, che rivelano alcuni bellissimi occhi azzurri. Altro aspetto straordinario di questa composizione è la padronanza dell’elemento spaziale che dimostra Ambrogio. Compie un passo avanti importante rispetto a Giotto e Simone Martini: l’artista infatti raffigura soltanto l’interno e non anche l’esterno dell’ambiente che intende rappresentare. Questa capacità di ‘interpretazione prospettica’ emerge anche da alcuni dettagli: si osservino ad esempio i trilobi intagliati nei supporti della panca, il tappeto che copre il gradino dove è posizionata la cattedra papale o la colonnina centrale che spartisce l’ambiente.
L’altra grande scena narrativa riguarda un martirio di francescani. La composizione è dominata da una loggia a tre campate ad archi ogivali, sotto la quale si posizionano il sovrano che ha ordinato l’esecuzione dei frati e la sua corte. Tre frati sono già stati martirizzati, e hanno l’aureola, mentre altri tre stanno per essere giustiziati e sta per comparire sulle loro teste il segno di santità. Una delle teste mozzate è rappresentata con un abile scorcio. In questa scena è forse ancora più evidente la capacità descrittiva di Ambrogio: si trova infatti a raffigurare un vasto campionario di fisionomie e costumi. Un altro aspetto estremamente interessante è il largo uso di lamine metalliche applicate sulla superficie non soltanto per realizzare le armature dei soldati, così come aveva già fatto Pietro nella Crocifissione, ma anche per la veste del sovrano. In questo caso non voleva riprodurre il metallo, ma creare un altro effetto nel tessuto. È un espediente utilizzato da Simone Martini nella sua Maestà a Palazzo Pubblico e Ambrogio si inserisce proprio nel solco di questo polimaterismo.
Non è stato ancora possibile identificare con sicurezza il martirio riprodotto nel capitolo senese. Una delle ipotesi avanzate più frequentemente, ovvero che si possa trattare del martirio avvenuto a Ceuta nel 1227, è da scartare perché in quell’occasione furono martirizzati sette frati, mentre qui ne vengono rappresentati soltanto sei. Le proposte di identificarlo con alcuni martirî avvenuti in Oriente, sono incongruenti rispetto alla cronologia che viene proposta per questo ciclo.
Il frammento con le teste delle clarisse fornirà preziose indicazioni per provare a ricostruire l’intero ciclo iconografico di questa sala. Proveniente dalla parete sinistra della sala capitolare, apparteneva ad una scena narrativa di maggiori dimensioni. L’ipotesi attualmente più convincente, che emerge dal confronto iconografico con alcune rappresentazioni attestate anche in ambito toscano, è che facesse parte di una scena raffigurante San Francesco che consegna la regola agli ordini maschile e femminile.
Ambrogio Lorenzetti, Martirio dei francescani, dettaglio |
Ambrogio Lorenzetti, Martirio dei francescani, dettaglio. Ph. Credit Francesco Bini |
Ambrogio Lorenzetti, Martirio dei francescani, dettaglio. Ph. Credit Francesco Bini |
Ambrogio Lorenzetti, Martirio dei francescani, dettaglio. Ph. Credit Francesco Bini |
Ambrogio Lorenzetti, Professione pubblica di San Ludovico di Tolosa, dettaglio. Ph. Credit Francesco Bini |
Ambrogio Lorenzetti, Professione pubblica di San Ludovico di Tolosa, dettaglio. Ph. Credit Francesco Bini |
Ambrogio Lorenzetti, Professione pubblica di San Ludovico di Tolosa, dettaglio. Ph. Credit Francesco Bini |
Pietro Lorenzetti, Crocifissione (1310-1320 circa; affresco; Assisi, Basilica di San Francesco) |
Ambrogio Lorenzetti, Madonna col Bambino in trono (1319; tempera e oro su tavola, 148,5 x 78 cm; San Casciano in Val di Pesa, Museo d’Arte Sacra “Giuliano Ghelli”) |
Con l’identificazione di queste scene e attraverso il confronto con altre sale capitolari francescane del XIV secolo, nel volume Ambrogio Lorenzetti edito in occasione della mostra dedicata all’artista senese nel 2017, ho proposto un’ipotesi di ricostruzione del ciclo iconografico del capitolo francescano senese.
Sulla parete di fondo, bisogna immaginare una tripartizione: al centro la Crocifissione, a destra la Resurrezione (di cui rimane il frammento del Cristo Risorto) e a sinistra una scena tratta dalla Passione (ad esempio, l’Andata al Calvario o la Flagellazione). Proseguendo sulla parete destra, erano posizionati la Professione pubblica di san Ludovico di Tolosa e di seguito il Martirio di francescani. Una scena di un martirio di francescani si trova raffigurata anche nel Capitolo della Basilica del Santo a Padova. In quel contesto, è messa in correlazione con l’episodio delle Stimmate di san Francesco. San Francesco aveva cercato più volte il martirio presso gli infedeli, senza mai riuscirci, perché Dio gli aveva riservato un altro tipo di martirio: quello di ricevere impressi nella carne i segni della croce di Cristo. Nel francescanesimo si crea dunque un parallelismo tra la stigmatizzazione di san Francesco e la vocazione al martirio dei frati francescani, riportato per immagini nel capitolo del Santo. Si può pensare che anche nel ciclo senese sia stata fatta questa scelta. In nessun’altra sala capitolare è invece attestata la presenza di una scena riguardante san Ludovico. Che cosa si voleva dunque esprimere con la raffigurazione di questo particolare episodio? A questo punto bisogna considerare che il frammento delle clarisse e la scena a cui esso apparteneva fosse posizionato davanti a quella del san Ludovico. Il collegamento tra le due scene è meno immediato rispetto a quella del martirio e delle stimmate. Ciò che le unisce è il tema dell’obbedienza, uno dei tre voti francescani insieme a povertà e castità. Infatti, il gesto di Ludovico nei confronti del papa è un gesto di obbedienza, così come quello dei francescani e delle clarisse nei confronti della regola consegnata da san Francesco. La necessità di valorizzare ed enfatizzare questo preciso aspetto della propria scelta vocazionale, deriva dal particolare momento storico. L’ordine francescano aveva dovuto affrontare la tempesta degli spirituali, ovvero quella parte di frati che erano radicalmente fedeli alla regola e al testamento del fondatore. A Siena si tenne proprio il processo contro gli spirituali toscani. È dunque lecito pensare che i francescani senesi, avendo vissuto da vicino quella situazione, abbiano voluto che sulle pareti del proprio capitolo venisse raffigurato un episodio emblematico di obbedienza nei confronti del papa, unitamente alla consegna della regola che rappresenta il fondamento per poter vivere la propria esperienza francescana. Il ciclo doveva dunque servire a ricordare costantemente, nel cuore decisionale del convento, il proprio voto di obbedienza, per scongiurare nuove ‘derive’, e la propria missione di evangelizzazione senza confini geografici, con la possibilità di arrivare anche al martirio.
Per quanto riguarda la cronologia di questo ciclo, si possono riscontrare affinità stilistiche con le opere realizzate da Pietro e Ambrogio tra la fine degli anni Dieci e la prima metà degli anni Venti del Trecento. Per Pietro sono diverso i caratteri affini agli affreschi realizzati nel transetto sinistro della Basilica inferiore di San Francesco ad Assisi. Altra opera che si pone in fecondo confronto è il polittico per la pieve di Santa Maria ad Arezzo commissionato dal vescovo Guido Tarlati nel 1320, ma realizzato entro il 1324-25. Nel caso di Ambrogio, l’utilizzo preponderante di una linea netta e marcata per delineare le figure e il trattamento del colore a conferire una superficie ‘brillante’, porta il confronto più significativo con la Madonna di Vico l’Abate datata 1319. Queste considerazioni portano a collocare la realizzazione di questo ciclo ai primi anni Venti del Trecento.
L'autrice di questo articolo: Francesca Interguglielmi
Storica dell'arte, laureata in Arte Medievale presso l'Università degli Studi di Siena. Attualmente si sta formando in didattica museale presso l'Università degli Studi Roma Tre.